martedì 20 dicembre 2011

Il Natale a strati


Il Natale è fatto a strati, e a strati è atteso e desiderato. C’è il Natale della vacanza dal lavoro e dalla scuola. Chi non lo desidera? Il tepore della casa e il dolce far nulla si riempiono di cose e di affetti. C’è il Natale della gita di un giorno, della settimana in montagna, del viaggio verso spiagge esotiche. C’è il Natale delle strade e dei negozi, delle luci e delle compere, con l’ansia e la gioia dei regali da fare e da ricevere. Il Natale delle festicciole con i bambini delle Scuole materne ed elementari (se ne fanno ancora?). Il Natale delle musiche in piazza e nelle chiese e delle iniziative di beneficenza, delle visite ai parenti e alla casa di riposo. 

C’è il Natale della comunità, con il presepio in chiesa, quello fatto da artigiani provetti e quello costruito dai ragazzi e dalle catechiste. Il Natale della Novena, con la preparazione dei canti e della liturgia. C’è il Natale della confessione, della riflessione, dell’adorazione. Il Natale della conversione. C’è il Natale della Messa di mezzanotte - almeno quella! - con i canti della tradizione. Il Bambino Gesù si presta a tutti i Natali. 

E noi oggi, di quale Natale abbiamo bisogno? Il Natale di una bella liturgia, di una buona omelia, di una comunità cristiana vera, credente, unita, anche affettuosa, per quell’amicizia rinnovata dal calore della Sua presenza. Il Natale della contemplazione, del “tempo silenzioso”, come ricordava papa Benedetto alla gente della sua Baviera: quando “la natura fa una pausa; la terra è coperta dalla neve; il mondo contadino è fermo, non potendo lavorare; tutti sono necessariamente in casa”. 
Il silenzio della casa diventa, per la fede, “attesa del Signore, gioia della sua presenza”. Per fortuna, nota il Papa, “le tradizioni popolari della fede non sono sparite, anzi, sono state rinnovate, approfondite; e così creano isole per l’anima, isole del silenzio, isole della fede, isole per il Signore. E speriamo che anche in futuro questa forza della fede, la sua visibilità, rimanga e aiuti ad andare avanti, come vuole l’Avvento, verso il Signore”. 

Abbiamo bisogno del Natale cristiano, stanchi come siamo ormai dei segni vuoti, delle baldorie sciupate, delle promesse tradite. Abbiamo bisogno di fermarci davanti al presepio, lasciandoci condurre nel percorso della strada di sassi e stagnola fino alla grotta del Bambino. Per arrivare a fermarci davanti al tabernacolo della Chiesa, dove il Bambino di carne diventa pane per la nostra fame umana. Il Natale del 25 dicembre e il Natale di ogni giorno, per me e per te.

Pregare è mettere e tenere il nostro piccolo cuore nel Grande Cuore di Dio.


Fermarsi nella vita è più che indispensabile. Senza ascoltare il proprio cuore non si può arrivare a trovare la via d’uscita. In questi giorni ero un po’ appesantito dalla fatica, dalla stanchezza, dalle troppe cose da fare, da brutte notizie che come una mannaia cadono improvvise… Questo senso di nausea, di rifiuto, di stanchezza… Ero preoccupato. Mi dicevo: ho perso la Pace! Come posso donare pace e gioia se non ce l’ho?

Allora mi sono fermato. Ho pregato. Ho pianto nel cuore desiderando Dio come non mai. Avevo capito di essermi fatto prendere dal delirio d’onnipotenza illudendomi di poter risolvere il problema della “fine del mondo” con le mie sole forze, così sono uscito da quel cono d’ombra luminoso della Luce di Dio. Mi sono lentamente allontanato dal Cuore di Dio e dal Cuore Immacolato di Maria. Appena mi sono fermato in preghiera in modo accorato, subito la Luce è tornata a splendere, la Pace a rinascere. Pregare è mettere e tenere il nostro piccolo cuore nel Grande Cuore di Dio. Allora in modo del tutto nuovo oggi mi sono suonate queste parole di sant’Agostino:

Il tuo desiderio è la tua preghiera.
Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo
(Sal 37, 13-14; CCL 38, 391-392)
«Mi faceva urlare il gemito del mio cuore» (cfr. Sal 37, 9). C’è un gemito segreto del cuore che non è avvertito da alcuno. Ma se il tormento di un desiderio afferra il cuore in modo che la sofferenza intima venga espressa e udita, allora ci si domanda quale ne sia la causa. Chi ascolta dice fra sé: Forse geme per questo, forse gli è accaduto quest’altro. Ma chi lo può capire se non colui ai cui occhi, alle cui orecchie si leva il gemito? I gemiti, che gli uomini odono se qualcuno geme, sono per lo più i gemiti del corpo, ma non è percepito il gemito del cuore. Chi dunque capiva perché urlava? Aggiunge: «Ogni mio desiderio sta davanti a te» (cfr. Sal 37, 10). Non davanti agli uomini che non possono percepire il cuore, ma «davanti a te sta ogni mio desiderio». Se il tuo desiderio è davanti a lui, il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà.
Il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo è il tuo desiderio, continua è pure la tua preghiera. L’Apostolo infatti non a caso afferma: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17). S’intende forse che dobbiamo stare continuamente in ginocchio o prostrati o con le mani levate per obbedire al comando di pregare incessantemente? Se intendiamo così il pregare, ritengo che non possiamo farlo senza interruzione. Ma v’è un’altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato (che è il riposo in Dio), non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce. Tacerai, se smetterai di amare. Tacquero coloro dei quali fu detto: «Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà» (Mt 24, 12). La freddezza dell’amore è il silenzio del cuore, l’ardore dell’amore è il grido del cuore. Se resta sempre vivo l’amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, desideri sempre; se desideri, hai il pensiero volto alla pace.
«E davanti a te sta ogni mio desiderio» (Sal 37, 10). Se sta davanti a Lui il desiderio, come può non essere davanti a Lui anche il gemito che è la voce del desiderio? Perciò egli continua: «E il mio gemito a te non è nascosto» (Sal 37, 10), ma lo è a molti uomini. Talora l’umile servo di Dio sembra dire: «E il mio gemito a te non è nascosto»; ma talora pare anche che egli rida: forse che allora quel desiderio è morto nel suo cuore? Se c’è il desiderio, c’è pure il gemito: questo non sempre arriva alle orecchie degli uomini, ma non cessa di giungere alle orecchie di Dio.

mercoledì 14 dicembre 2011

Come è nato Dio?


Ecco una domanda che ci siamo sempre posti quando eravamo bambini: “Prima di Dio, cosa c'era?”.
Ben ambizioso è colui che pretende di rispondere a una domanda simile. Si tratta, infatti, di un mistero, una verità che si può comprendere solo parzialmente, ma mai del tutto. I misteri sull'infinità di Dio e di tutti suoi attributi resteranno infinitamente più grandi della nostra piccola intelligenza. L'ammireremo, gioiremo con lui, ma non potremo mai alla fine dire: “Ecco, è così! Ho capito tutto!”. Dio non si lascia declinare dalle nostre strutture mentali. Dire che Dio non è nato, è come dire che è infinito, che non ha dei limiti. Né nel tempo, né nello spazio, né nell'esistenza. Nulla e nessuno lo ha creato. Egli è sempre stato. È l'unico essere che realizza in lui la pienezza di ciò che chiamiamo “essere”. È senza dubbio per questo che si presenta a Mosé come “Io sono colui che sono!” ("YHWH", Es. 3,14).
La Tradizione della Chiesa ci insegna che l'infinità di Dio deve suscitare nell'uomo un santo “timore”: come a dire un immenso sentimento di rispetto.        
Ma non è tutto. La Rivelazione ci ha insegnato un'altra verità su Dio, che controbilancia la prima: Dio “è nato” nel fare l'uomo.         
I Vangeli ci insegnano che Gesù è veramente Dio. Egli ha dimostrato la sua divinità grazie a numerosi miracoli. Ha fatto vedere pubblicamente la sua divinità diverse volte. La sua Resurrezione ha portato la prova definitiva della sua natura divina.      
La nascita di Cristo ci rivela un altro mistero su Dio: non è un terribile Dio giustiziere, ma un Padre pieno d'amore per i suoi figli. Altrimenti, perché avrebbe scelto di nascere in una stalla, fra gli animali e i più poveri? Non voleva, in questo modo, dare una svolta all'immagine di un Dio potente e collerico?        
La Tradizione della Chiesa ci insegna che l'infinità di Dio deve suscitare nell'uomo un santo “fascino” (fascinens): come a dire un immenso sentimento di adorazione.

lunedì 12 dicembre 2011

Se Dio è Amore, perché il male, la guerra, la sofferenza?


Perché Dio permette la sofferenza, la malattia, la morte di innocenti come i bambini?
La presenza del male nel mondo è un mistero che non comprendiamo pienamente e al quale alcune religioni non danno nessuna risposta sufficiente (destino, illusione, tutto proviene da Dio, bisogna solamente fuggirlo…)

Tuttavia, si possono cercare elementi di risposta:
1) La frase “Dio è amore” implica, per logica, che Egli ci ha lasciati liberi. L’amore senza la libertà è una violenza. Una buona azione imposta è schiavitù.
2) Dio non vuole fare di noi delle marionette.
3) Dio è il primo a soffrire per il male. Se noi, che siamo così preoccupati di noi stessi, possiamo rattristarci per la sofferenza subita da un altro, quale non sarà la pena del cuore di un Padre che ama tutti? È assolutamente falso immaginarlo spettatore indifferente, o anche crudele, di tutto il male commesso sulla terra.
4) Dio è innocente verso il male. Egli non lo ha mai voluto e non lo ha creato, ma ha lasciato all’uomo il tesoro della libertà. Tesoro che invece è stato utilizzato in modo scorretto, per allontanarsi da Dio.
In questo modo il peccato, e con lui la morte e la sofferenza, sono potuti entrare nel mondo.
5) L’uomo può, ancora oggi, orientare questa libertà d’azione verso il bene come verso il male. Può scegliere di dirigerla verso la strada che Dio ha mostrato (nella Bibbia, nella nostra coscienza, attraverso il Magistero della Chiesa), o verso gli egoistici cammini di morte (dominio, possesso senza divisione…).
6) Se gli uomini accettassero di vivere pienamente il Vangelo, allora tutte le forme di guerra, omicidio, violenza, furto, divorzio, fame, subito sparirebbero. Dio dona la forza di vivere le emergenze radicali (così come hanno testimoniato grandi personaggi come Madre Teresa, Martin Luther King, e tanti altri). Il mondo avrebbe allora un aspetto ben differente. Ma pur essendoci una via che offre la felicità, o almeno la dignità per tutti, essa è esigente e ben pochi accettano di viverla veramente. Non si può per questo rendere Dio responsabile.
7) Il mondo e tutta la creazione è stata affidata all’uomo, che può scegliere di distruggerla o di farla prosperare.
8) La risposta ultima che Gesù ha dato alla sofferenza è di averla presa su di Lui, attraverso il sacrificio della croce, e di aver amato gli uomini pur all’interno di questa sofferenza. Facendo questo, ogni uomo che soffre può unire il proprio dolore a quello di Gesù, e può trovare in Gesù la forza per dare un senso alla propria vita. La forza di amare malgrado il tormento, anche all’interno del tormento.

La sofferenza è divenuto il luogo misterioso dello sviluppo del cuore, capace di amare Dio e i propri fratelli in una nuova dimensione.

domenica 11 dicembre 2011

Natale: l'abbraccio di Dio


Cristo viene in mezzo a noi scegliendo sempre il cammino dell'umiltà.
Noi gli avremmo suggerito il fascino della potenza. Lui sceglie il fascino dell'amore.

I nostri schemi sono saltati. Dio è nell'infinitamente piccolo, la sua parola è un vagito di neonato, che si affida a un volto che gli sorrida, a una mano che lo accarezzi, a un seno che lo nutra. Perchè solo questo è il segno dato ai pastori - e a noi - per riconoscerlo.
Come i pastori, anche noi dobbiamo sostare davanti a quella mangiatoia, la nuova arca che custodisce il mistero, con occhi nuovi, capaci di vedere ciò che all'apparenza non c'è, perchè lì si gioca la nostra stessa consistenza.
Da Nazaret a Nazaret passa la nostra possibilità di incontrare il volto di Dio, da un angelo che parla a una vergine, alla ferialità di trent'anni trascorsi nel silenzio. Ma passando per Betlemme, per una mangiatoia che proclama 1'inaudito, la carnalità di Dio, il suo abbraccio che salva.
La stalla di Betlemme sono io, questa mia tenda d'argilla è la grotta della natività perenne, ininterrotta, del Figlio di Dio.
Cristo nasce come figlio della terra perchè io nasca come figlio del cielo: «a quanti I'hanno accolto ha dato potere» - non solo la possibilità, ma il potere: l'energia, la forza, il dinamismo -«di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). E’ la potenza che emana dalla sola incarnazione.
Padre Ermes Ronchi

mercoledì 7 dicembre 2011

A Dio interessa davvero l'uomo?


Sovente abbiamo l'impressione che la vita che conduciamo sia lontana dai valori insegnati dalla Chiesa e da Dio. Come possiamo essere importanti davanti ai suoi occhi, quando siamo ancora così lontani dal cammino che Egli ci consiglia?   
La prima cosa da capire, è che Dio è nostro Padre. Quando uno dei discepoli chiese a Cristo come si prega, è proprio con le parole “Padre Nostro” che Gesù fece iniziare la preghiera (Mt. 6,9).

Dio è il Padre assolutamente perfetto. Non solo siamo importanti davanti ai suoi occhi, ma siamo amati, con un Amore incondizionato. Che lo meritiamo o meno, Dio non ci toglierà mai questo Amore.

Si può pensare che Dio ami prima di tutto coloro che lo seguono piuttosto che gli altri, o che preferisca i Santi piuttosto che coloro che sono novizi nella fede. Ma non è così. Quale padre di famiglia preferirà il figlio medico all'altro operaio? Quale padre amerà di più o di meno i propri bambini in base ai loro risultati (scolastici o professionali), alle loro qualità, o ai vantaggi che gli possono portare? In ogni caso, ci fosse anche un padre così, non è sicuramente il caso di Dio.       
L'Amore che Dio ci porta si trova all'interno di un registro ancora più elevato. In effetti, come un padre ama ciascuno dei suoi figli in modo particolare perché ognuno è diverso, così Dio ama ogni uomo e ogni donna in modo particolare. Li ama per ciò che sono nella loro individualità.
Può sembrare che Dio si interessi a qualche uomo in particolare. Ma quando disse a Isaia “sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e ti amo” (Is. 43,4) voleva dire che ciascun uomo, preso a sé, è prezioso agli occhi di Dio.
Così, a chiunque sia, qualsiasi cosa faccia, Dio dice queste poche semplici parole, che possono cambiare tutto nella vita di un credente: “Tu sei prezioso ai miei occhi, e io ti amo”.

lunedì 5 dicembre 2011

Ostacoli e Appuntamenti fissati fin dall’eternità…


In modo del tutto nuovo ho meditato il celebre passo della conversione di Zaccheo. Non mi ero mai soffermato su alcuni particolari che mi hanno fatto riflettere molto nel brano di Luca 19,1-10. Gli ostacoli superati da Zaccheo sono gli stessi salti che siamo chiamati a fare ogni giorno per poter incontrare Gesù davvero e cambiare la qualità della nostra vita nella pienezza della sua Gioia! La dove è il tuo cuore sarà il tuo tesoro…

“Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla”. Zaccheo, pubblico peccatore che probabilmente ha fatto soffrire molte persone per la sua avidità ed egoismo è spinto da una semplice curiosità e cerca di vedere chi sia questo Gesù di Nazareth di cui tanto si sente parlare, ma trova il primo ostacolo nella folla. Una prima riflessione mi porta a interrogarmi quante volte io sia “ostacolo” per l’incontro tra Gesù e le persone che lo cercano, magari spinte da motivazioni superficiali inizialmente, ma che potrebbero aprirsi a nuovi orizzonti di fede e redenzione. Inoltre mi chiedo quali siano ancora oggi gli ostacoli per la mia persona all’incontro nel quotidiano con Dio. Chi o che cosa si pone come barriera… Se non rispondiamo a queste domande il brano della nostra vita o della vita di tanti potrebbe concludersi così, con un blocco che non permette a Dio di operare per i nostri no o per la nostra “durezza di cuore”.

Un secondo ostacolo per Zaccheo è descritto da Luca con l’espressione: “poiché era piccolo di statura”. Questo particolare mi ha fatto riflettere alle mie “piccolezze di statura” a tutti i livelli, non tanto fisica, ma morale, di cuore…A questa difficoltà Zaccheo ovvia in un modo eccellente: “Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là”. Il “sicomoro” è la figura fondamentale del brano e l’atteggiamento del correre provandole tutte è la spinta che permetterà l’incontro con Gesù. Ciascuno di noi deve trovare il “sicomoro” su cui elevarsi, su cui poggiare, se la folla ci ostacola, se i nostri limiti ci schiacciano. In primis possono esserlo il padre spirituale, persone più avanti di noi nel cammino con cui farci aiutare. Per eccellenza deve esserlo Maria, la “Ianua Coeli”, punto saldo nella nostra vita, la Madre affidataci sotto la Croce! Da qui allora potremmo divenire noi sicomoro per altri!

Il fatto che Zaccheo corra e sia puntuale all’appuntamento mi fa pensare a non perdere tempo ed occasioni, perché a volte i treni della vita passano in un determinato luogo e ad una determinata ora: “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua»”. Il “devo” di Gesù rafforza in me la convinzione che ci siano appuntamenti fissati fin dall’eternità per ciascuno di noi e che dipenda molto da noi, dal non esser ripiegati su noi stessi, ma dall’amare e dal cercare che possiamo riconoscerLo e ascoltare i suoi “inviti”.

Ritorna lo zelo e soprattutto un altro elemento centrale: “In fretta scese e lo accolse pieno di gioia”. Accogliere Dio non è cosa da poco, accoglierlo con gioia ancora più difficile se in noi non c’è quella ricerca vera ed autentica, quella spinta alla Verità, quella sete di pienezza che solo Dio può dissetare…
Zaccheo, dalla bassezza della sua condizione morale, dalla bassezza della sua statura, si alza! Risorge! “Alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Perché nella vita di tutti noi ogni giorno ci si possa “rialzare” e “salvare” è necessaria la concretezza dell’amare per primo, del riparare “quattro volte tanto” là dove prima abbiamo ferito e fatto del male seguendo il nostro “io”.

domenica 4 dicembre 2011

L'Avvento come "tempo stupendo"


L‘Avvento ci ricorda che il tempo della pazienza, alimentato dalla speranza, sta per concludersi e possiamo già pregustare il momento dell'incontro. Un "tempo stupendo in cui si risveglia nei cuori 1'attesa del ritorno di Cristo e la memoria della sua prima venuta, quando si spogliò della sua gloria divina per assumere la nostra carne mortale".
E’ un richiamo "salutare" quel vegliate rivolto a tutti, non solo ai discepoli. Rivolto a noi tutti chiamati a custodire nella vigilanza, una tensione, una direzione, una speranza nella quotidianità del nostro tempo e dei nostri giorni, ponendo il nostro cammino nelle mani del Signore. Ed è bella l'immagine che il Papa utilizza accompagnandola al verbo vegliare: “la vita non ha solo la dimensione terrena, ma è proiettata verso un 'oltre', come una pianticella che germoglia dalla terra e si apre verso il cielo. Una pianticella pensante, 1'uomo, dotata di libertà e responsabilità, per cui ognuno di noi sarà chiamato a rendere conto di come ha vissuto, di come ha utilizzato le proprie capacità.
Benedetto XVI

domenica 27 novembre 2011

Noi siamo la nostra attesa

Noi siamo la nostra attesa. E’ questo che dobbiamo ricordarci alle porte dell’avvento. Il vero giudizio sulla nostra vita non lo danno i nostri successi o fallimenti, ma le nostre attese. Perchè sono esse a dare linfa alle nostre giornate. Chi non ha attesa non ha voglia neppure di vivere. Ma è vero anche che non tutte le attese sono per noi. Ci sono attese troppo piccole, troppo mediocri per reggere la sete di felicità che ci portiamo nel cuore. E’ come quando qualcuno ha molta sete e si accontenta di passarsi un fazzoletto bagnato sulle labbra. Certe seti hanno bisogno di cisterne d’acqua; hanno bisogno di fiumi interi per poter avere qualche effetto. Ecco perchè ciascuna delle nostre vite dovrebbe avere in fondo una grande attesa. L’avvento serve a questo, a ricordarci quanto siamo assetati e quanto Dio ha preso sul serio la nostra sete di senso. E non è altrove la risposta a questa sete. Non è nell’aldilà. Non è domani. Questa risposta è qui ed ora. E’ ad un palmo dal nostro naso. E’ nella fragilità di un bambino povero, nato esule, figlio di povera gente, riconosciuto da altri poveri e trovato dagli intelligenti venuti dall’oriente, ma tenuto lontano ai potenti, ai superbi e ai violenti. Erode non lo vedrà mai pur regnando su di lui. Questo bambino non ha mai smesso di stare nella storia, anche nella nostra. Fino alla fine del mondo Dio rimarrà compromesso con ogni angolo oscuro di spazio e di tempo. I cieli hanno nuova dimora. I cieli sono qui. Non servono grandi ragionamenti. Non serve denaro. Non serve strategia o pubblicità. Serve solo di avere gli occhi aperti. Serve quella semplicità di cuore che sà accorgersi delle cose. Serve l’attesa, perchè solo per chi attende arriva qualcosa. E per noi è più vero ancora perchè solo per chi attende arriva Qualcuno. Così la nostra preghiera si fà cortissima, come un respiro che sussurra continuamente Maranatha, Vieni Signore Gesù.

giovedì 24 novembre 2011

Festa al castello

Il villaggio ai piedi del castello fu svegliato dalla voce dell'araldo del castellano che leggeva un proclama nella piazza.
"Il nostro signore beneamato invita tutti i suoi buoni e fedeli sudditi a partecipare alla festa del suo compleanno. Ognuno riceverà una piacevole sorpresa. Domanda a tutti però un piccolo favore: chi partecipa alla festa abbia la gentilezza di portare un po' d'acqua per riempire la riserva del castello che è vuota...".
L'araldo ripeté più volte il proclama, poi fece dietrofront e scortato dalle guardie ritornò al castello.
Nel villaggio scoppiarono i commenti più diversi.
"Bah! E' il solito tiranno! Ha abbastanza servitori per farsi riempire il serbatoio... Io porterò un bicchiere d'acqua, e sarà abbastanza!".
"Ma no! E' sempre stato buono e generoso! Io ne porterò un barile!".
"Io un... ditale!".
"Io una botte!".
Il mattino della festa, si vide uno strano corteo salire al castello. Alcuni spingevano con tutte le loro forze dei grossi barili o ansimavano portando grossi secchi colmi d'acqua. Altri, sbeffeggiando i compagni di strada, portavano piccole caraffe o un bicchierino su un vassoio.
La processione entrò nel cortile del castello. Ognuno vuotava il proprio recipiente nella grande vasca, verso la sala del banchetto.
Arrosti e vino, danze e canti si succedettero, finché verso sera il signore del castello ringraziò tutti con parole gentili e si ritirò nei suoi appartamenti.
"E la sorpresa promessa?", brontolarono alcuni con disappunto e delusione. Altri dimostravano una gioia soddisfatta: "Il nostro signore ci ha regalato la più magnifica delle feste!".
Ciascuno, prima di ripartire, passò a riprendersi il recipiente. Esplosero allora delle grida che si intensificarono rapidamente. Esclamazioni di gioia e rabbia.
I recipienti erano stati riempiti fino all'orlo di monete d'oro!
"Ah! Se avessi portato più acqua...".

"Date agli altri e Dio darà a voi: riceverete da lui una misura buona, pigiata, scossa e traboccante. Dio infatti tratterà voi allo stesso modo con il quale voi avrete trattato gli altri" (Luca 6,38)

lunedì 21 novembre 2011

Se Dio educa con il suo silenzio


Mi avevano chiesto di predicare dei ritiri in Bangladesh e durante uno di questi ho chiesto di incontrare delle mamme e dei papà che hanno un bambino con un handicap. Ho parlato dell'importanza della persona con un handicap, del suo posto nella società e nella chiesa. Al termine, una persona si è alzata e ha detto: «Ho un figlio che si chiama Vincenzo; a sei mesi ha avuto una febbre molto forte che ha provocato delle convulsioni che sono durate a lungo. Ora ha un handicap molto profondo, non parla, non cammina, ha 16 anni e la sola comunicazione avviene attraverso il tatto». Qualche giorno dopo sono andato a conoscere Vincenzo e in effetti era un ragazzone con un handicap molto profondo. Il papà mi ha detto: «Io ho molto sofferto, ho dovuto spendere molti soldi per i medicinali anti-epilettici e a volte non ne avevo abbastanza per la mia famiglia. Mia moglie ed io abbiamo molto sofferto. Abbiamo pregato molto perche Dio guarisse nostro figlio. Dio ha esaudito la nostra preghiera. Ma non nel modo che ci aspettavamo. Infatti mio figlio non è guarito, ma Dio ci ha trasformati: mia moglie ed io ora abbiamo una grande pace e molta gioia ad avere un figlio così». Domenico mi ha fatto capire che cos'è la risurrezione e come Gesù agisce nel nostro mondo. Noi vogliamo che Dio fissi tutte le cose e che sopprima ogni sofferenza, ma si scopre che quello che Dio fa non è questo. Dio da una nuova forza per portare la sofferenza, e la risurrezione è una risurrezione di compassione. Dobbiamo scoprire che cos'è la risurrezione.
Jean Vanier

martedì 15 novembre 2011

Il tesoro svelato

Dio disse: Io ero un tesoro che nessuno conosceva. Allora volli essere conosciuto. Per questo creai l'uomo. «Voglio avvicinarmi per osservare questo spettacolo straordinario: perché questo roveto brucia» senza consumarsi? (Esodo 3,3). Ed ecco, una voce si leva da quel fiammeggiare: “Io sono colui che sono!”» (3,14). Per secoli gli esegeti si sono accaniti su questa strana carta d'identità di Dio. Ogni decifrazione aveva forse un'anima di verità, ma alla fine rimaneva un cono d'ombra, un nucleo oscuro e segreto. È appunto il mistero divino, la sua “solitudine” che, certo, sboccia al suo interno nel dialogo trinitario, ma rimane nell'infinito della trascendenza, invalicabile a un piede estraneo, incomprensibile a orecchio esterno. Ma subito dopo quell'autodefinizione inaccessibile, ecco un'altra frase sorprendente: Mosè, di' agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi». Il Dio misterioso esce da sé stesso, parla, invia e libera. Questa storia di un'identità assoluta e perfetta che si apre e si comunica ha la sua genesi nella creazione, quando Dio, desiderando essere conosciuto, crea l'uomo, un interlocutore «di poco inferiore a lui» in grandezza e libertà (Salmo 8,6) e a lui si svela e rivela. Sono le parole di un famoso poeta austriaco, Hugo von Hofmannsthal (1874–1929), a evocare quell'istante iniziale supremo. Sono righe che appartengono al Libro degli amici di questo autore, amico del musicista Richard Strauss: è proprio in quell'atto divino primordiale che egli vede la genesi delle nostre amicizie genuine e del nostro amore. Anche noi apriamo il nostro segreto interiore per offrire i nostri tesori a chi amiamo. Per questo, l'amore autentico è la più alta prova dell'esistenza del vero Dio.

domenica 13 novembre 2011

Tra sonni e veglie


Il mondo vuole il sonno, il mondo non è che sonno. Ma l’amore vuole la veglia. L’amore è la veglia ogni volta reinventata, ogni volta una prima volta. (Christian Bobin)
Tormentato dal vangelo  in cui le vergini sagge e quelle stolte si addormentano nell’attesa, pensavo la stessa cosa che Bobin scrive con tanta chiarezza. Il mondo esige che noi dormiamo, da svegli saremmo eccessivamente felici, potremmo persino cambiarlo questo mondo. Perchè essere svegli significa amare e lasciarsi amare, e quando ciò accade si hanno energie per rifare l’universo da capo. ma rimanere svegli è anche faticoso, troppe cose ci spingono a chiudere gli occhi, troppe cose intorpidiscono le nostre speranze. Troppe. In fin dei conti Gesù non ci domanda di fare miracoli, ma di tenere gli occhi aperti.

martedì 8 novembre 2011

Cercare e trovare

"Colui che cerca non deve fermarsi fino a quando non avrà trovato; quando avrà trovato, resterà stupito; quando si sarà stupito, regnerà; quando avrà iniziato a regnare, troverà riposo". Ecco cinque tappe di un itinerario dello spirito tracciato da un testo apocrifo cristiano, il Vangelo degli Ebrei, databile attorno al II-III secolo (questo frammento è giunto a noi attraverso la citazione di un autore cristiano del II secolo, Clemente Alessandrino). Seguiamo, dunque, quella strada che ha come punto di partenza il “cercare”. È la donna del Cantico dei cantici che corre nella notte alla ricerca del suo amato ad essere il simbolo di questa ansia di luce. E alla fine, dopo i fallimenti, ecco la seconda tappa: «Trovai l'amore dell'anima mia» (3,1-4). L'incontro, però, non è l'approdo terminale perché esso apre una nuova avventura, quella dello “stupore”, ossia del dialogo contemplativo tra i due che si amano, tra l'anima e il suo Signore. Si spalanca, così, un orizzonte glorioso e luminoso, l'esperienza del “regnare” con Dio, come aveva promesso Cristo ai suoi discepoli («siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele»: Matteo 19,28). È a questo punto che l'itinerario raggiunge la sua meta: è quel “riposo” che non significa una pallida e inerte quiete, ma nel linguaggio biblico è la pienezza di vita e di pace, è la requies aeterna cristiana, celebrata nei capitoli 3 e 4 della Lettera agli Ebrei. Come diceva il Siracide, «segui le sue orme, ricerca [la sapienza di Dio] e ti si manifesterà… Alla fine in essa troverai un riposo che diverrà la tua gioia» (6,27-28). Nel lager nazista Dietrich Bonhoeffer invocava: «Riposo di Dio, tu vieni incontro ai tuoi fedeli come una sera di festa immensa!».

lunedì 31 ottobre 2011

Invita i poveri

È onorare nostro Signore cercare di entrare nei suoi sentimenti, stimarli, fare quel che ha fatto lui ed eseguire ciò che lui ha ordinato. Ora, l'affetto più grande del suo cuore è stato la cura dei poveri, per guarirli, consolarli, soccorrerli e raccomandarli al soccorso altrui. Egli stesso ha voluto nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene e il male che noi faremo ad essi, lo riterrà fatto alla sua persona divina (Cfr. Mt 25,40). Per i poveri non poteva testimoniare un amore più tenero! E quale amore, vi prego, possiamo avere per lui, se non amiamo ciò che Egli ha amato? Servire i poveri è amare Cristo nel modo giusto, è imitarlo nella Sua umanità e generosità...
Ora, se questo bonario Salvatore è onorato di questa imitazione, quanto più dobbiamo ritenerci onorati di essere, in questo, simili a lui! Non vi sembra che ci sia qui un motivo molto potente per rinnovare in voi il vostro primo fervore? Per me, penso che dobbiamo offrirci oggi a sua divina Maestà perché Le piaccia animarci della sua carità, in modo che si possa dire ormai di voi che è "la carità di Gesù Cristo che vi sospinge" (2 Cor 5,14). 
San Vincenzo de Paoli

mercoledì 26 ottobre 2011

L'archivio di Dio

Credo che in qualche punto dell'universo debba esserci un archivio in cui sono conservate tutte le sofferenze e gli atti di sacrificio dell'uomo. Non esisterebbe giustizia divina se la storia di un misero non ornasse in eterno l'infinita biblioteca di Dio. «Il mio vagabondare tu, o Dio, lo registri; le mie lacrime nell'otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?». È l'antico Salmista ebreo a cantare (56,9): Dio raccoglie tutte le lacrime delle vittime della storia umana, così che esse non cadano nel vuoto. Esse sono agli occhi di Dio realtà preziose come l'acqua che il beduino conserva nel suo otre quando viaggia nel deserto. In questo scrigno e nell'«anagrafe» ideale della vita dell'umanità Dio registra e custodisce come tesori tutte le sofferenze. La stessa idea è nel bel frammento che abbiamo desunto dal romanzo L'immagine di Isaac B. Singer (1904-1991), scrittore ebreo polacco vissuto in America, fedele sempre alla lingua materna yiddish. Alle righe che abbiamo citato è sottesa l'eterna domanda: c'è un senso al nostro dolore? E per il credente: c'è un Dio che raccoglie tutte le lacrime nascoste? Per l'ebreo in particolare: l'«Olocausto» ha almeno nel supremo progetto divino sulla storia una collocazione possibile? Interrogativi brucianti che vengono per ora accantonati dallo scrittore, Nobel 1978 della letteratura, ma che approdano alla certezza che – qualunque sia la risposta filosofica o teologica – Dio non può ignorare questo respiro di dolore che sale dalla terra. Nei suoi colossali archivi non sono registrati tanto i trionfi militari o i successi umani (a questo pensano già i libri umani di storia e i relativi documenti) quanto piuttosto lo sterminato patrimonio di lacrime, lutti, lamenti e affanni. Solo Dio saprà con essi costruire una trama nel libro della vita che orna la sua «infinita biblioteca».

lunedì 24 ottobre 2011

Caso o DIOincidenze?


«Il caso è lo pseudonimo di Dio quando non si firma personalmente» (Jules Renard).
Mi sono commosso profondamente in questi giorni, quando un giovane universitario è venuto defilato da me, con gli occhi bassi, spaventato, a dirmi che da quando si è riavvicinato alla fede, gli capita spesso di vedere delle ‘strane coincidenze’ tra le sue preghiere e ciò che gli accade, tra le cose che dice a Dio e la realtà che lo circonda, come se Dio rispondesse davvero alle sue domande, ai suoi ringraziamenti, ai suoi dubbi, alle sue provocazioni, usando le cose più disparate: la parola del vangelo, un compagno di studi, la pagina di un libro, una musica ascoltata, persino un tramonto. Era spaventato all’idea che quel Dio in cui credeva si occupasse davvero di lui e di ciò che gli frullava nel cuore.
Così è venuto da me affinché lo rassicurassi del fatto che erano solo ‘coincidenze’ non cose reali. L’ho chiamato per nome ed ha alzato gli occhi, gli ho sorriso e gli ho detto: “oggi hai capito cos’è la vita spirituale, cioè accorgersi di quel dialogo continuo che Dio ha con ciascuno di noi. Solo che Dio ha alfabeti strani per comunicare. Dio ci parla attraverso la realtà. Per questo non dobbiamo mai avere paura di ciò che ci accade, perché dietro le cose che ci circondano c’è sempre qualcosa che dobbiamo capire, prendere sul serio, e vivere appassionatamente. E quando tace, molto spesso è perché siamo noi ad aver cambiato frequenza e non Lui ad aver smesso di parlare”. Il caso per noi non esiste. E’ sempre tutta una grande opportunità, perché Cristo ha trasformato persino la croce, cioè la parte più faticosa della nostra vita, in un opportunità. Teologicamente si chiama risurrezione. Solo per questo possiamo caricarcela ogni giorno sulle spalle, diversamente saremmo solo masochisti.

domenica 16 ottobre 2011

Noi gli artefici della nostra infelicità…

Leggendo Luca 19,45-48 dapprima ho pensato all’importanza di valorizzare tutti i luoghi di culto e di preghiera in cui mi possa trovare, troppo spesso la superficialità ci porta ad essere in Chiesa e a pensare ad altro, a chiacchierare, a non dare valore al luogo in cui ci si trova… Ma leggendo e rileggendo il brano di Luca ho iniziato a pensare alle parole di Gesù alla Samaritana: “Credimi o donna… è giunto il tempo in cui Dio cerca adoratori in spirito e verità”, insieme alle parole di san Paolo: “Non sapete che i vostri corpi sono Tempio dello Spirito Santo!” Allora la riflessione ha preso un’altra piega.

Come gestisco il “tempio” affidatomi da Dio che dovrebbe essere sua dimora? E’ forse divenuto una “spelonca di ladri”? Ho smarrito il senso profondo e sacro della fiducia di Dio riposta nelle mie mani? E se fosse divenuto “spelonca”, credo forse di poter ingannare Dio? Certamente potrei esternamente mascherare tutto, ma Dio non potrei prenderlo in giro e chi sarebbe più danneggiato dai ladri sarei io stesso: derubato da me stesso della presenza di Dio!

E’ possibile accada tutto questo?

Direi proprio di sì. Nel versetto finale si legge che “il popolo pendeva dalle sue parole”, eppure quel popolo di lì a poco non hanno fatto nulla per salvare Gesù davanti a Barabba. Dunque è possibile che io abbia esultato, pregato, speso energie per Dio, ma poi lo abbia relegato in un angolo o addirittura cacciato dalla mia persona-tempio.

Mi consola sapere che, se da una parte “i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo”, dall’altra “ogni giorno [Gesù] insegnava nel tempio”. Nonostante più o meno coscientemente io uccida la divina presenza di Dio in me, Lui si ritaglia sempre un angolino in cui “insegna”, parla, aspetta… Mi aspetta!

Da dove dobbiamo ricominciare perché riprenda possesso del mio cuore?

Devo andare a cercare in quale angolo della mia persona è nascosto e sta parlando, andare là, sedermi ai suoi piedi, parlarci, sfogarmi con Lui, ascoltarLo e chiederGli di riconquistare ciò che gli spetta di diritto. Allora forse accadrà di nuovo che “entrato nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!»”.

In primo luogo devo cercare Gesù che insegna e parla dentro di me, poi cercare di dargli spazio.

Maria a Medugorje il 25 ottobre 2009 ci ha suggerito la strada: “Riempite il vostro cuore di preghiera!” Se riempio il cuore di preghiera Lui inizia ad abitarvi dentro perché il tempio è fatto per essere “casa di preghiera”. Se malauguratamente scelgo di non pregare, non solo non faccio qualcosa, ma addirittura lascio la porta aperta a tut’altro! Non si tratta di “non fare di niente di male”, come spesso sento dire con superficialità in confessione, ma addirittura di aprire il cuore ad altro, di cacciare Dio dal tempio e di “volerLo uccidere”. Una lenta e silenziosa apostasia che potrà solo danneggiare me stesso.

Il nostro cuore è il tempio di Dio fatto perché sia Sua dimora, casa di preghiera, se non lo riempiamo di Lui non avremmo mai quella Pace e quella Gioia che vuole donarci e che fin dall’eternità ha pensato per ciascuno e che Gesù ha pagato a prezzo del Suo Sangue!

mercoledì 5 ottobre 2011

Sacramento nel Matrimonio: risorsa o semplice cornice ?

“Mettiamo subito le mani avanti, non parliamo di grazia del sacramento del matrimonio se non c’è la fede nel sacramento del matrimonio”.
Come dire che non si può entrare dentro il dono del sacramento del matrimonio senza fede nel Signore Gesù. Quindi dovendovi parlare della grazia del sacramento non posso che appellarmi a quel Gesù che è vivo, presente in mezzo a noi. Io credo che Lui è qui, vivo e risorto e che Lui continua a dare il Suo Spirito, unico interprete capace di tradurre dalla singolarità delle persone, la verità più grande, compreso il dono della grazia del sacramento del matrimonio. Solo nella luce dello Spirito si può capire fino in fondo. Per quanto riguarda me, che vi parlo, mi trovo a disagio perché francamente vedo che davanti al dono del sacramento del matrimonio pensare di sapere qualcosa o abbastanza, è presunzione. Perché nel sacramento del matrimonio si nasconde un mistero: quello dell’amore di Cristo, di Dio per l’umanità, di Cristo per la Chiesa e quindi ipotizzare di esserci entrati dentro è semplicemente presunzione.[...]
C'è una rete del maligno, una rete fatta per ingannare i cattolici. Persuadere tutti che l’ideale è realizzare una buona vita di coppia e per quel che si può una buona famiglia. È un inganno pensare che l’ideale sia realizzare una buona vita di coppia, o una buona famiglia! Certo che per chi non ha una buona vita di coppia, è già un ideale realizzarla, ma non può essere l’obiettivo del matrimonio cristiano. È come se io pensassi che l’ideale del sacerdozio sia essere un buon uomo, uno che fa gli affari suoi, non disturba nessuno, tiene il suo orto e la casa. È sufficiente quando si parla di sacerdozio dire: “basta che sia un buon uomo?” È sufficiente quando si parla di sacramento di matrimonio dire: “basta che sia una buona coppia?” Che cosa è che fa la differenza fra un matrimonio civile e uno cristiano? È il crocifisso appeso in casa? È un album con le foto di una celebrazione fatta tanti anni prima in Chiesa? Purtroppo stiamo andando verso questo modo di pensare.
Il gioco che c’è sotto, il gioco del maligno, del diabolico è ridurre il matrimonio e la famiglia ad una dimensione solamente umana. Perché così, anche se è già un positivo nel mondo attuale essere una buona coppia, non ci rendiamo conto che quando io ho ridotto il matrimonio ad una sola dimensione umana, io l’ho anche reso molto vulnerabile e soggetto unicamente alle forze e alle debolezze umane. Quando io ho fatto del matrimonio un’unica realtà umana e soltanto una realtà umana, per quanto buona, le sue energie o la sua fragilità sono solamente umane. Chiedete ad un prete di fare il prete e di essere fedele alla sua castità, solo in forza delle energie umane … a meno che non sia un castrato … E come possiamo pensare di chiedere agli sposi che reggano una dimensione di grazia del sacramento del matrimonio, di indissolubilità solamente pensando a quelle che sono le capacità umane. Quando io ho ridotto - ed ecco qual'è la strategia e l’inganno,- quando io ho ridotto il matrimonio unicamente ad una realtà di dimensione umana, io l’ho consegnata solamente alle potenze umane: vanno o non vanno d’accordo?[...]
E allora la fede è soltanto la fede in lei/lui: io ho fede in te. Energia umana solamente. Quindi il mio matrimonio regge finché tu meriti questa fede, ma il giorno in cui tu cominci a non meritare più questa fede, fiducia, perché io devo crederti? Perché devo stare insieme a te? Quando io ho condotto il matrimonio unicamente alla dimensione umana, io l’ho ricondotto a tutta la vulnerabilità che ha la nostra fragilità umana; e l’ho sottoposto a tentazioni, a fatiche, a difficoltà, a diversità di carattere, a diversità di impostazione per l’educazione dei figli, ecc., con tutto quello che questo comporta. Per cui la virtù oggi per tanti cristiani sembra la resistenza. È vent’anni che sono sposato, sono resistito: medaglia al valore militare! Questo è proprio il caso in cui il matrimonio nella sua dimensione religiosa è considerato una cornice. Questo è il caso di una cornice, cioè il sacramento del matrimonio non c’entra niente, tutto è ridotto alla dimensione umana: se questi sono fortunati e va loro bene e cercano di resistere stanno insieme, se imparano delle tecniche per capirsi stanno insieme, se hanno dei supporti esterni per capirsi stanno insieme, se hanno dei figli che non vogliono lasciare soli allora resistono a stare insieme. Il resto è qualcosa di esterno. E tale può essere sia per i fidanzati che per gli sposi. Intristisce pensare che dei fidanzati progettino il loro matrimonio unicamente basandosi sulle energie umane: ci vogliamo bene!
È come se un uomo andasse all’ordinazione dicendo: sono un uomo, farò il prete. Non basta dire sono un uomo. E poi il passo successivo che non considera la grazia del sacramento del matrimonio è quello dell’autosufficienza umana che si instaura dentro nella vita della singola persona, della coppia.
Un’autosufficienza dimenticandoci che senza Gesù non c’è salvezza. Quello che nasce come sacramento del matrimonio in una cornice cristiana finisce per essere un sacramento senza Dio, senza Gesù Cristo. Puntando a salvarsi da solo, senza la fede, e quindi non più solo il sacramento del matrimonio ma anche la fede rischiano di diventare cornice.
La fede cornice non soltanto del matrimonio ma anche della vita personale.

giovedì 29 settembre 2011

Due blocchi di ghiaccio

C’erano una volta due blocchi di ghiaccio. Si erano formati durante il lungo inverno, all’interno di una grotta di tronchi, rocce e sterpaglie in mezzi ad un bosco sulle pendici di un monte.
Si fronteggiavano con ostentata reciproca indifferenza. I loro rapporti erano di una freddezza. Qualche “buongiorno”, qualche “buonasera”. Niente di più. Non riuscivano cioè a “rompere il ghiaccio”.
Ognuno pensava  dell’altro: “Potrebbe anche venirmi incontro”. Ma i blocchi di ghiaccio, da soli, non possono né andare né venire.
Ma non succedeva niente e ogni blocco di ghiaccio si chiudeva ancor di più in se stesso.
Nella grotta viveva un tasso. Che un giorno sbottò: “Peccato che ve ne dobbiate stare qui. E’ una magnifica giornata di sole!”.
I due blocchi di ghiaccio scricchiolarono penosamente. Fin da piccoli avevano appreso che il sole era il grande pericolo.
Sorprendentemente quella volta, uno dei due blocchi di ghiaccio chiese: “Com’è il sole?”.
“E’ meraviglioso…E’ la vita” rispose imbarazzato il tasso.
“Puoi aprirci un buco nel tetto della tana.. Vorrei vedere il sole..” disse l’altro.
Il tasso non se lo fece ripetere. Aprì uno squarcio nell’intrico delle radici e la luce calda e dolce del sole entrò come un fiotto dorato.
Dopo qualche mese, un mezzodì, mentre il sole intiepidiva l’aria, uno dei blocchi si accorse che poteva fondere un po’ e liquefarsi diventando un limpido rivolo d’acqua. Si sentiva diverso, non era più lo stesso blocco di ghiaccio di prima. Anche l’altro fece la stessa meravigliosa scoperta. Giorno dopo giorno, dai blocchi di ghiaccio sgorgavano due ruscelli d’acqua che scorrevano all’imboccatura della grotta e, dopo poco, si fondevano insieme formando un laghetto cristallino, che rifletteva il colore del cielo.
I due blocchi di ghiaccio sentivano ancora la loro freddezza, ma anche la loro fragilità e la loro solitudine, la preoccupazione e l’insicurezza comuni. Scoprirono di essere fatti allo stesso modo e di aver bisogno in realtà l’uno dell’altro.
Arrivarono due cardellini e un’allodola e si dissetarono. Gli insetti vennero a ronzare intorno al laghetto, uno scoiattolo dalla lunga coda morbida ci fece il bagno.
E in tutta questa felicità si rispecchiavano i due blocchi di ghiaccio che ora avevano trovato un cuore.

A volte basta un solo raggio di sole. Una parola gentile. Un saluto. Una carezza. Un sorriso. Ci vuole così poco a fare felici quelli che ci stanno accanto. Allora, perché non lo facciamo?

mercoledì 28 settembre 2011

Cos’è il SUCCESSO che tutti inseguono [II°]

Dopo la “Prima Parte” di questo argomento concludo la riflessione con qualche esperienza personale…

Quando avevo 16 anni e giocavo a calcio discretamente in una società satellite del Padova Calcio avevo rinnegato Dio dalla mia vita e avevo puntato tutto sulla carriera calcistica. Tanto sacrificio: studio di notte, allenamenti tutti i giorni, ma poi mi ripagavano il vivere l’emozione della partita, dell’essere capitano, del segnare i gol importanti. All’improvviso mi sono infortunato e il mondo mi era crollato addosso. Ho evitato l’operazione al ginocchio, ma sono rimasto solo. Nessuno della società che mi avesse chiamato, se non una telefonata del mister per capire se sarei rientrato a breve. A detta dei medici ero spacciato. Così ho iniziato tre mesi tra lastre, fisioterapia, laser terapia e piscina per la riabilitazione. Ogni giorno facevo Padova-Monselice per le cure senza prospettive positive. Ero arrabbiatissimo con tutti. Soprattutto con Dio. Non parlavo e soffrivo. Solo i miei genitori mi erano vicini. Ricordo i viaggi nel silenzio totale e mia mamma che irrompeva mettendo le cassette di Bennato per farmi riprendere tra le note di “Non farti cadere le braccia”… Sono tornato dopo 6 mesi a giocare. Le prime partite sembrava non avessi mai giocato a calcio. Più volte pensavo di mollare. Poi a fatica sono tornato ai miei livelli riconquistando il posto da titolare e vincendo anche un torneo importante.  Nel frattempo mi sono convertito tornando a Nuovi Orizzonti.

La lezione dell’infortunio però era stata fondamentale.

Senza l’orizzonte “eternità” tutto è effimero. L’eternità è scritta nel cuore dell’uomo: i giovani sui muri scrivono “ti amo… per sempre”! Ce l’hanno dentro il “forever”… 

“Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa o qualcuno. Se l’uomo rifiuta Dio si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei!” Dostoevkij 


Quell’imprevisto sul percorso che sembrava una pietra d’inciampo in realtà si è rivelata la roccia su cui ripartire a costruire la mia giovane esistenza di adolescente. Il silenzio, l’aver raggiunto un apice e improvvisamente perderlo, il riflettere sull’accaduto e tanto altro avevano smosso in me qualcosa. Incredibile: avevo capito come nella mia scala di valori avevo tolto Dio e messo al primo posto il calcio. Il calcio?! Qualsiasi cosa nella scala di valori della vita prima o poi potrà crollare e se così capitasse come mai potremmo reagire se non disperandoci e bestemmiando per la nostra stupidità!? Ero tornato a giocare da cristiano e vinta l’ultima partita ho lasciato il calcio per andare a “giocarmi la vita” su altri campi, anzi l’unico “campo” per cui si può – a ragione – vendere tutto per acquistarlo! Seguire Gesù a Roma a 18 anni è stata una scelta radicale, costosa in termini di affetto e di “salto nel vuoto”, ma guidata dalla spinta nel cuore e dalla nuova consapevolezza che nulla conta rispetto al realizzare il “Sogno di Dio” sulla nostra vita! Nonostante le persecuzioni, i pianti per la lontananza dalla famiglia e il nuovo taglio dopo quello già sperimentato in seminario minore, la durezza della vita comunitaria, ero pieno nel cuore di una gioia imparagonabile.

Dunque… Primo: il Vangelo! Prima Dio! Poi tutto il resto può starci…

La scala di valori deve avere al primo posto un punto che non può crollare mai per essere sicura, per questo può essere solo Dio. Altrimenti si è come un ragno che costruisce la propria ragnatela con il filo portante così fragile che prima o poi finirà per morire aggomitolato nella sua stessa creazione di fili intessuti.

Cos’è per me il successo? E’ la realizzazione della persona, la pienezza della gioia che solo in Dio si può trovare scoprendo quel progetto meraviglioso che fin dall’eternità ha pensato per ciascuno di noi! Si tratta di scoprirlo e realizzarlo nel quotidiano facendo bene il bene. Per alcuni sarà nel sacerdozio, per altri nel matrimonio, per alcuni essendo padri o madri, per altri lavorando onestamente là dove la vita ci ha posto… Non è importante il cosa, ma che sia la volontà di Dio e che la si faccia con Amore vero scoprendo in esso il Suo Progetto su di noi!

La vita è una e solo in Dio una persona si può realizzare pienamente. Fin da piccolo mi dicevo: quando sarò grande voglio voltarmi indietro e poter essere soddisfatto di come ho speso la mia vita. La mia ricerca di autenticità e successo mi ha portato a scoprire cosa Dio volesse da me e ogni giorno cerco solo di capire questo nel presente! Il successo, la pienezza della gioia, passano per l’amore anche nelle difficoltà e nella sofferenza, nell’amare come Gesù ha amato, così come ci ha lascito come comandamento in Gv 15,9-11. Se inseguiamo altri scopi, se viviamo senza Dio, se non siamo nell’amore… moriamo nell’anima. Ne fanno esperienza tutti: credenti e non. La coscienza prima o poi ci presenta il conto e anche se la possiamo mettere a tacere o se col tempo ci assuefacciamo al peccato, prima o poi la vita ci farà scontrare con la realtà. Meglio prima allora…

Senza l’orizzonte “eternità” tutto è effimero.

L’eternità è scritta nel cuore dell’uomo: i giovani sui muri scrivono “ti amo… per sempre”!

Ce l’hanno dentro il “forever”… anche se non sono aiutati a costruirlo davvero.

Solo Dio può rispondere al bisogno che Lui stesso ha impresso dentro di noi.

Dostoevkij diceva: “Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa o qualcuno. Se l’uomo rifiuta Dio si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei!”

lunedì 26 settembre 2011

Cos’è il SUCCESSO che tutti inseguono [I°]

La parola “successo” è un participio passato del verbo latino “succedere”, che letteralmente significherebbe “venire dopo”. Si tratta di un sinonimo del verbo “riuscire”, “costruire un dopo”. Già questo ci fa intendere come il successo non sia qualcosa che fortunosamente caschi dall’alto, ma un costruirsi giorno dopo giorno qualcosa… per un dopo! Se guardiamo il successo di una persona costruitosi in brevissimi tempi, ad esempio attraverso la fama con un Reality Show, rispetto a chi per anni si è fatto strada nella sua carriera artistica attraverso un impegno professionale faticoso, noteremo la sostanziale differenza di una rapida e notevole visibilità.

Eppure i primi diventano meteore che vanno e vengono, ma presto svaniscono. I secondi, pur tra alti e bassi, riemergono quasi sempre con qualcosa di artisticamente valido e sorprendente, capaci di restare “sulla cresta dell’onda”. Purtroppo i mass media ci presentano la parola “successo” come l’apparire in tv, avere notorietà, essere famosi e ricchi… nient’altro. In realtà il successo è la riuscita e il raggiungimento degli scopi principali di una vita, ovvero l’autorealizzazione!

Un tempo si contrapponeva l’avere all’essere. Oggi – nonostante resti il binomio in una plastica dicotomia – si potrebbe parlare maggiormente del dilemma tra l’essere e l’apparire. Quasi come se si valesse in quanto persona non per i propri contenuti, le proprie competenze, la propria storia o la sola bastevole dignità di essere umano, ma per ciò che appare e soprattutto per ciò che si riesce a mettere in mostra.


Il bisogno di felicità e di realizzazione è scritto nel cuore dell’uomo, non è negativo di per sé. Il problema è quando si usano mezzi scorretti per raggiungere il proprio scopo sapendo che “il fine non giustifica i mezzi”. Altro problema si verifica quando i mezzi diventano il fine; ovvero quando tutto ciò che in natura esiste per vivere bene diventa invece un “idolo”, un fine da perseguire e si punta tutto per avere belle donne o uomini, per avere cose come auto o altro e si punta sull’avere o sui soldi… o sull’apparenza.

Tutte cose o obiettivi che durano ben poco e che prima o poi presenteranno il conto senza sconti, perchè si sarà costretti dalla vita a guardarsi indietro in verità dovendo fare un bilancio su cosa si sia costruito di davvero valido, duraturo e positivo. Gesù sintetizza tutto in modo folgorante: “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi si perde o perde la propria anima?” Nulla… Proprio nulla… E’ il paradosso di una casa – o un castello principesco – costruito sulla sabbia che in meno di un baleno crolla miseramente.

Oggi si intende la parola successo come negativa perché si vorrebbe “successo” senza fatica, senza “venir dopo”, senza costruire. Oggi prevale il tutto e subito perché il consumismo è entrato nelle relazioni umane e tutto, compreso le persone ed i sentimenti, sono divenuti merce. La televisione ha una grande responsabilità a riguardo. I mass media hanno una grande responsabilità anche sui modelli che propongono come “prototipi di felicità”! Le conseguenze sono devastanti: ragazzine anoressiche, sessualità disordinata con diffusione di malattie, aborti, cuori feriti, suicidi, depressioni…

Allora puntiamo al vero successo, ovvero alla realizzazione del “sogno di Dio” su di noi, l’unico capace di donarci la pienezza della felicità già sulla Terra e in futuro in modo eterno e permanente! In fondo Pascal con la sua “scommessa” aveva ragione. Costruiamoci passo passo una casa che qui si può edificare, ma che abiteremo davvero – come afferma Chiara Lubich – solo in Cielo.

mercoledì 21 settembre 2011

L'alfabeto orante

Un vecchio ebreo, giunto a tarda età con la mente e la vista appannate, non riusciva più a leggere il suo libro di preghiere e la memoria, dopo aver iniziato anche l'orazione più comune, latitava e si confondeva. Allora decise di fare così: «Reciterò ogni giorno al mattino e alla sera l'alfabeto ebraico per cinque volte e tu, Signore, che conosci tutte le nostre preghiere, metterai insieme le lettere perché compongano le orazioni che non so più ricordare e dire». Le vie del collezionismo sono infinite. Un mio conoscente ha una straordinaria raccolta di alfabeti antichi e moderni, trascritti su fogli o tavolette. Come emblema ideale egli ha adottato questo apologo ebraico che trovo bellissimo nella sua ingenuità e innocenza di cuore. Lo sfarfallio delle lettere è affidato a Dio perché lo ricomponga in un inno di lode. Se pensiamo alla potenza di quei segni, dobbiamo restare incantati. Con essi si sono intessuti i più dolci colloqui d'amore, i canti più armoniosi, le invocazioni più drammatiche di salvezza, i racconti più affascinanti, le memorie decisive della storia di una persona e di un popolo e si potrebbe proseguire a lungo in questo catalogo di meraviglie create attraverso gli alfabeti umani, non sempre scritti (si pensi a quelli gestuali di certe culture o dei sordomuti). Eppure, a causa di quelle stesse lettere sono scoppiate guerre, si sono alimentati odi tra fratelli, si è prodotta una valanga di pornografia, si sono ingannate tante menti con false ideologie e così via, in un altrettanto sterminato catalogo di orrori verbali e grafici. È bella, allora, la scelta di quel vecchio ebreo che fa salire al cielo il minimo che ancora conosce e lo mette nelle mani e sulle labbra di Dio perché possa ricreare la più meravigliosa di tutte le preghiere. È, questa, la potenza della semplicità di cuore che Dio ama con infinita tenerezza più dell'eloquenza dei dotti.

martedì 20 settembre 2011

Centralità e arrendevolezza

Per poter superare l'assenza di Dio, Dio ci deve interessare davvero. Altrimenti non possiamo incontrarlo. Detto secondo una terminologia evangelica: per poter pregare noi dobbiamo immergerci nella situazione che è definita Regno di Dio. Dob-biamo riconoscere che Egli è Dio, l'Unico, “dobbiamo arrenderci a Lui” (A. Bloom). Il rapporto con Lui non può sopportare compresenze che ne offuschino la centralità.
E’ la stessa cosa che avviene nelle relazioni umane; quando un uomo e una donna sono innamorati, gli altri non sono più così importanti, come dice un vecchio detto: “Quando un uo¬mo ha una sposa, egli non è più circondato da uomini e donne, ma dalla gente”.
Se siamo come il giovane ricco che non poteva seguire Gesù perchè era troppo ricco e il denaro si opponeva all'incontro, come potremo superare il muro dell'assenza? Quando preghiamo, che cosa desideriamo ottenere attraverso la profonda relazione che vogliamo instaurare con Dio? Forse semplicemente un altro periodo di felicità, ma quasi certamente non siamo disposti a vendere tutto quello che abbiamo per acquistare la perla di grande valore (Mt 13,44-46).
Quali nostre “ricchezze” divengono meno importanti ed essenziali, quando ci rivolgiamo a Dio? Esse dovrebbero divenire pallide e grigie, fare solo da sfondo all'unica figura che interessa (come nel detto più sopra citato).
“Dio è disposto a restare al di fuori, a sopportarlo completamente come una croce, ma non è disposto a rappresentare una parte marginale nella nostra vita” (A. Bloom).

lunedì 19 settembre 2011

Ecco la tua madre!

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

E’ finito il tempo delle feste. E’ finito il tempo dei fiumi di gente che acclamano Gesù come Messia. Presso la croce c’è un manipolo di gente. Un misto di soldati, scribi e parenti stretti. Anche i discepoli sono scappati tutti. Neanche loro, “gli amici”, “i suoi”, come il Vangelo li chiama, hanno retto il colpo della paura di essere uccisi. Fortunatamente ce n’è almeno uno. Il più piccolo. E’ Giovanni.

La sua adolescenza passata dietro a quest’uomo meraviglioso che è Gesù lo rende più forte, più coraggioso, più determinato di ogni rischio. Gli altri avrebbero tacciato questa sua audacia con il titolo di pericolosa imprudenza. Ma in realtà l’imprudenza di questo ragazzino, rende legale la deposizione testamentaria di Cristo. La sua presenza fà sì che l’eredità più preziosa del Maestro non vada perduta, non diventi demaniale, ma venga passata con atto esplicito e consapevole a lui e di conseguenza a ciascuno di noi. Sotto quella croce, in quel primo pomeriggio oscuro della storia che noi chiamiamo Venerdì Santo, Gesù converte la propria madre da proprietà privata a possesso di tutta l’umanità. Sotto quella croce, la maternità di Maria si allarga fino ad abbracciare ogni uomo e ogni donna di tutti i tempi e luoghi. “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa”. Non possiamo più vivere bene senza fare entrare veramente questa nuova Madre nelle nostre case. Senza sentire la responsabilità di spalancare le porte di ciò che siamo alla maternità di questa donna. Perchè essa rappresenta la modalità che Dio ha scelto per rendere più sopportabile l’ora sempre desta della croce. Senza di lei, che conficcata sotto le nostre croci ci ricorda di chi siamo figli, rischiamo di credere al buio delle temporanee eclissi che di tanto in tanto oscurano la nostra esistenza. E credere ad esse può essere troppo pericoloso, specie quando gettiamo la spugna, rischiando di farle diventare definitive più che momentanee. La sofferenza di questa madre trafitta dal dolore più grande che qualcuno possa provare, cioè la morte di un figlio, l’abilita a comprendere ogni singolo frammento dell’umana sofferenza. La rende credibile davanti a quei perchè senza risposta che gettano nella disperazione molti di noi. E’ Madre perchè ci ha partoriti con doglie dolorose sotto la croce del nostro Fratello maggiore. Ella soffre, ma da quella sofferenza nasce la Chiesa, nasciamo noi, nasce ogni tentativo di essere felici. E Giovanni è lì accanto a Lei, e aspetta assieme ad ella la fine di questo parto, i tre giorni più lunghi della storia.

Santa Maria, Madre sotto la croce, abbassa il tuo sguardo verso i nostri volti e riconosci nei nostri occhi la somiglianza con Cristo. Siamo noi quel sogno di Dio che molto spesso abbiamo rovinato o nascosto dietro scelte sbagliate e strade senza uscita. Siamo noi quelli fatti ad immagine e somiglianza di quel Dio che un giorno ti rese madre.


Santa Maria, Madre sotto la croce, occupati di ciascuno di noi, con la stessa cura e la stessa dedizione che hai avuto nei confronti di Gesù. Esponiti anche per noi alla sofferenza di amare un figlio, e se è vero che l’amore di una madre è più forte di ogni cosa, facci sperimentare questa forza che ci riscatta persino dalla morte.


Santa Maria, Madre sotto la croce, conficcati sui calvari di tanti nostri fratelli e sorelle che da anni soffrono in letti di ospedali o in giacigli diventati prigione. Fà che non maledicano mai la vita, e seppur nelle difficoltà e nel lungo patire trovino la forza di resistere alla tentazione di farla finita. Abilita ciascuno di noi ad accompagnarti in queste soste e spronaci a non disertare la compagnia a questi nostri fratelli crocifissi.


Santa Maria, Madre sotto la croce, affretta il passare della luna sulla traiettoria del sole, e ricordaci continuamente che il buio, come la croce, sono solo momenti passeggeri di un giorno senza tramonto. E se le eclissi di senso durano di più delle nostre forze, prendici fra le tue braccia e stringici al tuo petto così da sentire il battito accellerato del tuo cuore. Ci accorgeremo così che ogni singolo battito è uno slancio di amore per ciascuno di noi e per ciascun uomo di ogni tempo e di ogni dove. E troveremo la forza di rialzarci e ricominciare, certi che la tua maternità non ci lascerà mai soli. Forse era questo che intendevi quando confidasti che alla fine il Tuo Cuore Immacolato trionferà. E’ il trionfo della tua maternità. E’ il trionfo di Dio.


Santa Maria, Madre sotto la croce, noi che nell’Ave Maria ci raccomandiamo per l’ora della nostra morte, facci compagnia specialmente in quell’ultima ora, quando nessuno di chi ci ama potrà riempire quell’isolamento e la paura per l’ignoto oscurerà le nostre speranze. Tu che sei chiamata la “porta dei cieli”, spalanca le tue braccia anche per noi e conducici mano nella mano verso Tuo Figlio. Così che guardandolo finalmente faccia a faccia capiremo chi siamo e la nostra inquietudine troverà finalmente la pace.

mercoledì 14 settembre 2011

Messaggio di Gesù


Perchè vai in confusione e ti agiti per i problemi della vita? Lasciami la cura di tutte le tue cose e tutto andrà meglio. Quando ti abbandonerai in me tutto si risolverà con tranquillità secondo i miei disegni.
Non disperare, non mi rivolgere una preghiera agitata, come se tu volessi esigere da me il compimento dei tuoi desideri. Chiudi gli occhi dell'anima e dimmi con calma: Gesù, io confido in Te.
Evita le preoccupazioni, le angustie e i pensieri su quello che possa succedere in futuro, non sconvolgere i miei piani, volendomi imporre le tue idee. Lasciami essere Dio e agire con lucidità. Abbandonati in me con fiducia, riposa in me e lascia nelle mie mani il tuo futuro. Dimmi frequentemente: Gesù, io confido in Te.
Quello che ti fa' piu male sono i tuoi ragionamenti e le tue idee personali e voler risolvere le cose alla tua maniera. Quando mi dici Gesù, io confido in Te, non essere come il paziente che chiede al medico di essere curato, però gli suggerisce il modo in cui farlo. Lasciati portare nelle mie braccia divine, non avere paura. Io ti amo. Se pensi che le cose peggiorino o si complichino nonostante la tua preghiera, continua ad aver fiducia.
Chiudi gli occhi dell'anima e confida. Continua a dirmi a tutte le ore: Gesù, io confido in Te. Ho bisogno delle mani libere per operare. Non mi legare con le tue preoccupazioni inutili. Satana vuole questo!
Agitarti, angustiarti, levarti la pace. Confida solo in me. Affinchè tu non ti preoccupi, lascia in me tutte le tue angustie e dormi tranquillamente. Dimmi sempre: Gesù, io confido in Te e vedrai grandi miracoli. Te Io prometto sul mio amore.

giovedì 8 settembre 2011

L’interiorità come dettaglio

La vita è fatta di dettagli, di piccole cose che sono disposte l’una accanto all’altra, senza che tu ti accorga veramente di quanto siano importanti se non perchè ti fermi a guardarle in silenzio, con attenzione. Sono i dettagli dei volti di chi ti circonda, delle sfumature del cielo ad una certa ora del pomeriggio, dei profumi della campagna dopo la pioggia, dei caratteri eleganti di un libro, delle parole raffinate dei poeti, delle suggestive musiche delle radio in lontananza, delle tue mani che cominciano a solcarsi di tempo, dei ricordi che ti struggono di nostalgia il cuore. Sono i dettagli di un Dio che scrive nel dettaglio e non a grandi linee. Quando uno mi chiede cosa sia la vita spirituale, io rispondo che significa accorgersi del dettaglio, e allo stesso tempo dell’unità profonda di ogni singolo pezzo con un insieme di cui ne avverti solo una misteriosa presenza senza però vederla faccia a faccia.  Questa vita è un mistero che a volte capisci e altre volte ti lascia senza parole. Non può essere tutto qui e basta. E’ troppo piccolo lo spazio di una vita a contenere l’onda di stupore che si innalza dentro cuore. Soffro molto per chi si costringe a credere a un realismo senza speranza di eterno. Soffro perchè solo guardando al di là del muro di questo tempo e di questo spazio che viviamo, tutto acquista un senso vero, profondo. Cosa varrebbe davvero la pena se tutto finisse in un burrone di niente. Allora ti svegli, smetti di avere paura e cominci a vivere, costruendo nel dettaglio, pezzo dopo pezzo, una barca che ti traghetti di là, piu in là, oltre…ma pur sempre ora, non domani, non dentro la tua testa, ma adesso e nei fatti.

domenica 28 agosto 2011

Alcuni motivi per capire la centralità dell’Eucarestia (parte seconda)

L’attaccamento all’eucarestia è l’attaccamento a ciò che rende la nostra fede un fatto oggettivo e non soggettivo. Se non ci fosse l’eucarestia, cioè la presenza reale, sostanziale ed oggettiva di Cristo in quel pane, rischieremmo di credere a nostre idee, a nostre proiezioni, paure, insicurezze, sogni a cui abbiamo affibbiato l’appellativo di “Dio”. Inoltre la dinamica eucaristica ci inserisce in quel movimento ascendente che Gesù opera offrendo tutto al Padre. Cosa significa questo? L’offrire è la maniera attraverso cui ciò che abbiamo, ciò che siamo, ciò che facciamo lo esponiamo a Dio, lo diamo a Lui, lo consegniamo all’opera della Sua Grazia. Proprio come un panettiere che la farina, con l’acqua e il lievito, e dopo averlo lavorato e preparato ha bisogno di metterlo in un forno affinchè quel calore trasformi quel lavoro, quella farina, quel pane e quel lievito in pane, in cibo, in nutrimento, in qualcosa che non è più semplicemente la somma di ingredienti ma qualcosa di nuovo.
Offrire la nostra vita, le nostre azioni, le nostre scelte, ciò che siamo e abbiamo a Dio attraverso l’eucarestia, fà si che tutto questo diventi qualcos’altro, qualcosa di qualitativamente più grande, di nuovo, di meraviglioso. Anche i peccati, le sofferenze e i problemi se abbiamo il coraggio di offrirli sull’altare, li rendiamo strumenti di Grazia, feritoie aperte nell’eternità.
Altro elemento fondante della centralità eucaristica è dato dal legame che tutti i sacramenti hanno con essa. I tre sacramenti dell’iniziazione non vanno staccati, l’eucarestia conclude il percorso del cristiano adulto: è il sacramento della continuità dell’identità cristiana, battesimo e confermazione non potranno ripetersi. Il Vaticano II nella Presbyterorum ordinis n.5 sottolinea tre idee:
1) l’eucarestia è il centro dell’opera evangelizzatrice
2) l’eucarestia completa e realizza l’identità cristiana: si deve essere già battezzato e cresimato
3) la considerazione comunitaria: il pieno inserimento nel corpo di Cristo.
In passato l’eucarestia compiva l’itinerario sacramentale dell’iniziazione cristiana: il battesimo è una prima tappa, l’accoglienza cristiana si protrae con la confermazio­ne e si compie con l’eucarestia. L’eucarestia è il compimento, dà un senso ai due che l’hanno preceduto. L’eucarestia è la sor­gente, afferma Trento, gli altri sacramenti ne sono i fiumi. Parallelamente a Cristo che nasce nella carne, per opera dello Spirito, che realizza il suo essere sotto l’azione dello Spirito nell’annuncio del Vangelo e nell’offerta di se stesso, il cristiano nel battesimo passa alla esistenza nuova mediante lo Spirito, riceve un nuovo ruolo nella cresima per agire secondo lo Spirito; in modo da offrire con Cristo il suo sacrificio per l’inserimento pieno nel mistero pasquale celebrato nell’eucaristia.

martedì 23 agosto 2011

Quello che non vi dicono su Chiesa e denaro

Cari amici cattolici, vi sarà certamente capitato in questi giorni di ricevere critiche dal vostro amico non credente di turno (o credente ma non praticante, o credente praticante ma non osservante...) sul rapporto tra Chiesa e denaro, magari utilizzando i grandi cavalli di battaglia dei cari laicisti: esenzione ICI e 8xmille alla Chiesa cattolica, tra tutti.

Ebbene, se rientrate nella categoria di chi, in tale circostanza, non ha saputo rispondere alcunché (se non, con malcelato imbarazzo, che la Chiesa è fatta di peccatori), provo ad offrirvi alcuni spunti di riflessione. Intendiamoci, che la Chiesa sia fatta di peccatori è una verità e nessuno può metterla in discussione: che questo, però, significhi la irrimediabile verità di ogni critica, beh, forse qualche dubbio può sorgere anche ai non cristiani (detti anche, per un noto pseudo-matematico, non “cretini”).

Visto allora che la figura dei cretini a noi (a differenza di altri) non piace farla, vediamo di approfondire i termini della questione.

Questione ICI
Partiamo con il primo problema, peraltro recentemente tornato a galla dopo la decisione della Commissione europea di riaprire la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia su questo punto.
Una premessa, a scanso di equivoci: la CEI e il Vaticano non sono la stessa cosa (sic!).
Con un po’ della vostra pazienza (vi assicuro che ne vale la pena) proviamo a capire come stanno le cose.

La legge
Nel 1992 lo Stato italiano ha istituito l’ICI, l’imposta comunale sugli immobili. Nello stesso intervento normativo (decreto legislativo n. 504/1992) sono state previste delle esenzioni: “alla Chiesa cattolica”, penserete subito. Sbagliato: l’esenzione ha riguardato tutti gli immobili utilizzati da un “ente non commerciale” e destinati “esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”.

Dunque, secondo la legge, perché venga applicata l’esenzione è necessario che si realizzino due condizioni:

1. Il proprietario dell’immobile deve essere un “ente non commerciale”, ossia non deve distribuire gli utili e gli avanzi di gestione ed è obbligato, in caso di scioglimento, a devolvere il patrimonio residuo a fini di pubblica utilità. In pratica tutto quello che un ente non commerciale “guadagna” (con attività commerciali, con richieste di rette o importi, con la raccolta di offerte, con l’autofinanziamento dei soci, con i contributi pubblici, ecc.) deve essere utilizzato per le attività che svolge e non può essere intascato da nessuno.

2. L’immobile deve essere destinato “esclusivamente” allo svolgimento di una o più tra le otto attività di rilevante valore sociale individuate dalla legge.

Evidente ed apprezzabile la finalità delle esenzioni: lo Stato ha voluto agevolare tutti quei soggetti che svolgono attività sociale secondo criteri di “no profit”.

La novità della Corte di cassazione
Ora, mentre per più di dieci anni queste norme sono state applicate dai Comuni senza alcun problema, i soliti noti hanno iniziato dei contenziosi e nel 2004 la Corte di Cassazione, pronunciandosi su un immobile di un istituto religioso destinato a casa di cura e pensionato per studentesse, ha fornito una interpretazione non prevista dalla legge (… tutto ciò non vi ricorda qualcosa?): i giudici infatti hanno aggiunto un nuovo requisito per avere diritto all’esenzione sia necessario anche che l’attività “non venga svolta in forma di attività commerciale”.

Quale è la novità? È chiaro che cambia tutto se si sposta l’attenzione dalla natura “commerciale” dell’ente proprietario (come richiesto dalla norma) alla natura della “attività commerciale” effettuata (come innovato dalla Corte). Per capire la singolarità della decisione si devono tenere presenti due aspetti:

1. dal punto di vista tecnico, le attività sono considerate commerciali non quando producono utili, ma quando sono organizzate e rese a fronte di un corrispettivo, cioè con il pagamento di una retta o in regime di convenzione con l’ente pubblico: è evidente che alcune delle attività elencate dalla legge (si pensi a quelle sanitarie o didattiche) di fatto non possono essere che “commerciali” in questo senso;

2. “commerciale” non vuol dire “con fine di lucro”: per la legge, infatti, è “commerciale” anche l’attività nella quale vengono chieste rette tanto contenute da non coprire neanche i costi: in pratica, l’esenzione perde ogni senso se interpretata così.

In parole povere, se chiedi anche un cent sei fuori dall’esenzione! E zac, rimane fuori praticamente tutto il no-profit! Via il bambino con l'acqua sporca (a scanso di equivoci, la Chiesa rientrerebbe ovviamente nella seconda voce).
Prima interpretazione autentica
Davanti agli effetti disastrosi che una tale interpretazione avrebbe creato nel mondo del “no profit”, lo Stato italiano è intervenuto con una interpretazione autentica (art. 7 del decreto legge n. 203/2005, governo Berlusconi), ribadendo la sufficienza dei due requisiti iniziali e stabilendo che, ai fini dell’esenzione dall’ICI, non rilevava l’eventuale commercialità della modalità di svolgimento dell’attività.

Denuncia della Commissione Europea
L’interpretazione autentica non deve essere piaciuta, poiché nello stesso anno questa disposizione è stata impugnata di fronte alla Commissione europea denunciandola come “aiuto di Stato”. In pratica, sul presupposto che gli enti non commerciali che svolgono quelle attività socialmente rilevanti sono comunque da considerare “imprese” a tutti gli effetti, si è sostenuto che l’esenzione costituirebbe una distorsione della concorrenza nei confronti dei soggetti (società e imprenditori) che svolgono le stesse attività con fine di lucro soggettivo.
Come a dire: perché mai deve essere agevolato chi offre servizi assistenziali senza guadagnarci (eh già, perché mai …?!).

Seconda intepretazione autentica e istituzione della Commissione ministeriale
Per escludere ogni dubbio lo Stato è intervenuto con una seconda interpretazione autentica (art. 39 del D.L. n. 223/2006, governo Prodi), con la quale è stato precisato che l’esenzione deve intendersi applicabile se l’attività è esercitata in maniera “non esclusivamente commerciale”. Il nuovo intervento appare molto equilibrato, perché precisa il senso dell’esenzione permettendo di evitare abusi.
Peraltro, presso il Ministero dell’economia e delle finanze è stata poi istituita una commissione con il compito di individuare le modalità di esercizio delle attività che, escludendo una loro connotazione commerciale e lucrativa, consenta di identificare gli elementi della “non esclusiva commercialità”.

Chiusura del fascicolo per due volte e recente riapertura
Alla luce della seconda interpretazione autentica e della maggiore definizione dei limiti grazie alla Commissione appositamente istituita, la Commissione europea ha chiuso la procedura di infrazione con esclusione di ogni “aiuto di Stato”. Successivamente ne è stata aperta un’altra, sempre sulla stessa linea, e anche questa è stata chiusa per chiara infondatezza.
Ad ottobre di quest’anno [2010], però, il Commissario europeo per la concorrenza (Joaquín Almunia, spagnolo, predecessore del simpatico Zapatero al partito socialista), nonostante le due archiviazioni ha riaperto una ennesima procedura di infrazione. Staremo a vedere.

Qualche riflessione
Bene. Ora abbiamo gli strumenti per rispondere alle gentili domande del nostro ipotetico (ma neanche tanto) amico.

- “L’esenzione è riservata agli enti della Chiesa cattolica”.
In realtà abbiamo visto che la legge destina l’esenzione a tutti gli enti non commerciali, categoria nella quale rientrano certamente gli enti ecclesiastici, ma che comprende anche: associazioni, fondazioni, comitati, onlus, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, associazioni sportive dilettantistiche, circoli culturali, sindacati e partiti politici (che sono associazioni), enti religiosi di tutte le confessioni e, in generale, tutto quello che viene definito come il mondo del “non profit”. Non si dimentichi inoltre che fanno parte degli enti non commerciali anche gli enti pubblici.

- “L’esenzione vale per tutti gli immobili della Chiesa cattolica”.
Come abbiamo evidenziato sopra, l’esenzione richiede la compresenza di due requisiti: quello soggettivo, dove rileva la natura del soggetto (essere “ente non commerciale”) e quello oggettivo, dove rileva la destinazione dell’immobile (utilizzarlo “esclusivamente” per le attività di rilevanza sociale individuate dalla legge ed in modo “non esclusivamente commerciale”). Non è vero, quindi, che tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali (e, quindi, della Chiesa cattolica) sono esenti: lo sono solo se destinati alle attività sopra elencate. In tutti gli altri casi pagano regolarmente l’imposta: è il caso degli immobili destinati a librerie, ristoranti, hotel, negozi, così come delle case date in affitto.
- “L’esenzione vale per ogni imposta”.
In realtà l’esenzione dall’ICI (che è un’imposta patrimoniale) non ha alcun effetto sul trattamento riguardante le imposte sui redditi e l’IVA, né esonera dagli adempimenti contabili e dichiarativi. Infatti gli enti non commerciali, compresi quelli della Chiesa cattolica (parrocchie, istituti religiosi, seminari, diocesi, ecc.), che svolgono anche attività fiscalmente qualificate come “commerciali” sono tenuti al rispetto dei comuni adempimenti tributari e al versamento delle imposte secondo le previsioni delle diverse disposizioni fiscali.

- “Gli alberghi sono esenti”.
Attenzione, questa è insidiosa. Per dimostrare come l’esenzione prevista dalla norma sia iniqua, danneggi la concorrenza e non risponda all’interesse comune, viene citato il caso dell’albergo che, in quanto gestito da enti religiosi, sarebbe ingiustamente esente, a differenza dell’analogo albergo posseduto e gestito da una società.
Peccato, però, che l’attività alberghiera non rientra tra le otto attività di rilevanza sociale individuate dalla norma di esenzione. Perciò gli alberghi, anche se di enti ecclesiastici, non sono esenti e devono pagare l’imposta. Ad essere esenti sono, piuttosto, gli immobili destinati alle attività “ricettive”, che è ben altra cosa. Si tratta di immobili nei quali si svolgono attività di “ricettività complementare o secondaria”. In pratica, le norme nazionali e regionali distinguono fra ricettività sociale e turistico-sociale:

§ La prima comprende soluzioni abitative che rispondono a bisogni di carattere sociale, come per esempio pensionati per studenti fuori sede oppure luoghi di accoglienza per i parenti di malati ricoverati in strutture sanitarie distanti dalla propria residenza.

§ La seconda risponde a bisogni diversi da quelli a cui sono destinate le strutture alberghiere: si tratta di case per ferie, colonie e strutture simili.

Entrambe sono regolate, a livello di autorizzazioni amministrative, da norme che ne limitano l’accesso a determinate categorie di persone e che, spesso, richiedono la discontinuità nell’apertura. Se si verifica che qualche albergo (non importa se a una o a cinque stelle) si “traveste” da casa per ferie, questo non vuol dire che sia ingiusta l’esenzione, ma che qualcuno ne sta usufruendo senza averne diritto. Per questi casi i comuni dispongono dello strumento dell’accertamento, che consente loro di recuperare l’imposta evasa.

- “Basta una cappellina per ottenere l’esenzione”.
Questa è più simpatica che ridicola. È del tutto falso che una piccola cappella posta all’interno di un hotel di proprietà di religiosi renda l’intero immobile esente dall’ICI, in base al fatto che così si salvaguarderebbe la clausola dell’attività di natura “non esclusivamente commerciale”. È vero esattamente l’opposto: dal momento che la norma subordina l’esenzione alla condizione che l’intero immobile sia destinato a una delle attività elencate e considerato che – come abbiamo visto sopra – l’attività alberghiera non è tra queste, in tal caso l’intero immobile dovrebbe essere assoggettato all’imposta, persino la cappellina che, autonomamente considerata, avrebbe invece diritto all’esenzione.

- “Ma io conosco personalmente casi in cui quello che dici non viene applicato”.
Chi sbaglia, fosse anche membro della Chiesa cattolica, è tenuto a pagare, come qualsiasi altro cittadino che infrange la legge. Ciò non significa, tuttavia, che la legge sia per ciò solo sbagliata, non vi pare?

- "Persino l'Europa ci sta sanzionando".
L'europa ha aperto due procedure di infrazione e in entrambi i casi ha deciso per l'archiviazione. Una terza procedura è stata aperta ora da un soggetto dichiaratamente ostile alla Chiesa cattolica e la procedura è allo stato iniziale.
Ad ogni modo, l'Europa ha espresso dubbi sempre e solo con riferimento alla presenza o meno di "aiuti di Stato", ossia su presunti meccanismi distorsivi della concorrenza. Questione (peraltro già smentita due volte) che con i rapporti tra Stato e Chiesa nulla c'entra.

Riassumendo: il problema dell’esenzione dell’ICI alla Chiesa cattolica non è altro che un pretesto per attaccare quest’ultima ed è portato avanti con un accecamento pari solo all’odio per chi da due millenni proclama incessantemente Gesù Cristo al mondo intero. Basti pensare che, se venisse davvero meno l’esenzione per questi immobili perché ritenuta “aiuto di Stato”, si aprirebbe la strada all’abolizione di tutte le agevolazioni previste per gli enti non lucrativi, a partire dal trattamento riservato alle Onlus.
Ma questo non ditelo alle Onlus, loro sono meno misericordiose della Chiesa cattolica!