giovedì 28 aprile 2011

Dalla teoria alla pratica nella preghiera (parte terza)

I canali che noi possiamo adoperare sono la mente, la volontà, le emozioni, l’immaginazione, la memoria. Tutti da purificare, ma tutti da usare. Gesù stesso li ha usati. Il vero salto di qualità però è la preghiera dell’innamorato. Dobbiamo chiedere insistentemente a Dio di farci innamorare di Lui. Solo da innamorati riusciremo a far coincidere la nostra piccola volontà con la sua: Non chi dice “Signore! Signore!” entrerà nel regno, ma chi fa la volontà del Padre mio! (Mt 7,21). Il che significa che la preghiera dell’in manus tuas diviene stile di vita.

Oggi concludiamo con questo ultimo passaggio: avere alcune attenzioni in REGOLE PRATICHE che ci aiutino ad usare bene i CANALI della preghiera. Alcune regole pratiche che possono aiutare a vivere i passaggi descritti:

Dialogare, perciò vivere un rapporto io-Tu con Dio, se addirittura si riuscisse vivere un preghiera trinitaria trasformando le nostre normali preghiere spontanee in preghiera in cui coinvolgiamo tutta la Trinità: Padre, grazie per… ti chiedo nel nome di Gesù di… grazie allo Spirito Santo… ecc.. Esercitarsi nell’utilizzo di poche parole, con sobrietà, ma quelle poche siano forti e fondamentali: Padre, Figlio, Spirito Santo, Gesù, Salvatore, Via,Verità, Vita, Amore, Sangue…
Invocare lo Spirito Santo sempre, il più spesso possibile, sempre all’inizio e lodarlo alla fine. Lui è il paraclito, cioè “colui che ci sta accanto” al posto di Gesù, che ci conduce fino al Suo ritorno Glorioso! Viene in aiuto alla nostra debolezza e prega in noi conducendo la preghiera (Rm 8, 26-27). Il nostro sguardo sia rivolto a Dio, non a noi, poche parole, molto cuore, vivere il tutto con calma, tenere viva la concentrazione avendo posizioni comode per la schiena (meglio in ginocchio con la schiena ritta o seduti con la schiena appoggiata la muro ad angolo retto; gli occhi chiusi o aperti concentrati sull’Eucarestia; se si è soli pregare anche a voce alta se si vuole, allargando le braccia rivolgendo le mani a Lui…). Se ci distraiamo riprendere subito la concentrazione. Se i pensieri sono troppi, trasformali in preghiera dando loro un finalità.
Allenarsi molto nella preghiera di lode. Meglio vivere preghiere di solo ringraziamento, che preghiere di sole lamentazioni e domanda. Guarda a tutto ciò che hai: vita, doni, creato, fede, talenti,…
Pregare per capire la volontà di Dio, interrompere la giornata varie volte chiedendo a Dio: cosa vuoi che io faccia? Scorgere in ciò che il fratello ci dice, negli eventi, nel silenzio del cuore, la sua volontà. Imparare ad ascoltare Dio nel quotidiano. Far scaturire dalla preghiera alcune nostre decisioni pratiche: raccogliere tutti i dati di una situazione, sentire tutti i pareri, pensarci spaccandoci il cervello, ma poi in silenzio presentare tutto a Dio e ascoltare le mozioni interiori. Infine, in buona fede scegliere una strada, anche se incerta, perché ci si fida di Dio e si crede sia la scelta migliore. L’obbedienza ai superiori è la via maestra, ma non deve essere via di comodo, di de- responsabilizzazione, deve essere scelta attiva con essi avendo fatto anche noi il nostro discernimento. Vivere la preghiera per i piccoli e grandi discernimenti.
Vivere sempre la preghiera prima dell’azione. Attingere forza dalla lode e dall’invocazione dello Spirito Santo su di noi, su ciò che stiamo accingendoci a fare chiarendo in preghiera che non è per noi, ma per la gloria di Dio. La preghiera deve essere preparazione all’amare. Anche se breve, pregare sempre in modo forte e intenso prima di ogni azione, soprattutto se sono difficoltà da affrontare.
Passare dalla preghiera di sola presenza alla concentrazione profonda allenando anche il nostro corpo a stare davanti all’Eucarestia, a stare in silenzio, a stare raccolto, a stare con gli occhi chiusi senza addormentarsi, immersi nel pensiero nella sua presenza, usando anche l’immaginazione e le facoltà che Dio ci ha donato. Va curata molto la compostezza e la calma. Per allenarsi può essere utile anche in questi momenti ripetere un frase a ritmo del respiro.
Scegliere con accuratezza anche il tempo più idoneo per la nostra concentrazione e il luogo (per alcuni può essere un campo, in montagna, per altri la propria camera o la chiesa…). Un ottima idea è il crearsi un angolo di preghiera nella propria camera e avere un orario fisso organizzandosi la giornata.
E’ importante poi accettare le nostre responsabilità, essere costanti, essere precisi e veri nel dialogo con Dio, essere metodici nella preghiera (almeno all’inizio). Altrettanto fondamentali sono le modalità interiori: pregare con fede, chiedere al Padre nel nomadi Gesù grazie allo Spirito Santo, perdonare prima della preghiera, pregare da soli e con gli altri, chiedere in ogni necessità, invocare lo Spirito Santo, allenarsi nella preghiera di lode.

mercoledì 27 aprile 2011

Dalla teoria alla pratica nella preghiera (parte seconda)

Gesù ci ha spiegato il vero motivo dell’importanza della preghiera: far fronte alle lotte della vita. Pregate, per non entrare in tentazione (Lc 22,40). Don Benzi spesso dice nelle sue testimonianze che nella vita per imparare a stare in piedi bisogna imparare a stare in ginocchio. Senza la preghiera la vita cristiana non è possibile. Ma si tratta di preghiera del cuore che diventa vita. Stile di vita. Pregare è amare. La preghiera è preghiera di domanda, di perdono, di ringraziamento, di adorazione, di intercessione o di lode (cfr. Lc 23,34; Mc 15,34; cfr. Mt 11,25-26; Mt 14,19). Comunque è preghiera quando è un rapporto intimo, vivo, sincero, profondo con Dio, che si esprime anche con gesti e parole, silenzio, pensiero e cuore. Per questo è amore.

Oggi vedremo le TAPPE e gli ESERCIZI da vivere nel proprio cammino personale di crescita…Esistono delle tappe della preghiera, tappe di crescita:

si inizia generalmente da un preghiera fatta di “parole vuote”, in cui si crede di pregare,ma in realtà si vive un monologo. Nella peggiore delle ipotesi si vivono rosari recitati, si recitano formule come fossero poesie o si “assiste” alla messa da spettatori. Nelle migliori delle ipotesi si dicono parole personali, ma di fatto si fanno lunghi monologhi o preghiere incentrate su di sé o silenzi in cui si è vissuto un bel sonnellino che scusiamo pensando che tanto eravamo nelle braccia di Dio.
PRIMO ESERCIZIO: renderci conto che ci siamo dentro, decidere di uscirne.

La seconda tappa è l’esercitarsi in un vero dialogo nella preghiera, fatto di ascolto attivo (perciò non dormendo) e di parole autentiche che sgorgano dal cuore mettendo al centro Dio come soggetto e non fermandoci alla sola lista della spesa da fare.
SECONDO ESERCIZIO: prenderci un tempo nella giornata di preghiera silenzioso, in cui, nella camera del nostro cuore o davanti all’Eucarestia in Adorazione, iniziamo questo tempo determinato di preghiera invocando lo Spirito Santo e lo concluderemo ringraziando lo Spirito Santo per aver condotto la preghiera. Nel tempo della preghiera inizieremo a trasformare tutti i pensieri che ci vengono in mente in preghiera, finchè piano piano nel tempo arriveremo anche a brevi spazi di silenzio.

La terza tappa è il vivere ogni preghiera del giorno con tutto il cuore impegnandoci nel vivere alla lettera il Vangelo, non tenendolo sul comodino come un libro qualunque, ma sforzandoci di farlo diventare carne e sangue in noi.
TERZO ESERCIZIO: concentrarci con tutto il cuore, la mente, l’anima e il corpo nella preghiera che viviamo immedesimandoci nelle situazioni e chiedendo allo Spirito Santo di aiutarci ad entrare nei misteri che viviamo: così per la Messa, così per il sacramento della riconciliazione, per il rosario, per la liturgia delle ore… Anche un’esplicita richiesta a Maria per vivere questa grazia di concentrazione e immersione nella preghiera del cuore è davvero formidabile. Importante è l’iniziare la giornata leggendo un breve passo del Vangelo del giorno scegliendo di viverlo alla lettera durante la giornata, impegnandoci a realizzarlo e facendo un breve esame di coscienza la sera se ci siamo riusciti. Scriversi un frase sintesi del passo meditato, da appendere in stanza o scriversela sul diario o sulla mano per potersi sforzare davvero a viverla.

Quarta tappa è il vivere la preghiera del cuore nella giornata ripetendo brevi frasi immedesimandosi in Gesù che prega e fa diventare preghiera il lavoro o accoglie le croci pregando.
QUARTO ESERCIZIO: ripetere mentre si lavora: “per Te,con Te,in Te Gesù, per la tua gloria!” e quando arrivano difficoltà o cose che si vorrebbero fuggire o evitare: “In manus Tuas Domine, non la mia, ma la tua volontà, Padre!” Ripeterlo più volte a ritmo del respiro… ripeterlo con la mente, a bassa voce, ad alta voce, senza dire parole, in tutti i modi e il più possibile tutti i giorni. Anche l’inizio della giornata sarebbe bene avviarlo con un esplosivo: “Gloria la Padre, al Figlio e allo Spirito Santo! Gloria a Te Signore! Grazie per questo nuovo giorno! Grazie per… Lode a Te per… Ti ringrazio perché… Stupende sono le tue opere…” e dal primo momento che si aprono gli occhi in poi andare avanti per diversi minuti lodando Dio per tutto, anche per ciò che non ci va, oppure durante il percorso per andare a scuola o lavoro per tutto ciò che vediamo di bello. L’inizio esplosivo della giornata nella lode dilata il cuore e l’anima e permette poi di vivere più facilmente le altre due preghiere incessanti da ripetere.

Quinta tappa è il riuscire a portare il tempo personale di preghiera silenziosa durante il giorno ad un tempo minimo che vari tra i 30 minuti e un’ora, vivendo questo tempo in piena preghiera del cuore e preghiera di ascolto.
QUINTO ESERCIZIO: non trascurando i passaggi precedenti, sempre più velocemente il nostro cuore, non distratto dal rumore esterno, sarà sempre custodito nel cuore di Dio e ovunque ci si immergerà in Dio, anche se emozionalmente non si avvertirà nulla, ci sarà la certezza di essere in quella che è la vera preghiera incessante del cuore, divenuto stile di vita.

Dalla teoria alla pratica nella preghiera (parte prima)

Da Gesù possiamo imparare molto sulla preghiera e su come avere uno stile di vita orante. Innanzitutto bisogna eliminare gli estremismi: non va bene né chi crede di pregare sempre perchè pensa sempre a Dio, né chi si scinde vivendo momenti veri ed intensi come la Messa, l’Adorazione e altro, poi il resto della giornata è tempo personale, come se Dio fosse relegato a quegli spazi ben determinati. Gesù ci chiede di pregare incessantemente e, se ce lo chiede, significa che è possibile.

Cercheremo di approfondire in tre post i suoi insegnamenti durante queste settimane…Concretamente è importante l’equilibrio: avere momenti forti e veri di preghiera da vivere col cuore (Messa, Adorazione personale o preghiera personale del cuore in uno spazio della giornata quotidiana, Rosario, Liturgia delle Ore) e avere un cuore che continuamente immergiamo in Dio mentre viviamo il quotidiano. Quei punti fermi di preghiera sono proprio quelli che ci permettono di trasformare il lavoro, il gioco, la quotidianità in preghiera incessante del cuore. Allora servono poi veri e propri esercizi durante la giornata, come il ripetersi mentre si lavora o si fa qualcosa una frase che rimandi tutta la gloria del nostro operato a Dio o offra il nostro impegno a Lui dicendo ad esempio continuamente a ritmo del respiro: “Per Te, con Te, in Te Gesù, per la tua gloria!”, mentre quando ci arrivano carichi o pesi che vorremo fuggire ripeterci frasi DAL Vangelo o quelle che Chiara Amirante ci ha consigliato: “In manus Tuas Domine, non la mia ma la tua volontà!”.

Gesù ha impartito vere lezioni sulla preghiera:
  • Ha insegnato a non dire parole a vanvera: pregando non sprecate parole come i pagani, che credono di venire ascoltati a forza di parole… (Mt 6,7).
  • Ha detto non lo dobbiamo fare per farci vedere: quando pregate non siate simili agli ipocriti…per essere visti dagli uomini (Mt 6,5).
  • Ha insegnato a perdonare prima di pregare: quando vi mettete a pregare,se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate,perché il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati (Mt 11,25).
  • Ha insegnato ad essere costanti: bisogna pregare sempre,senza scoraggiarsi mai (Lc 18,1).
  • Ha detto di farlo con la fede: tutto quello che chiederete con la fede nella preghiera, lo otterrete (Mt 21,22).
  • Ha insegnato l’equilibrio nella giornata da Lui stesso vissuta tra contemplazione e azione dedicando molto tempo alla preghiera, facendo della missione-preghiera e della preghiera-missione: si ritirò in un luogo deserto, e là pregava (Mc 1,13). Se ne andò sulla montagna a pregare,e passò tutta la notte in preghiera (Lc 6,12). Gesù sceglieva il luogo, l’ora e, a volte, le persone con cui pregare: Salì sul monte a pregare (Mc 6,46). Prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo, e salì sul monte a pregare (Lc 9,28). Al mattino s’alzò quando era ancora buio, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava (Mc 1,35). Nella tribolazione aumenta la preghiera, al contrario di noi che ci ripieghiamo su noi stessi: Avanzatosi un poco,si prostrò con la faccia a terra, e pregava… Di nuovo allontanandosi pregava… e tornato di nuovo, trovò i suoi che dormivano… e lasciatili,si allontanò e pregò per la terza volta (Mt 26, 39-44). Anche in croce prega: Padre, perdona loro,perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34) e recita il salmo 22: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E il salmo 31: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.

lunedì 25 aprile 2011

Emmaus è qui!

Meditando Luca 24,13-35 ho sentito nel cuore questa frase: “Emmaus è qui!” In effetti… Emmaus è qui! Emmaus è a portata di tutti noi oggi!

Il brano che ci narra la dipartita da Gerusalemme verso Emmaus di due discepoli che non appartengono alla cerchia dei dodici ci presenta molti elementi particolari e misteriosi. Innanzitutto vediamo Cleopa, forse il futuro successore di Pietro a Gerusalemme e un altro discepolo di cui non si sa il nome.

Luca è un medico, ha scritto con “fonti documentate” e dopo “un enorme lavoro” come lui stesso annota, possibile abbia commesso un così grossolano errore? Oppure appositamente non ne svela il nome perchè ognuno di noi ci si possa identificare!?

Questi due discepoli se ne vanno dal Cenacolo il giorno dopo che Gesù è apparso alle donne e che Pietro e Giovanni si sono precipitati alla tomba vuota; i due discepoli sono ormai già a 11 chilometri dalla Città Santa e non sono neppure andati a verificare se questi fatti siano veri, non sono andati alla tomba, se ne stanno andando chiusi nel loro sconforto e divisi tra loro mentre “conversano e discutono” a tal punto da avere “gli occhi impediti” a riconoscere Gesù che si pone sul loro cammino. Sono davvero convinti che tutto sia finito. E’ pazzesco pensare che due delle persone che hanno seguito Gesù per un periodo siano così chiuse e incapaci di fede. Nella narrazione ogni verbo utilizzato è al passato, in greco sono declinati all’auristo, cioè in un passato chiuso e senza possibilità di riapertura. Solo un verbo è declinato al presente: “Egli è vivo!” La loro speranza era politica e si capisce da come hanno spiegato a Gesù stesso gli eventi della passione: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; […] alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il corpo, sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che Egli è vivo.” Il centro è qui: egli è vivo! Loro non ne sono consapevoli, ma questa realtà li trascende!

Ho riflettuto su questo e mi è venuto in mente quest’esempio: in questo istante, ovunque noi siamo, siamo oltrepassati da tantissime onde radio; ci sono al di là che noi le percepiamo, sono una realtà; le potremo ascoltare, verificarne la presenza solo se avessimo un apparecchio idoneo e una antenna capace di canalizzarle, di captarle. Così accade per il mondo spirituale e in modo speciale per la presenza del Risorto! Il nostro cuore ha l’antenna e la capacità di decodificare la Sua presenza se alcune cose si mettono insieme. Questi due discepoli avevano tutto meno che la competenza del cuore. Sapevano che Gesù era “un profeta potente in opere e parole”, ma non erano capaci di riconoscerlo. Così accade anche nella nostra vita presente che mentre siamo con Lui ci parliamo, lo tocchiamo, è presente in una situazione in cui viviamo quotidianamente, in un dolore, in un povero o in un prossimo da accogliere o in un’unità con dei fratelli, ma non lo riconosciamo; e per assurdo nel momento in cui ci rendiamo conto che “Egli è vivo!” ed è proprio Lui, allora “scompare alla nostra presenza” e si fa presente nell’assenza, in una nuova forma nascosta.

“Stolti e tardi di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!” è il rimprovero di Gesù che spiega loro le Scritture dell’Antico Testamento in riferimento a Se Stesso, le stesse che poi gli Apostoli hanno messo nei Vangeli e nelle Lettere che oggi meditiamo.

“Furono aperti loro gli occhi e lo riconobbero”, il loro cuore “ardeva” e riesce a captare e a decodificare la sua presenza solo in tre momenti che per noi sono la via di come e quando lo possiamo riconoscere:

-nello spezzare il pane, per cui nell’Eucarestia come sacramento, e dunque nell’adorazione dove è presente Cristo Risorto, nell’essere assemblea celebrante nella Messa, nel realizzare ciò che riceviamo divenendo pane spezzato e sangue versato nel dono di noi stessi;
-mentre spiegava le Scritture, per cui nel meditare la Parola di Dio, nel cercare di viverla alla lettera e nel pregare con essa investendoci del tempo finchè il cuore non ci arde in petto;
-mentre conversava con loro, per cui nell’intimo dialogo col Maestro vivendo la preghiera incessante del cuore.

Capite allora che Emmaus è qui!? L’Apparizione di Emmaus inaugura la possibilità di incontrare il Risorto per tutti, compresi coloro che non fanno parte della cerchia dei dodici, e rispetto alle altre apparizioni si connota come sempre ripetibile nello spezzare il pane, nelle Scritture e nel conversare con Lui!

Con la Resurrezione Dio non dice delle parole per confortarci, Lui che è la Parola incarnata, ma compie un fatto: risorge ed è presente in una apparente assenza! Là dove c’era un punto e definitivo: “Chinato il capo spirò.” ha aggiunto una virgola! Là dove c’era un muro alla fine della strada, ha aperto un sentiero invisibile che solo il cuore può percepire e percorrere! Ha riaperto ogni discorso, non risolveldo i nostri interrogativi, ma il vero unico e grande problema da cui tutto sembrava sepolto: dopo la morte c’è la vita e già ora questa vita può essere il Paradiso sulla Terra!

martedì 19 aprile 2011

La carità forse non basta… per evangelizzare?

In occasione del Convegno per le Comunità Religiose ad Assisi di ottobre 2009 ho accompagnato Chiara Amirante che doveva tenere una relazione e ci siamo incontrati col Vescovo Bruno Forte. Ho avuto modo di ascoltare un suo intervento meraviglioso, tra i più belli ascoltati nella mia vita, carico di passione per Cristo e capace di infiammare il cuore dei presenti! Era la prima volta che lo incontravo di persona ed ho gioito molto nel vedere un vescovo così innamorato di Cristo e attento alle persone, capace di spendersi appieno come pastore per loro. Di lui sapevo quanto appreso dai libri e dalla sua fama internazionale come teologo. Mi ha colpito molto un suo racconto… Una suora incontrata da un amico Vescovo in Brasile andò da lui piangendo perché nel paese in cui operava da anni tutti si erano convertiti velocemente al protestantesimo all’arrivo dei loro missionari. Lei aveva chiesto il perché di tale scelta alle persone del Paese essendo da 15 anni sul territorio e avendo speso tutta se stessa per opere di carità ad ogni livello. Le risposero: “Loro ci hanno parlato di Gesù e celo hanno fatto incontrare!”

Quante volte le nostre opere sono di carità, ma non di fede… o meglio, ci scordiamo il perché le facciamo. Tutto parte dall’incontro con Cristo e dall’evangelizzazione!!! Il mio Vescovo e Padre don Salvatore Boccaccio mi ripeteva sempre che l’illusione di una certa frequentazione nelle Chiese o di matrimoni e battesimi che si celebrano è un’illusione nell’Europa di oggi! In Italia ancora viviamo un po’ di rendita, ma più si va al nord più si tocca con mano la difficoltà a trovare una Chiesa aperta, ad incontrare un sacerdote o addirittura a poter manifestare la propria fede in paesi come la Spagna e la Francia in cui in luoghi pubblici diviene sempre più difficile.

Bisogna tornare ad evangelizzare, a riscoprire il primo annuncio!

Fino al IV secolo la Chiesa è nata dal Primo Annuncio e con la nascita delle Comunità Cristiane è nata anche la Cura Pastorale, non smettendo mai però di evangelizzare. Con l’avvento di un regime di “societas cristiana” si è perso l’annuncio. Questo forse poteva anche andare bene per alcuni secoli, ma ora non può più essere e soprattutto non significa che non ce ne sia bisogno. Tutt’altro! Le persone che incontro nel mio ministero le vedo assetate di Dio e, come diceva Pascal, “il vuoto è infinito e non si può riempire con cose finite”. Maghi, cartomanti, l’io, egocentrismo, il sesso usa e getta, il denaro, il potere… non possono colmare questo bisogno! Fedor M. Dostoevskij afferma che nell’uomo è scritto il bisogno di eternità e che se esso decide di eliminare il bisogno di inginocchiarsi davanti a Dio, automaticamente si inginocchierà davanti ad un idolo, concludendo con un “siamo tutti idolatri, non atei!”.

Evangelizzare è un termine ampio, chi fa catechesi, chi fa liturgia, chi canta in un coro, chi fa opere di carità,… evangelizza solo se le vive opere di amore per Dio e con Dio testimoniando con la propria vita la propria fede e alimentandosi con la preghiera, ma servono anche uomini e donne che prendano il ministero del primo annuncio nella propria vita recuperando la testimonianza, come dice san Paolo, “in modo opportuno ed inopportuno!”

lunedì 18 aprile 2011

Lacrime

Fratelli, convertiamoci : stiamo attenti che non avvengano, per nostra rovina, litigi fra di noi riguardo ai primi posti. Se gli apostoli hanno litigato (Lc 22,24), non è certo per offrirci una scusa; è un invito a stare attenti. Certamente, Pietro si è convertito il giorno in cui ha risposto alla prima chiamata del Maestro. Ma chi può dire della propria conversione, che è stata compiuta in una volta sola ?

Il Signore ci ha dato l'esempio. Avevamo bisogno di tutto ; lui, pur non avendo bisogno di nessuno, si mostra maestro in umiltà, mettendosi al servizio dei suoi discepoli... Quanto a Pietro, certamente pronto nello spirito ma ancora debole nelle disposizioni del corpo (Mt 26,41), venne avvertito che stava per rinnegare il Signore. La Passione del Signore trova degli imitatori ma non dei pari. Per cui non rimproverò a Pietro di aver rinnegato il Signore ; mi congratulo piuttosto con lui per il fatto di aver pianto. Rinnegare dipende dalla nostra comuna condizione; il piangere è segno di virtù, di forza interiore... Eppure se anche noi lo scusiamo, lui non si è scusato... Ha preferito accusare in prima persona il suo peccato e giustificarlo con una confessione, piuttosto che aggravare la sua situazione negando. E ha pianto...

Leggo che ha pianto, non leggo che si sia scusato. Quello che non si può difendere, può essere lavato; le lacrime possono lavare le mancanze che ci si vergogna di confessare ad alta voce... Le lacrime dicono la colpa senza tremare...; le lacrime non chiedono il perdono eppure lo ottengono... Buone lacrime che lavano la colpa ! Per questo piangono quelli che Gesù guarda. Pietro ha rinnegato una prima volta e non ha pianto perché il Signore non lo aveva guardato. Ha rinnegato una seconda volta e non ha pianto perché il Signore non lo aveva ancora guardato. Ha rinnegato una terza volta; Gesù l'ha guardato e lui ha pianto amaramente.
Guardaci, Signore Gesù, perché sappiamo piangere i nostri peccati.

Sant'Ambrogio (circa 340-397),
vescovo di Milano e dottore della Chiesa

domenica 17 aprile 2011

Alla scuola di chi soffre

Dei miei trentasei anni almeno venticinque li ho passati sui banchi di scuola; ma sui libri non ho mai imparato così tanto come entrando dentro le case e nel cuore di chi soffre, alla scuola della vita.
La mia vocazione al sacerdozio è fiorita proprio dal contatto con le miserie dei più poveri e delle persone in difficoltà. Dio chiama anche attraverso la sofferenza e il silenzio delle solitudini quotidiane. Ho capito che il dolore della porta accanto è una provocazione, una autentica chiamata ad amare. Alla scuola di chi soffre si impara molto. Si impara anzitutto il silenzio.
I tre amici di Giobbe, giunti al suo capezzale per consolarlo e sostenerlo per le numerose disgrazie che si erano abbattute su di lui, si chiudono nel silenzio. La loro prima reazione dinanzi alla sofferenza dell'amico è quella di non dire nulla. "Si sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva più la parola, perchè vedevano che molto grande era il suo dolore "(Gb 2,13). La sofferenza ci insegna il silenzio, ci educa a misurare le parole, a non sprecarle. Come disse in modo provocatorio il grande scrittore inglese W. Shakespeare, "tutti gli uomini sanno dare consigli e conforto al dolore che non provano".
Alla scuola di chi soffre si impara poi l'umiltà.
Di fronte al dolore nostro e altrui, spesso non sappiamo cosa fare e ci sentiamo impotenti, piccoli. Sperimentiamo la fragilità dell’esistenza umana, che tutto ciò che possediamo e siamo non è per nulla scontato. Oggi c'è, domani forse non più. Sperimentiamo che ogni giorno in più che viviamo è un dono che ci viene concesso dall'alto, un dono da custodire umilmente e sapientemente e di cui dar lode al Signore. Come dice il salmista: "Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio" (Sal 90,12).
Alla scuola di chi soffre si impara soprattutto ad amare.
Mi viene in mente il brano evangelico del buon samaritano. Diversamente dal levita e dal sacerdote che, imbattendosi nell’uomo che giaceva a terra mezzo morto, passarono oltre, il samaritano "passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione" (Lc 10,33). Ne ebbe compassione. Cosa vuol dire? Che il tuo problema è un mio problema. Ha urtato la mia coscienza e mi sta a cuore. Il tuo dolore mi provoca e mi chiama ad uscire da me stesso, dal mio egoismo, dalle mie false sicurezze e dalla mia vita tranquilla per intraprendere un cammino più scomodo ma più appagante, quello dell’amore. Per questo motivo è così importante per i nostri giovani fare esperienze di servizio con le persone più bisognose, come il mese trascorso in Caritas (Casa San Simone e Casa Mamre) dal gruppo di II-III superiore nel gennaio scorso o la consueta visita di auguri agli ammalati nelle case del nostro quartiere in occasione del Natale o della Pasqua.
Infine, alla scuola di chi soffre si impara a credere.
Nelle tante visite ai malati ed alle persone in difficoltà, io ho imparato cosa significa avere fede. Non da tutti, però da molti. Anche se sono sacerdote, pastore di una comunità chiamato a prendersi cura del suo gregge e a guidarlo nel suo cammino di fede, ho incontrato persone in difficoltà che hanno più fede di me. Più sante di me.
La sofferenza può distruggere la fede; può mettere in discussione l'esistenza di Dio o la sua stessa bontà. "Svegliati! Perchè dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre!
Perchè nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?" (Sal 44,24-25). Ma proprio dentro questo buio dove camminiamo barcollanti, il Signore mette alla prova la nostra fiducia e ci chiede di tenderGli le braccia come farebbe una mamma col suo bambino. Fidati di me! "Coraggio, sono io, non aver paura!" (Mt 14,27).
Ormai in prossimità della Pasqua, rivolgo lo sguardo a Cristo crocifisso, colui che ha sofferto più di tutti e per tutti.
0 Gesù,
maestro del silenzio,
umile servo del Padre,
pastore buono e compassionevole,
primo testimone della fede.
Piega il tuo sguardo sulle nostre ferite,
visitale e trasfigurale nella tua gloria.
Buona Pasqua
don Alessandro Franzoni

giovedì 14 aprile 2011

L'attesa

Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d'attesa di un grande aeroporto. Dato che avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla. Accanto a lei c'era la sedia con i biscotti e dall'altro lato un signore che stava leggendo il giornale.
Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l'uomo ne prese uno...
lei si sentì indignata, ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro.
Tra sé penso: "Ma tu guarda, se solo avessi un po' più di coraggio gli avrei già dato un pugno..."
Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l'uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno ne prendeva uno anche lui.
Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò:
"Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!"
L'uomo prese l'ultimo biscotto e lo divise a metà!
"Ah. . questo è troppo!" pensò e cominciò a sbuffare e indignata si prese le sue cose, il libro e la sua borsa e si incamminò verso l'uscita della sala d'attesa. Quando si sentì un po' meglio e la rabbia era passata, si sedette su una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l'attenzione ed evitare altri dispiaceri.
Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro, quando... nell'aprirla vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno! Sentì tanta vergogna e capì solo in quel momento che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell'uomo seduto accanto a lei che, però aveva diviso i suoi biscotti senza sentirsi indignato, nervoso o superiore, al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell'orgoglio!

Prima di arrivare ad una conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone, guarda attentamente le cose, molto spesso non sono come sembrano!

mercoledì 13 aprile 2011

I letti ben rifatti

L'uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova su un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello; e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s'è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire, qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo, in somma, a un di presso, alla storia di prima. Avete, certo, tutti indovinato di chi sia questa considerazione: siamo in pratica all'ultima pagina dei Promessi Sposi (cap. 38) e Manzoni, con l'immagine dell'infermo e dei letti, centra due aspetti fondamentali dell'umanità. Da un lato, c'è la fragilità costitutiva e radicale della creatura umana, un «infermo» che percepisce il suo limite, la sua impotenza, la sua realtà vera. D'altro lato, c'è però la sua altrettanto costitutiva e radicale insoddisfazione e scontentezza. Il desiderio, pur legittimo, di mutare stato si nutre di illusioni e alla fine precipita in delusione. Sboccia, così, la pianta maligna della gelosia e dell'invidia. Un proverbio tedesco dichiara che «la felicità e l'arcobaleno non si vedono mai sulla propria casa, ma solo su quella del tuo vicino». La capacità di accettarsi, il realismo della situazione, la serenità nella semplicità sono merce rara, tant'è vero che la società, anche attraverso la pubblicità, crea continuamente miti, costringendo a rincorrere fantasmi di felicità. Per questo, di fronte alla frustrazione dei sogni, si piomba nel pessimismo, nello scoraggiamento e persino nella ribellione. Riflettiamo su questa frase dello scrittore tedesco Ludwig Börne (1786-1837): «Si è scontenti perché pochi sanno che la distanza tra uno e niente è più grande che tra uno e mille».

martedì 12 aprile 2011

Il Fuoco dentro di noi…potrebbe spegnersi definitivamente!

A Medugorje molte volte la Madonna ha parlato del demonio e colpisce molto il fatto che questi messaggi – secondo quanto afferma padre Livio Fanzaga – siano in coincidenza del festival dei giovani o della GMG, come ad indicare implicitamente che si tratti della categoria di persone contro le quali satana prediliga scagliarsi. La preghiera è infatti uno dei punti forti dei messaggi mariani e al di là che ci si possa credere o meno resta il dato importante di una sempre crescente affluenza di persone e di giovani a Medugorje che ritrovano la via della fede specialmente grazie alla confessione tornando a casa completamente rinnovati e divenendo fermento positivo nelle proprie parrocchie o realtà ecclesiali.

Prendo spunto da questo dato per una semplice riflessione…

Siamo chiamati ad una intima comunione con Colui che è l’Amore perché, creati a Sua immagine e somiglianza, possiamo diventarne sorgenti. Dinnanzi alle prove della vita e agli attacchi di satana come tener vivo questo rapporto perché non si spenga la fiamma accesa in noi?

Le migliori definizioni del demonio la fornisce l’evangelista Giovanni: “omicida fin da principio” e “padre della menzogna” (Gv 8,44). Il diavolo insieme ai demoni, sono creature angeliche che hanno voluto innalzarsi al di sopra di Dio ed ora, decaduti, cercano la morte definitiva dell’anima di ogni persona sulla Terra e “girano cercando chi divorare” (1Pt 5,8) e studiandoci nei punti deboli per poi colpirci sfibrandoci e facendoci definitivamente cadere nel peccato che ha come proprio frutto “la morte” (Rm 6,23)!

Dinnanzi alla ferocia del maligno si comprendono bene le parole del Maestro quando ci dice di “vegliare e pregare per non entrare in tentazione” (Mt 26,41). Effettivamente il pregare, cioè avere un dialogo continuo e intimo con Dio, e il vegliare, non son altro che le condizioni essenziali per restare in un rapporto d’Amore che continuamente si alimenta e cresce. “Rimanete in Me!” (Gv 15,4) ci ripete Gesù “Chi rimane in Me porterà frutto”, “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed Io in lui” (Gv 6,54).

In ognuno di noi c’è una fiammella divina, il sigillo dell’immagine e somiglianza impresso nel cuore, che più si alimenta più cresce e divampa in un fuoco che scalda, illumina, arde e contagia! Questo Fuoco dello Spirito che Gesù stesso dice d’esser venuto a portare e “vorrebbe fosse già acceso” (Lc 12,49), si alimenta proprio col “vegliate e pregate”, ma soprattutto con l’Amore vissuto, lo stesso Amore che san Paolo dice “tutto copre, tutto scusa, tutto sopporta”… (1Cor 13ss) Il peccato altro è che il “non amore”. Se alimentiamo in noi questo Fuoco ogni tentazione sarà come una goccia d’acqua che evaporerà al contatto con le fiamme dello Spirito Santo nel nostro corpo Suo tempio, ma se non vigiliamo, se non preghiamo, se non amiamo, piano piano si affievolisce e diventa un fuocherello, allora ogni tentazione come acqua su di esso potrà spegnerlo definitivamente.

domenica 10 aprile 2011

Neanch'io ti condanno ; va' e d'ora in poi non peccare più

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 8,1-11.
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.
Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,
gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?».
Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.
E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».
E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.
Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più».
« Uno dopo l'altro, tutti si ritirarono ». Rimasero soltanto loro due: la misera e la Misericordia. E il Signore, dopo averli colpiti con la freccia della giustizia, non si fermò a vederli cadere, ma, distolto lo sguardo da essi, « si rimise a scrivere in terra col dito ».

Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano andati. Gesù levò gli occhi verso di lei. Abbiamo sentito la voce della giustizia, sentiamo ora la voce della mansuetudine... Essa si aspettava di essere colpita da colui nel quale non si poteva trovar peccato. Ma egli, che aveva respinto gli avversari di lei con la voce della giustizia, alzando verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: « Nessuno ti ha condannato? » Ella rispose: « Nessuno, Signore ». Ed egli: « Neppure io ti condanno », neppure io, dal quale forse hai temuto di esser condannata, non avendo trovato in me alcun peccato. « Neppure io ti condanno ».

Commento
Come, Signore? Tu favorisci dunque il peccato? Assolutamente no. Ascoltate ciò che segue: « Va' e d'ora innanzi non peccare più ». Il Signore, quindi, condanna il peccato, ma non l'uomo... Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e temano la verità... Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace (Sal 85,15). Ti dà il tempo di correggerti; ma tu fai assegnamento su questa dilazione, senza impegnarti a correggerti. Ieri sei stato cattivo? oggi sii buono. Anche oggi sei caduto nel male? almeno domani cambia.

E' in questo senso che il Signore dice alla donna: « Neppure io ti condanno: non preoccuparti del passato, pensa al futuro. Neppure io ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso ».

Sant'Agostino (354-430),
vescovo d'Ippona
e dottore della Chiesa

giovedì 7 aprile 2011

Chiodi

C’era una volta un ragazzo dal carattere molto difficile. Si accendeva facilmente, era rissoso e attaccabrighe. Un giorno, suo padre gli consegnò un sacchetto di chiodi, invitandolo a piantare un chiodo nella palizzata che recintava il loro cortile tutte le volte che si arrabbiava con qualcuno.
Il primo giorno, il ragazzo piantò trentotto chiodi.
Con il passare del tempo, comprese che era più facile controllare la sua ira che piantare chiodi e, parecchie settimane dopo, una sera, disse a suo padre che quel giorno non si era arrabbiato con nessuno.
Il padre gli disse: “E’ molto bello. Adesso togli dalla palizzata un chiodo per ogni giorno in cui non ti arrabbi con nessuno”.
Dopo un po’ di tempo, il ragazzo poté dire a suo padre che aveva tolto tutti i chiodi.
Il padre allora lo prese per mano, lo condusse alla palizzata e gli disse: “Figlio mio, questo è molto bello, però guarda: la palizzata è piena di buchi. Quando dici qualcosa mentre sei in preda all’ira, provochi nelle persone a cui vuoi bene ferite simili a questi buchi. E per quante volte tu chieda scusa, le ferite rimangono”.


Gli esseri umani sono fragili e vulnerabili. Tutti portano un’etichetta che dice: ”Trattare con cura, maneggiare con cautela, merce delicata”.

Cedri e palme

Ci sono maestri-cedro e maestri-palma. I primi levano verso il cielo i loro rami irraggiungibili, carichi di frutti. I secondi, invece, hanno i datteri già nei loro rami bassi e anche chi è piccolo può afferrarli e gustarli. È interessante notare che la Bibbia ha scelto spesso simboli vegetali per raffigurare la sapienza; anzi, un saggio come il Siracide arriva al punto di compararla a un parco o a un giardino botanico con una quindicina di alberi odorosi o fruttiferi (24, 13-17) e in bocca alla sapienza personificata mette questo invito: «Avvicinatevi a me e saziatevi dei miei frutti» (24,19). A questo punto acquista tutto il suo significato l'aforisma orientale che sopra ho evocato. Nella vita, infatti, abbiamo incontrato certamente persone colte ma arroganti, capaci di far cadere dall'alto la loro conoscenza così che qualche frammento potesse essere raccolto anche dai semplici che esse guardavano con distacco dal trono della loro intelligenza. Sono appunto i maestri-cedro, monumentali e sontuosi come quelle piante, pronti a ripetere la frase sprezzante dei farisei del Vangelo di Giovanni: «Questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta» (7,49). Ma per fortuna ci sono i maestri-palma: io per primo confesso di averne avuti tanti, dal liceo all'università. Le cose principali che so - nonostante il molto studio che poi ho fatto personalmente - le devo a loro. Ed è per questo che noi siamo capaci di vedere più lontano, perché siamo nani sulle spalle di giganti, come si diceva nel Medio Evo. Si è maestri-palma perché non si insegna solo quello che si sa, ma anche quello che si è. È proprio qui la differenza tra l'intelligente e il vero sapiente e maestro.

martedì 5 aprile 2011

Chi è senza peccato scagli la prima pietra

Su di un muro di Roma, campeggia una scritta clandestina fatta con le bombolette: “Se lo Stato è innocente, Cristo è morto di freddo”. Quando qualche giorno fa l’ho letta, non ho potuto fare a meno di sorridere, immaginando l’autore del gesto nel suo “estro artistico”, provando a immedesimarmi in lui. E’ interessante cogliere come, in un momento di contestazione interiore, il riferimento sia andato a Gesù Cristo; interessante comprendere come, ancora una volta, Dio sia sempre chiamato in causa quando le speranze umane si assottigliano.

L’autore di quella scritta ha chiamato in causa lo Stato, dichiarandolo in un certo senso colpevole. Certamente in questo nostro frangente storico le istituzioni sono in una fase di profondo travaglio, spesso incarnando e portando al massimo grado molte incongruenze della nostra società odierna.

Mi chiedo infatti: sono le istituzioni che condizionano il vivere sociale? O è la società che le potrebbe o dovrebbe condizionare? Agli estremi: chi è che dovrebbe dettare la legge? Le istituzioni o la società?

Qualche giorno fa assistevo ad una conferenza stampa con il sindaco di Roma, l’on. Gianni Alemanno, e con l’assessore De Palo, sul tema di una nuova proposta dell’amministrazione capitolina per i giovani, chiamata “Incontragiovani”. Alemanno, nel suo discorso, ad un certo punto ha nominato e invocato la “Contestazione del Sì”: ha cioè chiesto che i giovani siano contestatori, ma non arroccati sulle tesi di critiche distruttive, quanto piuttosto impegnati su critiche propositive e costruttive. Ho molto apprezzato lo slogan, perché ci ricorda che, se è vero che siamo ad immagine e somiglianza di Dio, la nostra missione è quella di essere creatori, non distruttori!

Se ci guardiamo attorno ci sono ben pochi motivi che ci spingono a restare sereni: bombe che cadono a due passi da noi, migliaia di profughi vomitati sulle spiagge da improvvisate carrette del mare, radioattività a mille dal Giappone, equilibri politici internazionali continuamente a rischio, nuovi fronti di insurrezioni popolari in Medioriente… Se vogliamo restare nel nostro panorama italiano, osserviamo appunto istituzioni sempre più lontane dalla gente, una Chiesa più spesso criticata che lodata, le mafie che prendono terreno anche in regioni da sempre considerate pulite, rappresentanti del popolo che ai festeggiamenti per l’Unità d’Italia preferiscono il bar, salvo poi ritirare un lauto stipendio dagli stessi snobbati Fratelli d’Italia (come ironicamente pontificato dall’impietosa e acuta Luciana Littizzetto).

Chi veramente può dirsi innocente? Quanto poco sano orgoglio nell’accettare accomodamenti e parzialità! Quanta leggerezza circa il bene comune, partendo dal mancato rispetto per l’ambiente e finendo con il disinteresse per la pubblica partecipazione alla cosa pubblica!

Tra me e me pensavo: ma ci potrà pur essere qualcuno che può dirsi totalmente innocente oppure no???

Alla fine sono giunto alla conclusione che nessuno possa definirsi tale; siamo tutti più o meno responsabili del mondo in cui viviamo. Perché solo chi ama in pienezza può essere definibile senza colpa. Solo l’amore vero non cerca il proprio interesse, ma è completa estroversione. Il menefreghismo è una forma di egoismo; l’amore puro è invece altruismo al massimo grado.

Le istituzioni non sono in grado di amare: chi le forma invece sì. Quanti esempi di uomini di Stato tendenti alla santità, pienamente dediti al bene comune! Giorgio La Pira, Igino Giordani, solo per citare due nomi…

Cristo non è morto di freddo, purtroppo. Né è morto per amore, ma per l’odio di chi non voleva sentire una scomoda verità, e cioè che solo amando si può pensare di poter essere senza colpa. Diversamente, l’unica strada è quella di lasciar cadere le pietre dalle mani, rinunciando alla lapidazione del capro espiatorio di turno, non tanto per aver capito quanto sia ingiusto, quanto per la paura di poter essere il prossimo a cadere sotto i colpi della “giustizia”.

Abbiamo allora due strade per essere considerati innocenti: o la connivenza, per cui se tutti sono implicati, nessuno alza la voce, o l’amore, per cui, davanti all’ingiustizia, si testimonia con la vita la legge dell’amore. Tu quale scegli?

lunedì 4 aprile 2011

Penetrare il segreto

Vorrei dire una parola sulla parte che la croce ha nella nostra vita. Se vogliamo essere seguaci di Cristo, dobbiamo prendere ogni giorno la nostra croce e seguirlo. Non possiamo pretendere di sedere alla destra o alla sinistra del Padre se prima non abbiamo bevuto dal calice. E' da notare che nel Vangelo, per quanto io ricordi, il Signore non parla di seguirlo o di essere suoi discepoli senza un riferimento alla croce o al calice, il simbolo della sofferenza.

Nella nostra vita quotidiana ci sono molte occasioni di portare la croce: non ultime, le incomprensioni, un rimprovero immeritato, un'ansia tormentosa, la cattiva salute, la fatica. Ebbene, noi dobbiamo decidere se queste cose sono ostacoli alla felicità o un sentiero che vi conduce.
Nessuno può amare la sofferenza, ma possiamo amare di soffrire. Le due cose sono completamente diverse. Istintivamente noi ci ritraiamo dalla sofferenza, ma possiamo imparare a soffrire per una ragione dinamica positiva. Dopo tutto, il Signore nell'orto del Getsemani si ritrasse dalla Passione, ma la accettò di buon grado, più ancora, con amore. Ora, in questa faccenda del portare la croce, quello che conta non è l'aspetto negativo, è quello positivo: il bene che essa produce, il bene a cui conduce. La croce di per sè non ha senso. La croce insieme con la risurrezione lo ha. Spogliarsi, come dice san Paolo, del vecchio io e delle abitudini che gli sono proprie non basta. Dobbiamo rivestirci del nuovo io. [...]

Quelle difficoltà di ogni genere a cui ho accennato, noi dobbiamo considerarle come occasioni per "deporre l'uomo vecchio"; come occasioni di crescita nella immagine di Cristo, partecipare più pienamente alla sua vita, essere posseduti dallo Spirito.
[...] Noi arriviamo a conoscere il segreto della Risurrezione quando arriviamo a conoscere il segreto della croce.

Consideriamo il valore della croce nella Chiesa, meditando le Parole di san Paolo: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa". Parole difficili da comprendere, ma di enorme consolazione: quando la croce è molto pesante, questo è un contributo all'intera vita della Chiesa.

Card. Basil Hume,
Conferenza alla Comunità monastica
di Ampleforth 4.4.1966

domenica 3 aprile 2011

Senza scuse

Un domenica, alla porta della chiesa, fu appeso questo cartello: "Per consentire a tutti di venire in chiesa domenica prossima, abbiamo organizzato una speciale domenica senza scuse".
Saranno sistemati dei letti in sacrestia per tutti quelli che dicono: “La domenica è l’unico giorno della settimana in cui posso dormire”.
Sarà allestita una speciale sezione di morbide poltrone per coloro che trovano troppo scomodi i banchi. Un collirio sarà offerto a quelli che hanno gli occhi troppo affaticati dalla nottata alla tv.
Un elmetto d’acciaio temprato sarà regalato a tutti coloro che dicono: “Se vado in chiesa potrebbe cadermi il tetto in testa”. Morbide coperte saranno fornite a quelli che dicono che la chiesa è troppo fredda e ventilatori a quelli che dicono che è troppo calda.
Saranno disponibili cartelle segnapunti per coloro che vogliono fare la classifica delle persone “che vanno sempre in chiesa ma sono peggio degli altri”.
Parenti e amici saranno chiamati in soccorso delle signore che non possono, contemporaneamente, andare in chiesa e preparare il pranzo.
Verranno distribuiti dei distintivi con la scritta: “Ho già dato” a tutti coloro che sono preoccupati per la questua.
In una navata saranno piantati alberi e fiori per quelli che cercano Dio solo nella natura.
Dottori e infermieri si dedicheranno alle persone che si ammalano sempre e solo di domenica. Forniremo apparecchi acustici a quelli che non riescono a sentire la predica e tappi per le orecchie per quelli che ci riescono.
La chiesa sarà addobbata contemporaneamente con le stelle di Natale e i gigli di Pasqua per quelli che l’hanno sempre e solo vista così”.

“Così non avete potuto vegliare con me nemmeno un’ora? Siate svegli e pregate per resistere nel momento della prova; perché la volontà è pronta, ma la debolezza è grande” (Matteo 26, 40-41).

Oggi vegliare con Gesù è diventata una specie di condanna ai lavori forzati. Dio ci dona l’eternità. Noi gli diamo qualche minuto, a malincuore.