martedì 24 novembre 2009

Perchè scegliere Teologia.

La scelta universitaria è sicuramente una delle decisioni più impegnative per i giovani: si tratta di una fase delicata di bilanciamento tra aspettative e studi pregressi, attitudini e consigli di familiari, professori e amici più grandi, senza tralasciare un’occhiata attenta e preoccupata all’andamento del mercato del lavoro… Questa la “rete protettiva” del grande “salto nel buio” o, meglio, verso il proprio futuro! Giurisprudenza, Lettere, Ingegneria, Scienze della comunicazione, Medicina…quale sarà la strada “giusta”? E se fosse… Teologia? Impossibile: è una facoltà solo per preti e suore! Sicuri?
Alessia Palmegiani, trentaduenne carina e spigliata, docente di religione nella diocesi di Roma, ci racconta cosa l’ha spinta a diciotto anni da Poggio Bustone, in provincia di Rieti, alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Come mai hai scelto di studiare Teologia?
E' difficile spiegare ciò che mi ha indotto ad andare a Roma per studiare Teologia: si è trattato di sensazioni che non ho ben decodificato. Fortunatamente, ho ascoltato il mio cuore che mi diceva che era la cosa giusta…e ho avuto il coraggio di farla!
Sicuramente è una scelta nata da una grande fede e dal desiderio di approfondirla…
Sono stata segretaria della Gioventù Francescana per molti anni, ma dopo la prematura morte di mio padre, io, ragazza impegnata da sempre nella mia piccola chiesa di paese, mi sono sentita tremendamente sola e il dolore interiore è stato lacerante. Vedevo tutto come un'ingiustizia e, anche se non volevo, ero arrabbiata con Dio. Terminato il Liceo, avevo deciso di intraprendere gli studi di Lettere Classiche a Perugia, dove ho trascorso il primo anno fuori casa. In quell'anno l'apatia di vivere mi avvolse, ma soprattutto non trovavo appagamento in ciò che studiavo, perché non dava risposte alle mie domande interiori.
E cos’è successo?
Una sera, mentre pregavo davanti al Santissimo Sacramento, ho capito che dovevo cercare le mie risposte in Lui. E mi sono ricordata che alcuni anni prima un mio caro amico frate minore, P. Andrea, mi aveva parlato degli studi teologici alla Gregoriana, perché gli avevo confidato che mi sarebbe piaciuto studiare "le cose di Dio". Non sapevo bene neppure io di cosa si trattasse: credo di aver fatto un po' l'esperienza di Abramo, lasciando tutto per la mia Terra Promessa!
Qual è stata la reazione a casa?
La notizia mandò mia madre in crisi, ma nel silenzio rispettò il mio desiderio e mi permise di farlo.
E come ti sei inserita, giovane e laica, in un ambiente prevalentemente “ecclesiastico”?
Il primo periodo non è stato semplice: la solitudine era la mia compagna intima e la filosofia "una costrizione" nel mio percorso. Ma, poco a poco, ho iniziato a conoscere i miei compagni di corso e le altre giovani laiche degli anni successivi. Mi sono accorta di non essere la sola in cammino e spesso mi sono trovata ad essere la confidente dei miei amici seminaristi (ora sacerdoti). In quei momenti sentivo che Dio mi confermava in quello che stavo facendo: riuscivo a comprendere che il Signore mi aveva attirato lì per servire la Chiesa nel suo cuore, per aiutare, nella mia piccolezza, a formare uomini e donne di Dio. E forse proprio la mia semplicità e la mia giovane età mi hanno aiutata a ricevere dai Padri Gesuiti dell’Università Gregoriana tanto affetto e stima, ma soprattutto la tenerezza del loro sguardo paterno.
Sono nate delle belle amicizie in quegli anni…
Sì, determinante è stata l'amicizia con suor Erika, che, pur essendo più grande di me di qualche anno, ha sempre condiviso con me tutto. Grazie a lei ho toccato con mano cosa vuol dire San Giovanni quando parla dell'amicizia, del far conoscere agli altri quello che Dio ci comunica.
Che ricordo conservi di quegli anni? Che tesoro porti nel cuore?
Le cose che conservo nel cuore sono tante, ma ricordo in modo profondo la Messa del mattino nella cappella degli studenti al piano terra: le riflessioni dei professori, i canti, la distribuzione dell'Eucaristia e la preghiera sono stati l'alimento dei miei otto anni alla Gregoriana. E' stata questa la sorgente della mia forza e la luce per il mio intelletto. Sentivo che la mano di Dio era sopra il mio capo, benedicendomi.
Da sei anni insegni religione in alcune scuole pubbliche di Roma: come ti hanno accolto i tuoi alunni?
Iniziare ad insegnare è stato importante, perché ho preso coscienza di alcune capacità che non sapevo di avere. La mia giovane età è come una medaglia, ha due risvolti, ma credo che la serietà e la passione abbiano la meglio anche a scuola. Gli alunni restano colpiti dalle tante cose che puoi insegnare, ma vogliono vedere un modello dal quale attingere e soprattutto una persona di fede che parli loro di Dio con amore: sono la Prof di Religione!!!
Quali sono le gioie e le soddisfazioni del tuo lavoro?
Vedere che iniziano a studiare e ad appassionarsi alla tua materia, vederli maturare come persone e crescere come gruppo-classe, osservare che iniziano a rispettarti e a salutarti per i corridoi (non solo gli studenti!), divertirsi insieme durante i campi-scuola e scoprire che ti chiedono amicizia su Facebook: tutto questo indubbiamente gratifica e dà forza per continuare a crederci!
Oltre al matrimonio con il tuo fidanzato, quali sono i tuoi sogni e progetti per il futuro?
Dopo la realizzazione affettiva e una casa, i sogni sono tanti… Vorrei riprendere gli studi di Teologia per conseguire il dottorato e poter così insegnare anche ai più grandi. E poi mi piacerebbe tenere delle riflessioni spirituali nelle parrocchie per far sentire le persone più vicine a Dio.
Per ora ho iniziato una collaborazione con la Diocesi di Tivoli per insegnare Introduzione alla Sacra Scrittura al corso di Teologia per laici, ma il sogno nel cassetto è poter fare lezione tra le campagne del Centro Italia in un bell’agriturismo, immersi nella bellezza del creato.
Bellezza del creato…che è un riflesso della Bellezza di Dio, presente anche nello sguardo di coloro che Lo amano con cuore sincero e “non si vergognano del Vangelo” (cfr Rm 1,16), ma lo annunciano con la semplicità dei piccoli di Dio. Grazie di cuore, Alessia, per la tua bella testimonianza e per il tuo impegno!

Marianna Russo
del giornale Agire

martedì 17 novembre 2009

La sindrome del Niagara

Ricordo di averla letta da qualche parte.

Secondo me la vita è come un fiume,
e la maggior parte degli uomini si lancia in questo fiume
senza sapere esattamente dove vuole andare a finire.

Così, in breve tempo si lascia prendere dalla corrente:
dagli eventi correnti,
dalle paure correnti,
dalle sfide correnti.

E quando arriva a una biforcazione del fiume,
non riesce a decidere consapevolmente da che parte andare,
o quale è la direzione giusta.

Si limita ad "andare con la corrente".

Entra a far parte della massa di persone che si lasciano guidare dall'ambiente invece che dai valori.…

e mentre naviga faticosamente lungo il fiume
concentrandosi di volta in volta sulla prossima roccia,
contro cui può andare a sbattere,
non vede,
o non può vedere abbastanza lontano davanti a lui,
per evitare la cascata.
Di conseguenza, sente di avere perso il controllo.

E resta in questo stato d'incoscienza
Fino al giorno in cui il fragore dell'acqua lo sveglia
e si rende conto di stare a un paio di metri dalle cascate del Niagara,
in una barca senza remi.

A questo punto esclama: "Accidenti!"

Ma ormai è troppo tardi. Finirà col precipitare.

A volte il crollo è emozionale.
A volte fisico.
A volte finanziario.
A volte è spirituale

E' probabile che ,
qualsiasi sfida incontriate nella vostra vita,
avreste potuto evitarla con una migliore decisione,
presa più a monte.

Novembre

Novembre, il mese tradizionalmente dedicato alla commemorazione dei fedeli defunti, riporta a galla il “tabù” di ogni uomo, soprattutto nella società contemporanea, quella realtà problematica alla quale anche noi cristiani cerchiamo di non pensare mai, la morte.
Chi di noi non ha sperimentato sulla propria pelle e nel proprio cuore lo “strappo” doloroso per la perdita di persone care? E come affrontare “cristianamente” questi inevitabili e drammatici eventi?
Non siamo certo chiamati a far finta di niente, a “spegnere” il cuore e i sentimenti, a fingerci super-eroi che non conoscono sofferenza, che non piangono mai: non c’è niente di più falso e pericoloso di un cristiano “apatico” (etimologicamente, senza emozioni, sentimenti…)!
“Non ci è domandato di essere forti nei momenti di sofferenza. Non si chiede al grano, quando lo si macina, di essere forte, ma di lasciare che la macina del mulino ne faccia della farina” (Madeleine Delbrel, “Indivisibile Amore”).
Cosa ci ha insegnato il Maestro? Gesù, vero Dio e vero uomo, ha pianto per la morte dell’amico Lazzaro (Gv 11,35) e si è commosso profondamente davanti alla piccola bara dell’unico figlioletto della vedova di Nain (Lc 7, 12-15), si è chinato con materna compassione su ogni ammalato e sofferente incontrato sul Suo cammino.
Da cristiani, quindi, non possiamo chiudere gli occhi e le orecchie davanti alla sofferenza, ma non dobbiamo neanche cedere alla tentazione di crogiolarci, deprimerci e lasciarci sopraffare, schiacciare dal suo peso: noi sappiamo che la morte non ha l’ultima parola!
Il nostro dolore è impregnato di lacrime e speranza perché abbiamo riposto la nostra fiducia in Colui che ha detto “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25-26).
E anche a noi, come a Marta, la sorella dell’amico Lazzaro, chiede: “Credi tu questo?” (Gv 11,26).
A ciascuno di noi la risposta.
Marianna Russo
del giornale Agire

Gesù al centro!

Qual è il “segreto” della santità?
Mettere Gesù al centro della propria vita!
E i giovani di Roma ci hanno provato con la missione diocesana intitolata, appunto, “Gesù al centro”: per un’intera settimana il cuore della Capitale si è colorato di gioia e di speranza grazie all’entusiasmo dei 400 “missionari” che hanno animato Piazza del Popolo e Piazza Navona con canti, giochi e balli…alla faccia di chi pensa che essere cristiani significhi annoiarsi! Non solo: numerosi sono stati gli ospedali e gli istituti scolastici “visitati” dai giovani testimoni, che, con semplicità e generosità, hanno condiviso l’esperienza del proprio incontro con Dio, incontro che cambia la vita e le dà un senso nuovo, più vero, più bello…fino a spingerti a cantare le Sue meraviglie, senza vergogna, anche per le strade della città!
Il programma della missione diocesana è stato fitto di spettacoli di evangelizzazione, concerti di musica cristiana, conferenze, ospiti d’eccezione come Claudia Koll, Erika Provinzano (finalista del Good News Festival), il Vescovo dell’Aquila S.E. Mons. Giuseppe Molinari, il vaticanista Luigi Accattoli…
Tanti i sacerdoti impegnati ad accogliere, ascoltare e perdonare in nome di Dio presso la Tenda della Riconciliazione; numerosi i giovani, le religiose e consacrate, le coppie di sposi disponibili presso la Tenda dell’Incontro per un colloquio…
L’iniziativa, ormai alla sua sesta edizione, è nata per “percorrere nuove vie di evangelizzazione e creare uno spazio di confronto tra i ragazzi su tematiche di fede”, ha spiegato don Maurizio Mirilli, Direttore del Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile, e notevole è stato l’impegno profuso da tutti i partecipanti. Ma il protagonista è sempre Lui: è Gesù che chiama, parla al cuore, si lascia incontrare! L’amato servo di Dio Giovanni Paolo II ripeteva spesso ai “suoi” giovani: “È Lui che cercate quando sognate la felicità!”. E la chiesa di S. Agnese in Agone a piazza Navona, traboccante fino alle 24 di cuori inginocchiati davanti al Santissimo Sacramento, non lascia adito a dubbi: i giovani sono intelligenti…e hanno “scelto la parte migliore” (Lc 10,42)!

Marianna Russo
del giornale Agire

martedì 10 novembre 2009

Diamo senso

Mi raccontava una giovane suora di un suo piccolo problema, al quale non aveva ancora dato risposta. Talvolta le risposte sono molto semplici, direi ovvie, ma non è sempre facile trovarle e lei su questo argomento era ancora, diciamo, sulla strada della ricerca. Dunque lei trovava difficoltoso il rispetto degli orari della sua comunità: spesso e volentieri si tratteneva con i genitori dei suoi alunni, era anche insegnante, e giungeva poi in ritardo all’ora del pranzo, quando tutte le consorelle erano riunite. Altre volte si fermava a parlare con il sacerdote, o qualcun altro, e poi giungeva fuori orario all’ora comunitaria della preghiera. E così via. Sta di fatto che la comunità aveva cominciato a sentirsi a disagio per questi suoi ritardi e la stessa madre superiora le aveva già fatto qualche richiamo. “Ma se sto parlando con un genitore, non è cosa buona per la educazione dei figli? e se parlo di un argomento importante con il sacerdote, sarebbe giusto interrompere il discorso solo per andare in comunità, quando là ci sto tutto il giorno? Che senso avrebbe fare diversamente?” In sostanza questa suora pensava che mettersi a disposizione del prossimo fosse molto più importante dell'osservanza di tante regole imposte dalla vita comunitaria. Non che queste regole le ritenesse sbagliate, solo che per lei venivano dopo altre cose più importanti: pensava anche che era ora di svecchiare il sistema, e che si doveva diventare tutti un pò più pratici.

Ragionando insieme su questo argomento siamo giunti alla conclusione che l’intelligenza dell’uomo reclama sempre comportamenti che siano razionali e che abbiano senso. E fra i valori di questa suora, nella scala di priorità (abbiamo tutti una scala di priorità dei nostri valori), c’era prima il servizio al prossimo, poi gli adempimenti di vita comunitaria. Come in un quadro quando ci sono delle immagini in primo piano ed altre sullo sfondo. Stando così le cose, lei si stava comportando con coerenza, occupandosi delle cose in primo piano, perché così pensava di servire meglio il Signore, nonostante registrasse del malcontento sullo sfondo.

E’ bastato recuperare il profondo significato spirituale per una consacrata della “regola” e dei santi principi di umiltà ed obbedienza, perché cambiasse la scala di priorità dei suoi valori, e quindi fossero riportati in primo piano quei significati che si erano perduti sullo sfondo. Ora il suo comportamento ha potuto modificarsi con facilità perché era stato recuperato nuovo senso e nuova forza al suo agire.

Abbiamo detto che questo processo, del dare senso a quello che facciamo, è comune a tutti noi in quanto esseri dotati di intelligenza e raziocinio. Ed è importante prendere coscienza che il nostro agire, in ogni circostanza, è sempre coerente con i principi che "abbiamo dentro", anche se non ne siamo sempre pienamente consapevoli.
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Un esempio? Prendiamo il problema di attualità in questi giorni sull’esporre il crocifisso nelle scuole: se la croce, nella nostra scala interna dei valori occupa un posto importante, ci batteremo in tutti i modi per mantenerla esposta. Se invece si trova sullo sfondo, allora ci sono tante cose più importanti che vengono prima, compreso il rispetto di qualsiasi altro punto di vista, verso il quale, come conseguenza, ci scopriamo benevoli e facilmente tolleranti.

Così funzionano le cose, e purtroppo ci è dato di cogliere che i valori religiosi si stanno sempre più spostando sullo sfondo della nostra vita personale e sociale.
Dobbiamo prendere atto che è nella nostra natura di esseri dotati di coscienza ed intelligenza l'essere coerenti con noi stessi e pertanto le nostre azioni non sono che espressione e carta tornasole dei nostri valori e sentimenti profondi. Dunque, abbiamo quello che siamo.

Ottobre mese del Santo Rosario

Ottobre, mese devozionalmente dedicato al Santo Rosario, la preghiera più popolare, la più semplice, con quel susseguirsi di “Ave Maria”, i tanti piccoli baci che i figlioletti danno alla Mamma, i dolci “ti voglio bene” che un cuore innamorato non si stanca di ripetere con tenerezza, anche cinquanta volte di seguito…
Oggi, nell’epoca della continua lotta contro il tempo, travolti come siamo da mille impegni da incastrare…qual’è il destino della corona del Rosario, che le nostre nonne e mamme “accarezzavano” con tanta devozione, sgranandola tutte le sere per affidare alla Vergine i loro cari, vicini e lontani? Che ne è della preghiera “preferita” dall’amato servo di Dio Giovanni Paolo II (cfr lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae”)? È timidamente nascosta in fondo ai nostri cassetti e al nostro cuore per sfuggire al rumoroso coro di “perché sprecare così il tempo?”, “a che serve?”, e, nella migliore delle ipotesi, “non sarebbe meglio dedicare quel tempo al volontariato?”.
La risposta più efficace per mettere in fuga questi subdoli dubbi viene dalla testimonianza di Madre Teresa di Calcutta, una grande santa della carità, “che frequentava i bassifondi del mondo, povera, amica degli ultimi, dei dimenticati, dei non-amati”, e allo stesso tempo donna di profonda spiritualità, che dedicava ore e ore alla preghiera, iniziando la giornata ai piedi del Santissimo Sacramento.
“Da una persona che non dimentica di pregare, tutti i dimenticati della terra possono sperare di ricevere attenzione, rispetto, addirittura una vita in dono. Quando si restringono gli spazi della preghiera non è che si allarghino quelli della carità…al contrario lo spazio lasciato libero viene occupato dall’egoismo, dall’indifferenza e dall’estraneità. È il dialogo con Dio che produce la carità” (don Alessandro Pronzato).
Ricordiamocene quando ci solletica la tentazione di sostituire con il “fare” il tempo dello “stare” ai piedi del Maestro! E per noi che abbiamo sempre fretta…c’è un “segreto” da non sottovalutare: Maria è la “scorciatoia per il cielo” (Maria Di Lorenzo)!
Marianna Russo
del giornale Agire

giovedì 5 novembre 2009

Quando leggere la Bibbia?

Magari ogni giorno e possibilmente, tutta di seguito. Ma può essere letta anche a temi, secondo le necessità e gli stati d'animo particolari in cui ci si trova. A questo scopo segnaliamo alcuni Salmi e altri brani biblici, per alcune situazioni particolari.

Quando sei triste
Salmi 33; 40; 42; 51; Vangelo di Giovanni cap.14

Quando gli amici ti abbandonano
Salmi 26; 35, Vangelo di Matteo cap.10, Vangelo di Luca cap.17; Lettera ai Romani cap.12

Quando hai peccato
Salmi 50; 31; 129; Vangelo di Luca cap. 15 e 19, 1-10

Quando vai in chiesa
Salmi 83; 121

Quando ti trovi nei pericoli
Salmi 20; 69; 90; Vangelo di Luca cap. 8,22-25

Quando Dio ti sembra lontano
Salmi 59; 138; Isaia 55,6-9; Vangelo di Matteo cap.6,25-34

Quando ti senti depresso
Salmi 12; 23; 30; 41; 42; Prima lettera di Giovanni 3,1-3

Quando ti assale il dubbio
Salmo 108; Vangelo di Luca cap. 9,18-22; Vangelo di Giovanni cap. 20,19-29

Quando ti senti sopraffatto
Salmi 22, 42, 45; 55; 63

Quando senti il bisogno di pace
Salmo 1, 4, 85; Vangelo di Luca cap. 10,38-42; Lettera agli efesini 2,14-18

Quando senti il bisogno di pregare
Salmi 6, 20; 22, 25, 42; 62; Vangelo di Matteo cap. 6,5-15; Vangelo di Luca cap. 11,1-3

Quando sei malato
Salmi 6; 32; 38; 40; Isaia 38, 10-20, Vangelo di Matteo cap. 26, 39; Lettera ai Romani 5,3-5; Lettera agli Ebrei 12,1-11, Lettera a Tito 5,11

Quando sei nella tentazione
Salmi 21; 45; 55; 130; Vangelo di Matteo cap. 4,1-11; Vangelo di Marco cap. 9,42; Vangelo di Luca cap.21,33-36

Quando sei nel dolore
Salmi 16; 31; 34, 37; 38; Vangelo di Matteo cap. 5,3-12

Quando sei stanco
Salmi 4; 27; 55; 60; 90; Vangelo di Matteo cap. 11,28-30

Quando senti il bisogno di ringraziare
Salmi 18; 65, 84, 92; 95; 100; 103; 116; 136; 147; Prima lettera ai Tassalonicesi 5,18; Lettera ai colossesi 3,12-17; Vangelo di Luca cap.17,11-19

Quando sei nella gioia
Salmi 8, 97, 99; Vangelo di Luca cap. 1,46-56; Lettera ai Filippesi 4,4-7

"Come la pioggia e la neve discendono dal cielo e non vi salgono senza aver innaffiata la terra e averla fecondata e fatta germogliare perchè dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola della mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata" (Isaia 55, 10-11)

domenica 1 novembre 2009

cui prodest?

Assistiamo in questi giorni ad una vera e propria invasione di parole, servizi, inchieste che riguardano una certa categoria di persone chiamate trans. Sapevamo che si tratta di una realtà che c’è sempre stata, ma non ne conoscevamo più di tanto i dettagli, perché su questi si era sempre mantenuto riserbo. Ora, approfittando di un episodio di cronaca, si è voluto sollevare questo velo, e lo si è fatto nel modo più impietoso ed irriverente, dimenticando l’umanità e la sofferenza dei suoi protagonisti ed il dovuto rispetto che ogni essere umano si merita. Le immagini che con malcelato compiacimento e dovizia di particolari i mass media ci vanno proponendo sono quelle di un mondo di prostituzione e di ambienti di degrado, di bellezze perverse e di vizi inconfessabili. Come se la realtà di queste persone stesse tutta e soltanto qua. E su questo triste spaccato di vita ci si astiene scrupolosamente dall’esprimere anche solo timidi giudizi, perché la morale ha lasciato il posto alla privacy, il buon gusto alla libertà di espressione del pensiero e così via.

Dunque, tutto questo chiasso a cosa sta servendo? Cui prodest? Certamente sta dando una insperata visibilità ad una particolare categoria di persone (direi sotto-categoria o sottoinsieme perché non riguarda tutto l’universo dei trans) ed al loro modo di gestire la vita; lustrini luminosi all’opaco apparato intessuto di prostituzione (e droga) che le circonda. Ad alcuni di questi protagonisti si va offrendo l’onore dei riflettori con interviste alla televisione e servizi fotografici; si concede l’opportunità di presentare il loro vivere con tinte divistiche e di successo e di farsi pubblicità. Sono proposti alla collettività come se il loro modo di vivere, a parte qualche smagliatura che è in tutte le cose umane, fosse naturale e buono, moralmente accettabile, intelligente, divertente, da imitare. Potremmo dire che i mass media, colla pretesa di dare informazione, come effetto collaterale stanno imbastendo una grossa operazione di marketing a loro favore.

In sostanza il confine fra il bene ed il male, il giusto e l’ingiusto, del moralmente accettabile, si sta impietosamente spostando, al punto che i criteri di valutazione e di scelta una volta ritenuti patrimonio di civiltà stanno perdendo di riferimenti e di consistenza. Oramai tutto è lecito, tutto si può dire, rappresentare, sostenere, salvando ovviamente certe parvenze più nella forma che nella sostanza, perché non ci sono più criteri o linee guida che una volta chiamavamo valori.
E quello che preoccupa è che i nostri figli, che crescono in questa dimensione di ambiente, sono i primi ad assorbire e considerare naturale ed accettabile una visione della vita così allargata.

Dunque, tornando ai mass media, ci si deve rendere conto che il diritto di cronaca ha anche dei limiti. Che questi mezzi non sono innocui ma hanno un grosso potere nella formazione delle coscienze nella misura in cui suggeriscono pensieri, comportamenti e modelli di vita.

E che ne è della Parola di Dio? Siamo consapevoli che nel sentire comune non è più ritenuto di stile, o intellettualmente corretto, per usare una frase di moda, o di utilità, l’inserire il pensiero di Dio nei nostri discorsi. E tantomeno considerarlo criterio di valutazione e di scelta di vita. Il mondo vuole, a suo dire, gente concreta e realista, e non fantasiosa e bacchettona. Su certi argomenti poi, tutti sappiamo che la Scrittura ci va giù pesante, e quindi per quieto vivere è ancora più opportuno il lasciare perdere. E noi cristiani alle volte lo facciamo pure, il lasciare perdere, ma ammettiamolo, con molto stile, mostrando virtuoso pudore travestito e reso elegante da larghezza di vedute, tolleranza e rispetto degli altri.

Così avviene che Parola di Dio viene messa da parte, resa improduttiva.

Purtroppo ci dimentichiamo di chi è Dio e del timor di Dio.

Forse (?), mi ripeto, anche noi cristiani abbiamo le nostre colpe quando sdrammatizziamo troppo certe realtà, e con spirito comprensivo e bonario… lasciamo correre. Dimenticando, lo ripeto, quello che Dio ci chiede.

Ci dimentichiamo della grossa responsabilità alla quale siamo chiamati, che è di dare testimonianza alla Verità, e di collaborare con Dio a costruire il Suo regno in un mondo migliore.
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Il frutto dell'albero

Genesi 3
1Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". 2Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". 4Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". 6Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

Uno dei protagonisti di questa storia è il frutto dell’albero. Un semplice frutto, forse una mela, che poi sapremo dalla Scrittura, ha segnato il destino dell’uomo. E su questo frutto si sono formati due schieramenti contrapposti: da una Parte Dio che ha detto: "Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". Dall’altra la donna, ma anche l’uomo, che guardando videro “Che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”.
Due prospettive completamente diverse quindi. E su questo dilemma i nostri progenitori sono stati chiamati a fare la loro scelta. Hanno dovuto decidere, ma in base a quali criteri? Come hanno fatto a scegliere? Cosa si sono detti quando ragionavano sull’argomento? Senz’altro, essendo esseri umani dotati di sensi e di intelligenza hanno fatto affidamento su quello che vedevano: gradito agli occhi; all’esperienza del proprio gusto: buono da mangiare; della propria intelligenza: desiderabile. Come negare queste evidenze? Perché il negarle sarebbe equivalso, nel profondo della psiche, a negare se stessi, la propria identità, con le capacità che la caratterizzano. Come dire che non posso fare conto su di me, su quello che vedo, provo, sento. Cioè all’annullamento totale del mio essere e quindi la morte.

I nostri progenitori hanno senz’altro ragionato al loro meglio quando hanno percepito che era giusto decidere per il loro verso, anche perché il “Non ne dovete mangiare” non lo capivano e lo trovavano privo di senso. Allora cosa hanno fatto? Hanno scartata la proposta di Dio, la hanno semplicemente messa da parte ed ignorata, prendendo potere sulla realtà dell’albero, assumendosene la responsabilità e decidendo secondo la loro ragione.

Hanno fatto un solo errore: si sono dimenticati di chi aveva rivolto loro la parola: non era una persona qualsiasi, e neppure un serpentello qualsiasi, ma Dio in persona. E questa consapevolezza sarebbe stata sufficiente a far cambiare loro idea.

E’ un po’ quello che succede ai nostri giorni: ci appropriamo delle nostre realtà e decidiamo in proposito, dimenticando che Dio si è espresso ed ha dato dei comandi ben precisi. Costruiamo la nostra vita come si costruisce un film: mettiamo in primo piano i nostri punti di vista, mentre quelli di Dio li spostiamo più indietro… fino ad arrivare sbiaditi sullo sfondo… fino a scomparire.

Ci dimentichiamo di chi è Dio (dove è finito il timor di Dio?) e ci dimentichiamo, ahimè, anche della seconda parte del suo parlare: “Altrimenti morirete”.
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