lunedì 28 dicembre 2009

Santa Famiglia di Nazaret

I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Quando giunse all'età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?». Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro. Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini.
Lc 2,41-52
Osservazioni bibliche
Gesù è raccontato nella sua crescita umana (fisica e psicologica), come un adolescente nel contesto di una famiglia normale all'interno del loro ambiente culturale e religioso. Maria e Giuseppe sono due genitori che devono gestire un adolescente che si prende le sue libertà cominciando ad affermare la sua voglia di indipendenza dalla famiglia. Fa da sfondo il contesto religioso del pellegrinaggio: la tradizione e la religiosità in casa di Giuseppe è la regola
Un ragazzo a tredici anni viveva un rito di passaggio: veniva considerato adulto e capace di stare "in piedi" davanti alla legge, cioè capace di rispondere senza intermediari (i genitori) alle norme prescritte, come un adulto responsabile del proprio agire.
L’annotazione conclusiva del brano evangelico ci dice che “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia”. Sembra una conclusione al racconto: visto come si muovono le cose, il ragazzo non può non crescere bene perché questa famiglia, nonostante le difficoltà, le fatiche e le incomprensioni produce “vita”.
Meditazione
Vista la necessità di Dio di nascere e crescere come un bambino non poteva non chiedere la presenza di una famiglia. La Santa Famiglia è profondamente “affidata al progetto di Dio” (= due genitori coinvolti appieno e pienamente affidati). Un progetto personale riconducibile al primo progetto di Dio sull’uomo e la sua felicità perché “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,18). Giuseppe e Maria si dimostrano una famiglia a partire dalla loro disponibilità a Dio per gli eventi che si stanno realizzando, per la loro fedeltà alla legge che li porta a compiere ciò che Dio da sempre chiede e per il mutuo soccorso nell’affrontare la paura e le difficoltà. Emerge chiaramente un "noi" (= complicità reciproca: "tuo padre ed io angosciati ti cercavamo") e questo significa anche che Giuseppe amava Maria e Maria si affidava e fidava completamente di Giuseppe. La normalità di questa famiglia racconta una bellezza: la circolarità d’amore che si concretizza in "cura" per Gesù.
Questo è il mistero di ogni famiglia: nella diversità di due coniugi (maschio e femmina, due famiglie diverse, due formazioni differenti, due sensibilità differenti…ecc) c’è racchiusa una “profezia di amore” che produce vita. La stessa vita che ha fatto crescere " in sapienza età e grazia" noi in una famiglia di origine e ora i nostri figli in quella che abbiamo formato noi. La famiglia è un’opera di Dio che da due diversità ha racchiuso una forza di vita capace di fiorire in maniera unica.

Osservazioni conclusive
A questo punto proviamo a dare alcuni suggerimenti per concretizzare questi discorsi alla nostra realtà.
1. In ogni famiglia c’è bisogno di ALIMENTARE LA COMUNIONE perché sempre più spesso emerge che non è un problema l’amore (ci si vuole bene), ma la fraternità e la convivenza. Buttiamo alcuni colpi di colore su questa realtà: il tempo che passa, le vicende della vita, il bisogno di essere ri-compresi dal proprio partner... logorano la comunione e l’unità.Si potrebbero dire molte cose su questo tema. E’ importante annotare che c’è un problema di comunicazione (e sviluppo solo questa dimensione) e sono spesso solo quelli “fuori” ad accorgersi, perché quelli dentro si sono sclerotizzati in una relazione da anni non più messa in discussione. Parlando si svela la lontananza che si potrebbe generare nel cuore. Trovando il tempo di parlarsi con sincerità si arriva a "ridisegnare" la propria situazione interiore all'altro che non la conosce e non ci capisce.
Occorre, ogni giorno, CUSTODIRE L’AMORE nella PAZIENZA e nel PERDONO. E’ una scelta che ogni componente della famiglia è chiamato a fare nel profondo di se stesso perché coi silenzi o con le parole decido di ALIMENTARE O DISTRUGGERE LA COMUNIONE.
2. La famiglia con la presenza dei figli rivela un RUOLO che spesso viene cancellato dalle esigenze dei singoli per cui il padre non fa il padre che declina il suo ruolo educativo alla moglie, o la madre che si fa complice dei figli o sorella maggiore declinando l'assimetria educativa… Nel progetto di Dio il “noi” è salvaguardato proprio dal RUOLO UNICO E PERSONALISSIMO che ogni componente della famiglia è chiamato a vivere.
• Non è possibile che in una famiglia comandino i figli tiranneggiando con i loro capricci e le loro voglie i genitori. Qui serve tutta l’autorità del padre!
• Per una sana comunicazione non può dare i tempi della relazione la televisione che sempre più detta tempi e argomenti della famiglia. Qui serve la partecipazione di tutti a non mangiare con la TV accesa e a raccontarsi agli altri!
• Un figlio soprattutto nella fase dell’adolescenza non può “rinnegare la sapienza di casa" sbandierando una "nuova sapienza" scovata fuori casa. Per "sapienza" intendiamo il cibo che determina le scelte. Di sapienza ci si nutre e fin da piccoli il cibo lo si mangia in casa. Nel cibo di casa tua c’è il nutrimento base che è l’amore. Se fino a 14 anni il cibo era buono, perché poi non va più bene e tutto il "buono" è fuori da casa mia? Ci saranno delle cose che non funzionano che da adolescente so riconoscere, ma è in casa con due genitori che si amano e che si rispettano che si produce la mia “crescita in sapienza età e grazia”.Qui occorre che i figli si mantengano umili e rispettosi dei genitori.
• Un genitore non può dimenticare il suo ruolo di educatore alla vita. Verso i figli e la vita ogni adulto deve chiedersi: “quando non ci sarò più, i miei figli saranno capaci di stare in piedi di fronte alla vita?”. Questa domanda aiuta ad orientare la crescita educativa che genitori e figli devono affrontare insieme in vista del futuro. Qui serve il senso di distacco e la lungimiranza dei genitori.
3. Per concludere mi piace ricordare una esperienza che rivela la cosa più decisiva e importante che sorregge la famiglia: l’amore tra papà e mamma. Un giorno per aiutare una ragazza di temperamento inquieto di cui lei ignorava la causa, ho chiesto: “tuo padre ti ama? – sì. Tua mamma ti vuol bene? – sì. Ma tuo papà vuol bene a tua mamma? – no”. L’inquietudine e l’insoddisfazione che albergava in quella ragazza nasceva da questa esperienza di famiglia dove l’amore tra papà e mamma era interrotto.
LA TRAVE PORTANTE DELLA CASA è proprio questo amore tra marito e moglie. Qui è svelato tutto il progetto di Dio sul matrimonio. E anche ai figli va fatto comprendere bene con gesti concreti questa “precedenza affettiva”. Ne troverà alimento di vita tutta la famiglia.

Invochiamo la presenza del Signore Gesù, in questo Natale, perché anche le nostre famiglie possano diventare sempre più simili alla Santa Famiglia di Nazaret.
don Daniele

Parole magiche - magia delle parole


La magia ha sempre attratto la nostra fantasia e i nostri desideri…! Poi c’è chi la prende più o meno sul serio. I nostri giovani per fare un esempio leggero, e non solo loro, hanno arricchito la signora Joanne Kathleen Rowling, comprando i suoi libri su Harry Potter. Naturalmente sappiamo che per noi cristiani la magia è una pratica da evitare. Ma è poi sempre vero? Oggi voglio svelare una magia che possiamo fare tutti, e che è di una potenza inaudita: la magia delle parole. In particolare la magia di una semplice parola. E non ci sono controindicazioni o effetti collaterali negativi.

Ricordo a questo proposito una signora che quando acquistava una medicina prescritta dal medico, leggeva il foglio illustrativo allegato, parola per parola, e quando arrivava agli effetti collaterali possibili gettava il farmaco avendo la certezza che a lei avrebbe fatto male. Voglio tranquillizzare anche quella signora, se sta leggendo questo scritto. Qualcuno potrebbe poi preoccuparsi dicendo a se stesso: e se questo potere lo usassi male? Certamente, ogni potere può essere usato in tanti modi, ma sappiamo che quello che conta è l’intenzione. Prendiamo per esempio un semplice coltello da boy scout: può essere usato per tagliare una fetta di pane, o un ramoscello, ma anche per ferire una persona.
Dunque, veniamo a questa parola:
è…………………………………………….SCUSA.

Sono solo cinque lettere, ma perché produca effetto bisogna prima di tutto imparare ad esprimerla! Chi pensa ancora che le parole magiche sono facili a dirsi? Non è sempre così. Ci sono persone che piuttosto che pronunciare la parola SCUSA preferirebbero morire! Mi spezzo ma non mi piego direbbe qualcuno. Non sanno che in questo modo la magia funziona lo stesso ma al contrario, mantenendo in essere situazioni irrisolte, rancori anche arrugginiti, odi e risentimenti. E fino a quando la magica parola non viene pronunciata, queste situazioni rimangono congelate se non peggiorano e creano solo malessere.

Più avanti cercheremo di capire il perché della difficoltà a pronunciare questa parola.

Veniamo ora alla parte positiva della magia. Cosa succede quando la pronuncio? Quando, guardando negli occhi una persona, le dico queste cinque lettere: SCUSA?

In genere il primo effetto magico è paralizzante. Una persona può avere forse tutte le sacrosanti ragioni per arrabbiarsi, per avercela con me, per dirmi parolacce, anche per odiarmi…. ma adesso, dopo avere sentita questa semplice parola di sole cinque lettere… rimane spiazzata, la sua rabbia perde di senso e di forza… lì per lì non sa cosa dire ed il più delle volte balbetta un ok., niente, sta bene, non ti preoccupare… e tutta la pesantezza del risentimento incomincia a sciogliersi come per incanto. Il più tenace potrà anche fare una piccola ramanzina, ma è solo uno sfoghino, un afflato finale, tanto per chiudere in modo per lui onorevole. In questo modo la magia può spegnere incendi che se lasciati divampare potrebbero distruggere e bruciare foreste intere; può evitare danni incalcolabili, qualche volta le guerre; d’altra parte, cosa stupenda, può anche ricostruire pace ed armonia!

Mi viene in mente un esempio che può capitare a tutti, banale per la sua semplicità ma paradigmatico perché il meccanismo che si mette in atto è sempre lo stesso: vado in bicicletta ed uno sprovveduto, senza guardare la strada, mi viene addosso. Da parte mia pochi danni ma una grande rabbia. Mi viene l’impulso di dirgliene di tutti i colori, ma lui mi precede e con voce accattivante mi dice: SCUSA. Mi blocco, lo guardo, e gli rispondo, quasi in automatico: PREGO. Farfuglio qualche altra parola ma il senso è quello. La magia ha funzionato!
Un altro esempio: Mi irrito con una persona che mi ha veramente stressato, non ne posso più e glie ne dico quattro e butto giù il telefono, chiuso! Poi mi viene un pensiero: che ne sarà della nostra relazione? Quando ci incontreremo per strada ci saluteremo? Ma lei avrà le risorse per recuperare in modo positivo la nostra relazione? Mi viene freddo! Allora prendo di nuovo il telefono, la chiamo, e le dico: SCUSA!!! Lei farfuglia delle parole, e io ripeto ancora: SCUSA!!! … mi hai scusato? Risponde a voce bassa. Sssi! Ripeto, mi hai scusato? Risposta stavolta più decisa SIII!!! Grazie, buona notte, e riaggancio. Sono passati anni e l’amicizia dura ancora.

Noi cristiani siamo particolarmente sensibili alle nostre coscienze, e sappiamo quanto le mancanze di perdono possono pesare nelle relazioni; quanto queste ferite, perché di ferite si tratta, possono fare soffrire, e quanto difficili sono i percorsi di guarigione. Talvolta ci si ammala.

Dicevamo di voler capire il perché della difficoltà a pronunciare questa parola.

Quando noi incappiamo in una incomprensione, in genere ci accorgiamo se abbiamo offeso qualcuno.

Forse non ci viene nemmeno in mente che potremmo rimediare subito, oppure non sappiamo come fare. Scatta invece in automatico un atteggiamento auto protettivo, spesso condito di ben mimetizzato orgoglio, che ci blocca, perché il nostro essere ha bisogno di confermare se stesso. Ci si ripete che si ha ragione, e che si è fatto bene. Ed alzando il volume della voce interna copriamo la paura sottostante di chinarci all’altro e di riconoscere di averlo ferito. Si vuole in sostanza evitare a noi stessi la sofferenza dell’umiliazione.

In altre parole abbiamo paura di dire: IO sono stato inadeguato, IO sono stato incapace, IO non sono stato accorto, IO non sono valido. Perché questa auto squalificazione sottintenderebbe che IO come persona, non valgo niente. Ne verrebbe misconosciuta la mia identità che è un valore sacro ed intoccabile. Il negare l’IO verrebbe vissuto a livello profondo della nostra coscienza come una morte, un cessare di esistere come persona.

Ma proprio qui sta l’inganno, o meglio, l’auto inganno. Nessuno ci chiede di negare la nostra identità, ma semplicemente di riconoscere che una nostra specifica azione possa essere stata infelice, un nostro comportamento possa avere causato danno. Non identità dunque, ma semplice comportamento. E questo rende le cose molto più facili. E’ diverso per quel ciclista che mi ha investito dire SCUSA perché mi ero distratto (comportamento), piuttosto che SCUSA, ti sono venuto addosso perché SONO un deficiente (identità). E’ diverso per quella persona che ha offeso la vicina di casa dire: scusi, non volevo, mi sono espressa male (comportamento), piuttosto che scusi, sono una idiota (identità). E così via.

Dunque, per usare questa parola magica dobbiamo capirne prima il significato vero: non si tratta, come dicevamo, di negare la nostra identità ed il rispetto che dobbiamo a noi stessi in quanto persone, ma di riconoscere, e qui sta la grandezza, che a causa di un semplice comportamento abbiamo prodotto effetti indesiderati creando sofferenza a qualcuno.
Al primo comportamento (disfunzionale) possiamo dunque aggiungere un altro comportamento (funzionale), e pronunciare la parola magica: SCUSA.
Attiveremo il questo modo la ………………MAGIA!!! .............. e ristabiliremo la perduta armonia.


PS) la magia è più potente quando la si attiva subito, appena fatto il danno.
.

sabato 26 dicembre 2009

Natale in San Francesco

Domenica di Natale sono andato alla Santa Messa nella chiesa di San Francesco di Mantova. E’ stata una cerimonia molto suggestiva e talvolta commovente per la sua bellezza. Breve ed incisiva la predica, delicato e significativo l’addobbo dell’altare ed il presepio. Straordinario il gruppo dei giovani che hanno animato la cerimonia con i loro canti. Guardandoli uno per uno mentre cantavano e suonavano, ne conosco qualcuno, ero a conoscenza dell’entusiasmo ma anche dei sacrifici che hanno fatto per preparare e donarci quei canti: ci si era messa anche la neve e il ghiaccio! Il mio vuole essere soltanto un grazie rivolto a tutti, per primo al Signore che si è degnato di venire in mezzo a noi, per averci regalato uno squarcio di paradiso.
.

mercoledì 23 dicembre 2009

Regno di Dio

Il Signore è venuto a portare il regno di Dio nel mondo. Non ha mai detto che dobbiamo soffrire e stare male ma ha continuamente aiutato l’uomo a stare bene, nel fisico, nella psiche e nell’anima. Lui stesso quando si avvicinava l’atroce prova ha pregato il Padre di allontanare questo calice, ma nella Sua volontà. Gesù ha sempre promesso pace e gioia, e S. Paolo dirà che dobbiamo essere sempre lieti. Anche la Chiesa, nei suoi vari documenti ha sempre incoraggiato e spinto l’uomo ad agire per il bene comune, nella vita, nel lavoro, nella salute, nell’ecologia, nello spirito.
Dunque, se il Signore ci ha invitati a propagare il regno di Dio nel mondo, questo significa che ci invita e ci manda a fare come ha fatto Lui, i suoi apostoli, i suoi primi discepoli. E noi siamo i suoi discepoli di oggi. Non solo, ma ha anche promesso che Lui stesso opererà attraverso di noi.
Dunque, cosa significa portare il regno di Dio? Fare delle prediche? Pregare e frequentare le funzioni religiose? Si ma non solo, perché ci vogliono le opere. Ed opere significa rendersi strumenti di benessere. Noi pensiamo sempre alle grandi opere che hanno fatto i santi, e ci sentiamo intimiditi e lontani dalle loro capacità. E questo è un inganno, perché ognuno di noi ha i suoi doni, i suoi personali strumenti che Dio gli ha donato. Ogni volta che porto un po’ di pace nelle situazioni della vita, un po’ di serenità, un po’ di positività, un po’ di ottimismo; ogni volta che porto al mondo un piccolo sorriso, che con il mio fare riesco a far stare, non dico bene ma almeno benino una persona, questo è il regno di Dio che viene. Quando agiamo in questo modo, diventiamo missionari di una chiesa che opera anche oggi, e permettiamo al Signore risorto e vivo di agire attraverso di noi come agiva quando camminava per le vie della Palestina. E questo è regno di Dio.
.

martedì 22 dicembre 2009

Buon Natale : Aprite le finestre!

Carissimi,
c'e un gesto che viviamo quotidianamente, all'inizio di ogni giornata che mi piace e che ha ispirato queste riflessioni.
E' il gesto di aprire le finestre, al mattino, per lasciar entrare la luce e I'aria fresca e nuova nelle nostre case.
Personalmente lo compio con gioia, quasi con solennità; mi piace dedicare il giusto tempo ad un gesto tanto banale eppure bello, oserei dire quasi "liturgico".
Un nuovo giorno, con gli orari e gli impegni da assolvere, ma anche con le sorprese e gli imprevisti; un nuovo giorno da vivere, con le persone da incontrare, il telefono che squilla, la porta da aprire... un nuovo giorno da accogliere con fede nella convinzione che il Signore e con me.
Tutto questo mi dice il gesto di aprire gli scuretti e le finestre della casa parrocchiale.
Si, perchè nell'aprire le finestre al nuovo giorno trovo che anche la mia anima si spalanchi dl Signore,
Mi viene in mente il discorso di Gesù, quello pronunciato sulla montagna: "Beati i puri di cuore, perche vedranno Dio".
E' proprio vero: solamente un cuore puro può vedere Dio, ma la purezza, la pulizia del cuore e affidata alla nostra liberta.
Mi piace pensare che anche la festa del Natale sia un po' come quel gesto, ripetuto ogni volta, ma sempre necessario, se non vogliamo che la nostra casa rimanga nel buio e nel ristagno di un'aria troppo viziata; perchè il rischio, Natale dopo Natale, e proprio quello di abituarsi, e di non accogliere la novità, la luce, l'aria fresca di una fede sempre nuova che il Signore ci porta con la sua nascita.
"Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Immetterò fiumi nella steppa, renderò fertile il deserto, sorgenti d'acqua sgorgheranno... voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio".
Carissimi, apriamo il cuore al Signore che viene; respiriamo a pieni polmoni la novità del Dio-bambino, avvertiamo la bellezza di essere figli nel Figlio, lasciamo che anche le nostre croci e i nostri dolori vengano presi sulle spalle da Colui che "si è fatto simile a noi in tutto, eccetto il peccato".
Carissimi, c'è bisogno, oggi di un cristianesimo pulito, fresco, senza le pesantezze di tante mediocrità e compromessi. Per fortuna, o meglio per grazia del Signore, ci sono ancora oggi, uomini e donne con I'anima pura che ci invitano ad alzare lo sguardo, ad aprire la finestra del nostro cuore per lasciar entrare Colui che può "fare nuove tutte le cose".
Quanto mi piacerebbe che le nostre comunità parrocchiali fossero rinnovate, in questo Natale, da quel Bambino che andremo ad incontrare e adorare.
Lo chiedo al Signore per me e per voi, Lo chiedo in particolare per i giovani perchè sentano su di se lo sguardo d'amore di Gesù.
Lo chiedo per gli anziani e gli ammalati perchè siano asciugate le lacrime della solitudine e della tribolazione. Lo chiedo per tutti perchè possiamo riprendere il cammino, cantando la bellezza di essere figli di Dio.
La notte di Natale, come una liturgia, apriamo la finestra. Quella del nostro cuore.
Con affetto vi auguro Buon Natale.
don Alfredo

lunedì 21 dicembre 2009

Racconto di Natale

E’ con questo racconto di Natale che esprimo i più cari auguri di Buone Feste a tutte le famiglie.Spero di cuore che possiamo assaporare insieme il senso della Luce di Cristo che viene ad illuminare la nostra semplice vita con la sua presenza.
don Daniele

Era la vigilia di Natale. Tutto il monastero respirava un clima di particolare raccoglimento. Fuori nevicava fin dalla mattina. Un silenzio cosmico avvolgeva come cotone tutto il paesaggio. L'abate, nel modo solito, aveva permesso solo a due o tre padri spirituali di poter ricevere telefonate.

Era ormai scuro, quando squillò il telefono nella cella di padre Boguljub (che vuol dire “Caro a Dio”). Il monaco stava alla finestra e guardava come il buio non riusciva a inghiottire i fiocchi di neve. Quando il telefono aveva già suonato un paio di volte, l'anziano monaco si era girato, mormorando come suo solito: “Sia benedetta l'anima che chiama”.

Era Jan con la sua famiglia. “Una santa vigilia, padre Boguljub, da parte di tutti noi! Abbiamo appena finito di fare il presepe. Abbiamo trascorso un bel po' di tempo, tra ieri e oggi, per preparare bene il presepe e rendere festosa la casa...”

La moglie aveva aggiunto: “Padre, ti abbiamo ricordato tanto. Abbiamo ricordato le tue parole, i momenti che abbiamo vissuto insieme... Mentre facevamo il presepe e decoravamo la casa, ci siamo resi conto di come la casa sia abitata dai ricordi, dalle presenze care che hanno lasciato dentro qualcosa di sé”.

“Ma proprio questo è il presepe”, aveva risposto Boguljub. “Nel presepe noi rappresentiamo la vita quotidiana che viene felicemente sconvolta dalla nascita del Figlio di Dio e Salvatore degli uomini. La sua presenza è disseminata in tutta la terra. Perciò cambia tutto: il falegname lavora diversamente da prima, il contadino cura le sue mucche diversamente da prima, le donne si trovano davanti al negozio a parlare diversamente da prima, perché tutta la terra è inabitata da una luce nuova. E noi, tramite la nostra amicizia, partecipiamo a questa luce portandocela l'uno all'altro. Questa luce non si spegne, perché è abitata dai volti, e i volti rimangono. Eh, già... i volti sono la memoria. Anch'io vi auguro una santa vigilia, e che possiate accogliere la luce che entra nella vostra casa!”

“Sei stato proprio tu”, aggiunse Jan, “che l'hai portata, quelle poche volte che sei venuto a trovarci. E la vita in questa casa è vissuta e vista diversamente anche per questo. Sei stato tu, padre Boguljub, a dirci tante volte che la vita spirituale consiste nel vedere le cose nella luce giusta”.

“Sí, Natale è la festa della luce, e noi cristiani siamo gente della luce, gente che cammina in una valle inondata da una grande luce. Ma ci sono delle cose nella nostra valle che non è facile vedere nella luce giusta.., e poi c'è anche la luce del mondo, che abbaglia e illumina la vita con i suoi fuochi d'artificio. Natale è una buona occasione per abituare i nostri occhi alla luce vera, per non essere abbagliati dai luccichii che non contano”.

E mentre ancora parlava, guardava dalla finestra nel buio della sera, che tuttavia faceva intravedere i fiocchi di neve. Gli sembrava che i fiocchi piú vicini alla finestra e quelli piú lontani creassero un movimento di straordinaria profondità, quasi da vertigini.

“Padre Boguljub, è ancora in linea?”

“Sí, sí, un santo Natale. E scaldate il cuore ai vostri figli in questa santa notte. Che la memoria del calore e dell'amore, della luce e della festa si imprima in loro per i tempi freddi e deserti che forse li aspettano prima di giungere alla vecchiaia!”

Mentre tornava di nuovo verso la finestra e si immaginava la mensa che i monaci di san Benedetto preparavano per Natale, con grandi pani, brocche di vino e mele, pensava alla casa di Jan e di Tina. Era una casa semplice e bella. Boguljub si ricordava di come avevano preparato la cena l'ultima volta che li aveva visitati. Era sera anche allora. Lui era arrivato in treno. Jan lo aveva preso con la macchina e, prima di arrivare a casa, gli aveva detto che avrebbero voluto confessarsi con la moglie prima della cena. Sulla porta di casa, il monaco aveva salutato Tina e i due piccoli bambini che lo avevano guardato con stupore, perché la sua barba faceva loro una grande impressione. Entrando nel salotto, Jan aveva spiegato ai bambini che sarebbero dovuti rimanere per un attimo nella loro stanza a giocare. Allo sguardo interrogativo dei bambini, sul perché dovessero ritirarsi quando era arrivato un ospite cosí interessante, aveva aggiunto che mamma e papà dovevano incontrarsi con padre Boguljub e con il Signore.

Ales, che era un poco piú grande, intorno ai 5 anni, aveva chiesto con la sua vocina: “Ma con quale signore?”

Jan aveva risposto con certezza, senza esitazioni: “Con il nostro Signore”. “E come si chiama?” aveva chiesto Ales. “Gesú Cristo”. “Ah”, aveva acconsentito, quasi facendo vedere che la risposta gli bastava.

Ma dopo un attimo aveva aggiunto: “Ma quando è venuto? E dove è ora?” “In mezzo a noi”, aveva risposto a voce bassa padre Boguljub. Il bambino si era impensierito. “Come, in mezzo a noi?”

Il padre, Jan, allora si era chinato verso il figlio: “Hai visto come ci siamo salutati con padre Boguljub? Come parliamo con la mamma di lui? Chi pensi che sia lui per noi due, e anche per voi due?” “Un vecchio amico”, era intervenuto il piccolo Milos. “Sí!”, aveva aggiunto Ales, “gli volete tanto bene”.

“Vedi, Ales, questa amicizia in qualche modo è il nostro Signore. Impara il suo nome: è l'amore che sta qui. Lui stesso ha detto che dove c'è l'amore, lí c'è Lui.

Ales e Milos, secondo voi, la mamma e io ci vogliamo bene?” “Sí, tanto”. “Questo nostro amore ce lo ha dato il Signore e ci ha unito con Lui per sempre.

Vi ricordate quando andate ad aprire le scatole con le foto del nostro matrimonio, che vi piacciono tanto? In quel momento il Signore è entrato tra noi ed è rimasto qui, nella nostra famiglia”. E mostrava con tutte e due le mani lo spazio intorno.

I bambini erano usciti con grande attenzione, silenziosamente, come se fossero attenti a non sfiorarlo, perché non riuscivano a individuare esattamente il posto dove si trovava. Anche allora la luce della presenza di Dio aveva trovato casa in una semplice famiglia che viveva alla sequela del Signore.

Per un attimo è come se Boguljub avesse fermato questo film della memoria, nel quale si era totalmente immerso. Il suo occhio si era posato sul santino di san Benedetto che spuntava dalla Bibbia sul tavolo e aveva mormorato: "Ecco, Signore Gesú Cristo, tanti dicono che il mondo va male, ma dietro le mura, al di là di ciò che si vede e soprattutto al di là di ciò che il mondo ci fa vedere, o meglio, Signore, di ciò che vuole che noi vediamo, quanta bellezza, quanta semplicità!"

Boguljub, davanti alla finestra, rituffò lo sguardo nel buio della notte, e subito riprese il filo dei ricordi…
estratto da: “I racconti di Boguljub: L’AMORE RIMANE” di M.I. Rupnik - ed. Lipa

mercoledì 16 dicembre 2009

Natale 09

Fare un buon Natale, per noi cristiani, significa accogliere nei cuori il piccolo Bambino che nasce, offrendogli un ambiente traboccante di pace e di amore.
Il Natale rappresenta anche una occasione speciale ed una straordinaria opportunità per guardare, assieme a Lui, alla nostra vita con sguardo clinico, programmarne una bonifica, se necessaria, e scegliere gli obbiettivi prossimi e futuri per raggiungere una sempre maggiore realizzazione nostra e del progetto che il Signore ha messo dentro di noi.
Dunque questo il mio augurio per tutti : Buon Natale e… buon lavoro.
.

martedì 15 dicembre 2009

La chimica delle emozioni

Noi abbiamo spesso la percezione di essere chimica, e che questa governi il nostro vivere: chimica quando siamo allegri, chimica quando siamo tristi, chimica quando siamo innamorati, chimica quando smettiamo di desiderarci, chimica quando siamo depressi. Sembra pazzesco, ma questi stati sono facilmente riproducibili anche in laboratorio: ti iniettano delle sostanze e tu sei euforico, altre sostanze e tu tremi dalla pura.
In tutte le nostre esperienze, se stiamo un po’ attenti a noi stessi, abbiamo anche la netta sensazione, direi la certezza interiore che il nostro ESSERE sia un qualcosa di diverso e di molto superiore rispetto agli stati che proviamo. E “sappiamo” che questi stati sono il risultato e non la causa di un processo interiore, la conseguenza di un qualcos’altro che sta a monte che sarà opportuno individuare per prenderne il controllo.
Sbaglia pertanto chi si affida solo alle emozioni per fare delle scelte di vita.
C’è anche chi fa delle sciocchezze in preda ad emozioni. Basta guardarci intorno, leggere i giornali, i notiziari, seguire la cronaca. E ne sono vittime principalmente i giovani.
Poi basta che la chimica cambi anche di poco, e ci troviamo di fronte a realtà completamente diverse. Come un palcoscenico è diverso vederlo tutto illuminato, e poi a riflettori abbassati.

Prendiamo per esempio una persona che è stata intemperante per gelosia, per sensibilità ferita, risentimento, anche rabbia e si è lasciata invadere e sopraffare dalla chimica del momento. Passata questa situazione si riprende, e guardandosi intorno vede i danni che ha fatto e si scopre deluso, povero e sconsolato (altra chimica). Qualcuno, avendo esagerato, ne paga anche un prezzo alto che non aveva previsto.

Spesso anche quello che noi chiamiamo AMORE è confuso con le sensazioni prodotte dagli umori del momento, e ci prendiamo delle cantonate strepitose.

Ulisse, quando si è avvicinato all’isola delle sirene sapeva che i marinai sentendo il loro canto si sarebbero buttati in mare per raggiungerle, e sarebbero morti, e così avrebbe fatto anche lui perché il loro richiamo era troppo forte. Allora, non volendo privarsi di questa esperienza, che cosa ha deciso di fare? Si è fatto legare all’albero della nave! Dunque, Ulisse non si è lasciato travolgere dalle emozioni, ma ha scelto di dominarle usando la ragione, e le ha gestite.

Verso di te è il tuo istinto, ma tu dominalo (Genesi 4,7) E proprio qui sta il segreto: le emozioni fanno parte dell’uomo che Dio ha creato, e sono cosa buona. Ma bisogna riconoscerle e saperle gestire (dominare). Per concludere con una immagine, vien da paragonare le nostre emozioni alle bolle di sapone: diventano grandi, grandi… e poi puff! Non ci cono più. Non durano.

Nella Bibbia c’è una definizione molto significativa: le passioni sono ingannatrici.

Ef 4,22-23
l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici
e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente.

Ps) La Parola di Dio ci svela la precarietà delle passioni (emozioni) e contemporaneamente ci offre anche la via da seguire per non lasciarci ingannare: rinnovarci nello spirito della nostra mente.

venerdì 4 dicembre 2009

FestivArt : un servizio Eucaristico!

Gianni (direttore artistico) e don Daniele (responsabile del settore adolescenti della Pastorale Giovanile di Mantova)"Oggi avete un ruolo importantissimo, siete stati tutti chiamati personalmente, non per un servizio qualsiasi, ma per un servizio Eucaristico."

Ecco come Don Daniele ha accolto noi volontari del FestivArt sabato mattina.
Ma cosa intendeva per 'servizio Eucaristico'?"Eucarestia -ha continuato- significa rendere grazie ". E a chi si deve riconoscenza se non al nostro Signore per tutto quello che ci ha dato e ci continua a donare?A Colui che ci ha creato, che per primo ci ha cercato, per primo ci ha rivolto la Sua Parola, ci ha salvato, a Lui che gratuitamente ci ama e gratuitamente ci interpella aspettando solo un nostro libero 'Si'..?Di qui la bellezza di un servizio che, pur nella difficoltà dell'organizzazione, nella preoccupazione di non riuscire a dare il meglio di se' a tanti giovani, venuti perchè 'affamati' di qualcosa di vero, diventa un modo per donare una piccola parte di noi a Chi ci conosce veramente e ci ama per come siamo. E quale può essere il modo migliore se non il servizio col sorriso, l'accoglienza a cuore aperto e disponibile verso tanti adolescenti e il mettersi in gioco anche nei momenti più difficoltosi con impegno e spirito di collaborazione? Ecco la sana testimonianza per un popolo di giovani che nella loro frenesia aspettano solo degli adulti non da imitare, da clonare, ma che diano loro spunti di crescita per una vita VERA. Tante sono le opportunità per vivere veramente una vita ricca e stimolante nel bene e il FestivArt ha fatto vedere e conoscere quanto anche l'oratorio possa essere e spesso sia un luogo "in", alla moda e soprattutto di formazione e preparazione ad una vita 'fuori' di pienezza e non di stenti e di denigrazione. Il grande impegno, la collaborazione, l'amicizia che ha accompagnato la lunga preparazione a questo particolare evento mette in risalto il bellissimo lavoro svolto dai ragazzi nel proprio oratorio, lavoro che si è manifestato attraverso l'arte della musica, del canto, della danza e del teatro.
E allora la domanda che nasce spontanea è: perchè, ragazzi, non provare a dare sempre più fiducia a questi grandi valori che ci appartengono, perchè non continuiamo a vivere in prima persona la voglia di pienezza, la fantasia e la curiosità che in questa giornata del FestivArt abbiamo toccato con mano e che sono veramente i sintomi più importanti di quella bella 'malattia' che anche il nostro vescovo ha chiamato la giovinezza?
MariaGrazia&Mauro

Maria Porta dell'Avvento

“Maria, tu Porta dell’Avvento, Signora del silenzio, sei chiara come aurora, in cuore hai la Parola…” e il noto canto ci ricorda che la Vergine è l’icona del tempo liturgico che ci apprestiamo a vivere in preparazione al Santo Natale di Gesù. A lei, piena di grazia, si volgono il nostro sguardo e il nostro desiderio, per imitarne l’umiltà, serenità, fiducia, tenerezza materna... E così, quasi senza rendercene conto, Maria diventa l’alibi del nostro disfattismo mascherato da docilità, dell’atteggiamento di attesa che in realtà nasconde temporeggiamenti e insicurezze, del buonismo natalizio…da fratelli minori di Ponzio Pilato!
Maria non è la statuina con le mani giunte posta nella nicchia della chiesa: è la Madre di Dio, colei che tutte le generazioni chiameranno beata, perché ha saputo dire concretamente di sì alla chiamata d’amore del Signore! Non ha avuto paura di mettersi in gioco completamente per collaborare al progetto di Dio, per quanto incredibile e misterioso apparisse ai suoi occhi: ha creduto in Colui che è fedele, dimostrando agli uomini di tutti i tempi che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37)!
E, allora, se vogliamo essere veri figli di Maria, abbandoniamo le posizioni di comodo nelle quali ci sentiamo rassicurati e protetti, apriamo le orecchie e il cuore alla voce del Padre e stiamo pronti, con “la cintura ai fianchi e le lucerne accese” (Lc 12,35), per risponderGli: “parla, Signore, il tuo servo ti ascolta!” (1Sam 3,10)!
Siamo sinceri con noi stessi e con Colui che “ci scruta e ci conosce” (cfr Salmo 139): quanto sono lontani i nostri “sì” dal coraggio, dalla semplicità, dalla generosità e dallo slancio di Maria?
Non sciupiamo l’occasione che questo tempo d’Avvento ci offre e preghiamo con il cuore e con la vita:
“Vorrei che il mio sì fosse semplice come il tuo,
che non avesse astuzie mentali.
Vorrei che il mio sì, come il tuo,
non mi mettesse al centro, ma a servizio.
Vorrei che il mio sì al disegno di un Altro, come il tuo,
volesse dire soffrire in silenzio.
Vorrei che il mio sì, come il tuo,
volesse dire tirarsi indietro per fare posto alla vita.
Vorrei che il mio sì, come il tuo,
racchiudesse una storia di salvezza.
Ma il mio peccato, il mio orgoglio, la mia autosufficienza,
dicono un sì ben diverso.
Il tuo sguardo su di me, Maria,
mi aiuti ad essere un semplice,
uno che si dimentica,
nella disponibilità di chi sa di esistere da sempre
soltanto come un pensiero d’amore.”

(Bruno, Vorrei che il mio sì, in “Maria…un altro racconto – Preghiere di giovani”).
Marianna Russo
del giornale Agire

martedì 24 novembre 2009

Perchè scegliere Teologia.

La scelta universitaria è sicuramente una delle decisioni più impegnative per i giovani: si tratta di una fase delicata di bilanciamento tra aspettative e studi pregressi, attitudini e consigli di familiari, professori e amici più grandi, senza tralasciare un’occhiata attenta e preoccupata all’andamento del mercato del lavoro… Questa la “rete protettiva” del grande “salto nel buio” o, meglio, verso il proprio futuro! Giurisprudenza, Lettere, Ingegneria, Scienze della comunicazione, Medicina…quale sarà la strada “giusta”? E se fosse… Teologia? Impossibile: è una facoltà solo per preti e suore! Sicuri?
Alessia Palmegiani, trentaduenne carina e spigliata, docente di religione nella diocesi di Roma, ci racconta cosa l’ha spinta a diciotto anni da Poggio Bustone, in provincia di Rieti, alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Come mai hai scelto di studiare Teologia?
E' difficile spiegare ciò che mi ha indotto ad andare a Roma per studiare Teologia: si è trattato di sensazioni che non ho ben decodificato. Fortunatamente, ho ascoltato il mio cuore che mi diceva che era la cosa giusta…e ho avuto il coraggio di farla!
Sicuramente è una scelta nata da una grande fede e dal desiderio di approfondirla…
Sono stata segretaria della Gioventù Francescana per molti anni, ma dopo la prematura morte di mio padre, io, ragazza impegnata da sempre nella mia piccola chiesa di paese, mi sono sentita tremendamente sola e il dolore interiore è stato lacerante. Vedevo tutto come un'ingiustizia e, anche se non volevo, ero arrabbiata con Dio. Terminato il Liceo, avevo deciso di intraprendere gli studi di Lettere Classiche a Perugia, dove ho trascorso il primo anno fuori casa. In quell'anno l'apatia di vivere mi avvolse, ma soprattutto non trovavo appagamento in ciò che studiavo, perché non dava risposte alle mie domande interiori.
E cos’è successo?
Una sera, mentre pregavo davanti al Santissimo Sacramento, ho capito che dovevo cercare le mie risposte in Lui. E mi sono ricordata che alcuni anni prima un mio caro amico frate minore, P. Andrea, mi aveva parlato degli studi teologici alla Gregoriana, perché gli avevo confidato che mi sarebbe piaciuto studiare "le cose di Dio". Non sapevo bene neppure io di cosa si trattasse: credo di aver fatto un po' l'esperienza di Abramo, lasciando tutto per la mia Terra Promessa!
Qual è stata la reazione a casa?
La notizia mandò mia madre in crisi, ma nel silenzio rispettò il mio desiderio e mi permise di farlo.
E come ti sei inserita, giovane e laica, in un ambiente prevalentemente “ecclesiastico”?
Il primo periodo non è stato semplice: la solitudine era la mia compagna intima e la filosofia "una costrizione" nel mio percorso. Ma, poco a poco, ho iniziato a conoscere i miei compagni di corso e le altre giovani laiche degli anni successivi. Mi sono accorta di non essere la sola in cammino e spesso mi sono trovata ad essere la confidente dei miei amici seminaristi (ora sacerdoti). In quei momenti sentivo che Dio mi confermava in quello che stavo facendo: riuscivo a comprendere che il Signore mi aveva attirato lì per servire la Chiesa nel suo cuore, per aiutare, nella mia piccolezza, a formare uomini e donne di Dio. E forse proprio la mia semplicità e la mia giovane età mi hanno aiutata a ricevere dai Padri Gesuiti dell’Università Gregoriana tanto affetto e stima, ma soprattutto la tenerezza del loro sguardo paterno.
Sono nate delle belle amicizie in quegli anni…
Sì, determinante è stata l'amicizia con suor Erika, che, pur essendo più grande di me di qualche anno, ha sempre condiviso con me tutto. Grazie a lei ho toccato con mano cosa vuol dire San Giovanni quando parla dell'amicizia, del far conoscere agli altri quello che Dio ci comunica.
Che ricordo conservi di quegli anni? Che tesoro porti nel cuore?
Le cose che conservo nel cuore sono tante, ma ricordo in modo profondo la Messa del mattino nella cappella degli studenti al piano terra: le riflessioni dei professori, i canti, la distribuzione dell'Eucaristia e la preghiera sono stati l'alimento dei miei otto anni alla Gregoriana. E' stata questa la sorgente della mia forza e la luce per il mio intelletto. Sentivo che la mano di Dio era sopra il mio capo, benedicendomi.
Da sei anni insegni religione in alcune scuole pubbliche di Roma: come ti hanno accolto i tuoi alunni?
Iniziare ad insegnare è stato importante, perché ho preso coscienza di alcune capacità che non sapevo di avere. La mia giovane età è come una medaglia, ha due risvolti, ma credo che la serietà e la passione abbiano la meglio anche a scuola. Gli alunni restano colpiti dalle tante cose che puoi insegnare, ma vogliono vedere un modello dal quale attingere e soprattutto una persona di fede che parli loro di Dio con amore: sono la Prof di Religione!!!
Quali sono le gioie e le soddisfazioni del tuo lavoro?
Vedere che iniziano a studiare e ad appassionarsi alla tua materia, vederli maturare come persone e crescere come gruppo-classe, osservare che iniziano a rispettarti e a salutarti per i corridoi (non solo gli studenti!), divertirsi insieme durante i campi-scuola e scoprire che ti chiedono amicizia su Facebook: tutto questo indubbiamente gratifica e dà forza per continuare a crederci!
Oltre al matrimonio con il tuo fidanzato, quali sono i tuoi sogni e progetti per il futuro?
Dopo la realizzazione affettiva e una casa, i sogni sono tanti… Vorrei riprendere gli studi di Teologia per conseguire il dottorato e poter così insegnare anche ai più grandi. E poi mi piacerebbe tenere delle riflessioni spirituali nelle parrocchie per far sentire le persone più vicine a Dio.
Per ora ho iniziato una collaborazione con la Diocesi di Tivoli per insegnare Introduzione alla Sacra Scrittura al corso di Teologia per laici, ma il sogno nel cassetto è poter fare lezione tra le campagne del Centro Italia in un bell’agriturismo, immersi nella bellezza del creato.
Bellezza del creato…che è un riflesso della Bellezza di Dio, presente anche nello sguardo di coloro che Lo amano con cuore sincero e “non si vergognano del Vangelo” (cfr Rm 1,16), ma lo annunciano con la semplicità dei piccoli di Dio. Grazie di cuore, Alessia, per la tua bella testimonianza e per il tuo impegno!

Marianna Russo
del giornale Agire

martedì 17 novembre 2009

La sindrome del Niagara

Ricordo di averla letta da qualche parte.

Secondo me la vita è come un fiume,
e la maggior parte degli uomini si lancia in questo fiume
senza sapere esattamente dove vuole andare a finire.

Così, in breve tempo si lascia prendere dalla corrente:
dagli eventi correnti,
dalle paure correnti,
dalle sfide correnti.

E quando arriva a una biforcazione del fiume,
non riesce a decidere consapevolmente da che parte andare,
o quale è la direzione giusta.

Si limita ad "andare con la corrente".

Entra a far parte della massa di persone che si lasciano guidare dall'ambiente invece che dai valori.…

e mentre naviga faticosamente lungo il fiume
concentrandosi di volta in volta sulla prossima roccia,
contro cui può andare a sbattere,
non vede,
o non può vedere abbastanza lontano davanti a lui,
per evitare la cascata.
Di conseguenza, sente di avere perso il controllo.

E resta in questo stato d'incoscienza
Fino al giorno in cui il fragore dell'acqua lo sveglia
e si rende conto di stare a un paio di metri dalle cascate del Niagara,
in una barca senza remi.

A questo punto esclama: "Accidenti!"

Ma ormai è troppo tardi. Finirà col precipitare.

A volte il crollo è emozionale.
A volte fisico.
A volte finanziario.
A volte è spirituale

E' probabile che ,
qualsiasi sfida incontriate nella vostra vita,
avreste potuto evitarla con una migliore decisione,
presa più a monte.

Novembre

Novembre, il mese tradizionalmente dedicato alla commemorazione dei fedeli defunti, riporta a galla il “tabù” di ogni uomo, soprattutto nella società contemporanea, quella realtà problematica alla quale anche noi cristiani cerchiamo di non pensare mai, la morte.
Chi di noi non ha sperimentato sulla propria pelle e nel proprio cuore lo “strappo” doloroso per la perdita di persone care? E come affrontare “cristianamente” questi inevitabili e drammatici eventi?
Non siamo certo chiamati a far finta di niente, a “spegnere” il cuore e i sentimenti, a fingerci super-eroi che non conoscono sofferenza, che non piangono mai: non c’è niente di più falso e pericoloso di un cristiano “apatico” (etimologicamente, senza emozioni, sentimenti…)!
“Non ci è domandato di essere forti nei momenti di sofferenza. Non si chiede al grano, quando lo si macina, di essere forte, ma di lasciare che la macina del mulino ne faccia della farina” (Madeleine Delbrel, “Indivisibile Amore”).
Cosa ci ha insegnato il Maestro? Gesù, vero Dio e vero uomo, ha pianto per la morte dell’amico Lazzaro (Gv 11,35) e si è commosso profondamente davanti alla piccola bara dell’unico figlioletto della vedova di Nain (Lc 7, 12-15), si è chinato con materna compassione su ogni ammalato e sofferente incontrato sul Suo cammino.
Da cristiani, quindi, non possiamo chiudere gli occhi e le orecchie davanti alla sofferenza, ma non dobbiamo neanche cedere alla tentazione di crogiolarci, deprimerci e lasciarci sopraffare, schiacciare dal suo peso: noi sappiamo che la morte non ha l’ultima parola!
Il nostro dolore è impregnato di lacrime e speranza perché abbiamo riposto la nostra fiducia in Colui che ha detto “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11,25-26).
E anche a noi, come a Marta, la sorella dell’amico Lazzaro, chiede: “Credi tu questo?” (Gv 11,26).
A ciascuno di noi la risposta.
Marianna Russo
del giornale Agire

Gesù al centro!

Qual è il “segreto” della santità?
Mettere Gesù al centro della propria vita!
E i giovani di Roma ci hanno provato con la missione diocesana intitolata, appunto, “Gesù al centro”: per un’intera settimana il cuore della Capitale si è colorato di gioia e di speranza grazie all’entusiasmo dei 400 “missionari” che hanno animato Piazza del Popolo e Piazza Navona con canti, giochi e balli…alla faccia di chi pensa che essere cristiani significhi annoiarsi! Non solo: numerosi sono stati gli ospedali e gli istituti scolastici “visitati” dai giovani testimoni, che, con semplicità e generosità, hanno condiviso l’esperienza del proprio incontro con Dio, incontro che cambia la vita e le dà un senso nuovo, più vero, più bello…fino a spingerti a cantare le Sue meraviglie, senza vergogna, anche per le strade della città!
Il programma della missione diocesana è stato fitto di spettacoli di evangelizzazione, concerti di musica cristiana, conferenze, ospiti d’eccezione come Claudia Koll, Erika Provinzano (finalista del Good News Festival), il Vescovo dell’Aquila S.E. Mons. Giuseppe Molinari, il vaticanista Luigi Accattoli…
Tanti i sacerdoti impegnati ad accogliere, ascoltare e perdonare in nome di Dio presso la Tenda della Riconciliazione; numerosi i giovani, le religiose e consacrate, le coppie di sposi disponibili presso la Tenda dell’Incontro per un colloquio…
L’iniziativa, ormai alla sua sesta edizione, è nata per “percorrere nuove vie di evangelizzazione e creare uno spazio di confronto tra i ragazzi su tematiche di fede”, ha spiegato don Maurizio Mirilli, Direttore del Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile, e notevole è stato l’impegno profuso da tutti i partecipanti. Ma il protagonista è sempre Lui: è Gesù che chiama, parla al cuore, si lascia incontrare! L’amato servo di Dio Giovanni Paolo II ripeteva spesso ai “suoi” giovani: “È Lui che cercate quando sognate la felicità!”. E la chiesa di S. Agnese in Agone a piazza Navona, traboccante fino alle 24 di cuori inginocchiati davanti al Santissimo Sacramento, non lascia adito a dubbi: i giovani sono intelligenti…e hanno “scelto la parte migliore” (Lc 10,42)!

Marianna Russo
del giornale Agire

martedì 10 novembre 2009

Diamo senso

Mi raccontava una giovane suora di un suo piccolo problema, al quale non aveva ancora dato risposta. Talvolta le risposte sono molto semplici, direi ovvie, ma non è sempre facile trovarle e lei su questo argomento era ancora, diciamo, sulla strada della ricerca. Dunque lei trovava difficoltoso il rispetto degli orari della sua comunità: spesso e volentieri si tratteneva con i genitori dei suoi alunni, era anche insegnante, e giungeva poi in ritardo all’ora del pranzo, quando tutte le consorelle erano riunite. Altre volte si fermava a parlare con il sacerdote, o qualcun altro, e poi giungeva fuori orario all’ora comunitaria della preghiera. E così via. Sta di fatto che la comunità aveva cominciato a sentirsi a disagio per questi suoi ritardi e la stessa madre superiora le aveva già fatto qualche richiamo. “Ma se sto parlando con un genitore, non è cosa buona per la educazione dei figli? e se parlo di un argomento importante con il sacerdote, sarebbe giusto interrompere il discorso solo per andare in comunità, quando là ci sto tutto il giorno? Che senso avrebbe fare diversamente?” In sostanza questa suora pensava che mettersi a disposizione del prossimo fosse molto più importante dell'osservanza di tante regole imposte dalla vita comunitaria. Non che queste regole le ritenesse sbagliate, solo che per lei venivano dopo altre cose più importanti: pensava anche che era ora di svecchiare il sistema, e che si doveva diventare tutti un pò più pratici.

Ragionando insieme su questo argomento siamo giunti alla conclusione che l’intelligenza dell’uomo reclama sempre comportamenti che siano razionali e che abbiano senso. E fra i valori di questa suora, nella scala di priorità (abbiamo tutti una scala di priorità dei nostri valori), c’era prima il servizio al prossimo, poi gli adempimenti di vita comunitaria. Come in un quadro quando ci sono delle immagini in primo piano ed altre sullo sfondo. Stando così le cose, lei si stava comportando con coerenza, occupandosi delle cose in primo piano, perché così pensava di servire meglio il Signore, nonostante registrasse del malcontento sullo sfondo.

E’ bastato recuperare il profondo significato spirituale per una consacrata della “regola” e dei santi principi di umiltà ed obbedienza, perché cambiasse la scala di priorità dei suoi valori, e quindi fossero riportati in primo piano quei significati che si erano perduti sullo sfondo. Ora il suo comportamento ha potuto modificarsi con facilità perché era stato recuperato nuovo senso e nuova forza al suo agire.

Abbiamo detto che questo processo, del dare senso a quello che facciamo, è comune a tutti noi in quanto esseri dotati di intelligenza e raziocinio. Ed è importante prendere coscienza che il nostro agire, in ogni circostanza, è sempre coerente con i principi che "abbiamo dentro", anche se non ne siamo sempre pienamente consapevoli.
.
Un esempio? Prendiamo il problema di attualità in questi giorni sull’esporre il crocifisso nelle scuole: se la croce, nella nostra scala interna dei valori occupa un posto importante, ci batteremo in tutti i modi per mantenerla esposta. Se invece si trova sullo sfondo, allora ci sono tante cose più importanti che vengono prima, compreso il rispetto di qualsiasi altro punto di vista, verso il quale, come conseguenza, ci scopriamo benevoli e facilmente tolleranti.

Così funzionano le cose, e purtroppo ci è dato di cogliere che i valori religiosi si stanno sempre più spostando sullo sfondo della nostra vita personale e sociale.
Dobbiamo prendere atto che è nella nostra natura di esseri dotati di coscienza ed intelligenza l'essere coerenti con noi stessi e pertanto le nostre azioni non sono che espressione e carta tornasole dei nostri valori e sentimenti profondi. Dunque, abbiamo quello che siamo.

Ottobre mese del Santo Rosario

Ottobre, mese devozionalmente dedicato al Santo Rosario, la preghiera più popolare, la più semplice, con quel susseguirsi di “Ave Maria”, i tanti piccoli baci che i figlioletti danno alla Mamma, i dolci “ti voglio bene” che un cuore innamorato non si stanca di ripetere con tenerezza, anche cinquanta volte di seguito…
Oggi, nell’epoca della continua lotta contro il tempo, travolti come siamo da mille impegni da incastrare…qual’è il destino della corona del Rosario, che le nostre nonne e mamme “accarezzavano” con tanta devozione, sgranandola tutte le sere per affidare alla Vergine i loro cari, vicini e lontani? Che ne è della preghiera “preferita” dall’amato servo di Dio Giovanni Paolo II (cfr lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae”)? È timidamente nascosta in fondo ai nostri cassetti e al nostro cuore per sfuggire al rumoroso coro di “perché sprecare così il tempo?”, “a che serve?”, e, nella migliore delle ipotesi, “non sarebbe meglio dedicare quel tempo al volontariato?”.
La risposta più efficace per mettere in fuga questi subdoli dubbi viene dalla testimonianza di Madre Teresa di Calcutta, una grande santa della carità, “che frequentava i bassifondi del mondo, povera, amica degli ultimi, dei dimenticati, dei non-amati”, e allo stesso tempo donna di profonda spiritualità, che dedicava ore e ore alla preghiera, iniziando la giornata ai piedi del Santissimo Sacramento.
“Da una persona che non dimentica di pregare, tutti i dimenticati della terra possono sperare di ricevere attenzione, rispetto, addirittura una vita in dono. Quando si restringono gli spazi della preghiera non è che si allarghino quelli della carità…al contrario lo spazio lasciato libero viene occupato dall’egoismo, dall’indifferenza e dall’estraneità. È il dialogo con Dio che produce la carità” (don Alessandro Pronzato).
Ricordiamocene quando ci solletica la tentazione di sostituire con il “fare” il tempo dello “stare” ai piedi del Maestro! E per noi che abbiamo sempre fretta…c’è un “segreto” da non sottovalutare: Maria è la “scorciatoia per il cielo” (Maria Di Lorenzo)!
Marianna Russo
del giornale Agire

giovedì 5 novembre 2009

Quando leggere la Bibbia?

Magari ogni giorno e possibilmente, tutta di seguito. Ma può essere letta anche a temi, secondo le necessità e gli stati d'animo particolari in cui ci si trova. A questo scopo segnaliamo alcuni Salmi e altri brani biblici, per alcune situazioni particolari.

Quando sei triste
Salmi 33; 40; 42; 51; Vangelo di Giovanni cap.14

Quando gli amici ti abbandonano
Salmi 26; 35, Vangelo di Matteo cap.10, Vangelo di Luca cap.17; Lettera ai Romani cap.12

Quando hai peccato
Salmi 50; 31; 129; Vangelo di Luca cap. 15 e 19, 1-10

Quando vai in chiesa
Salmi 83; 121

Quando ti trovi nei pericoli
Salmi 20; 69; 90; Vangelo di Luca cap. 8,22-25

Quando Dio ti sembra lontano
Salmi 59; 138; Isaia 55,6-9; Vangelo di Matteo cap.6,25-34

Quando ti senti depresso
Salmi 12; 23; 30; 41; 42; Prima lettera di Giovanni 3,1-3

Quando ti assale il dubbio
Salmo 108; Vangelo di Luca cap. 9,18-22; Vangelo di Giovanni cap. 20,19-29

Quando ti senti sopraffatto
Salmi 22, 42, 45; 55; 63

Quando senti il bisogno di pace
Salmo 1, 4, 85; Vangelo di Luca cap. 10,38-42; Lettera agli efesini 2,14-18

Quando senti il bisogno di pregare
Salmi 6, 20; 22, 25, 42; 62; Vangelo di Matteo cap. 6,5-15; Vangelo di Luca cap. 11,1-3

Quando sei malato
Salmi 6; 32; 38; 40; Isaia 38, 10-20, Vangelo di Matteo cap. 26, 39; Lettera ai Romani 5,3-5; Lettera agli Ebrei 12,1-11, Lettera a Tito 5,11

Quando sei nella tentazione
Salmi 21; 45; 55; 130; Vangelo di Matteo cap. 4,1-11; Vangelo di Marco cap. 9,42; Vangelo di Luca cap.21,33-36

Quando sei nel dolore
Salmi 16; 31; 34, 37; 38; Vangelo di Matteo cap. 5,3-12

Quando sei stanco
Salmi 4; 27; 55; 60; 90; Vangelo di Matteo cap. 11,28-30

Quando senti il bisogno di ringraziare
Salmi 18; 65, 84, 92; 95; 100; 103; 116; 136; 147; Prima lettera ai Tassalonicesi 5,18; Lettera ai colossesi 3,12-17; Vangelo di Luca cap.17,11-19

Quando sei nella gioia
Salmi 8, 97, 99; Vangelo di Luca cap. 1,46-56; Lettera ai Filippesi 4,4-7

"Come la pioggia e la neve discendono dal cielo e non vi salgono senza aver innaffiata la terra e averla fecondata e fatta germogliare perchè dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola della mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata" (Isaia 55, 10-11)

domenica 1 novembre 2009

cui prodest?

Assistiamo in questi giorni ad una vera e propria invasione di parole, servizi, inchieste che riguardano una certa categoria di persone chiamate trans. Sapevamo che si tratta di una realtà che c’è sempre stata, ma non ne conoscevamo più di tanto i dettagli, perché su questi si era sempre mantenuto riserbo. Ora, approfittando di un episodio di cronaca, si è voluto sollevare questo velo, e lo si è fatto nel modo più impietoso ed irriverente, dimenticando l’umanità e la sofferenza dei suoi protagonisti ed il dovuto rispetto che ogni essere umano si merita. Le immagini che con malcelato compiacimento e dovizia di particolari i mass media ci vanno proponendo sono quelle di un mondo di prostituzione e di ambienti di degrado, di bellezze perverse e di vizi inconfessabili. Come se la realtà di queste persone stesse tutta e soltanto qua. E su questo triste spaccato di vita ci si astiene scrupolosamente dall’esprimere anche solo timidi giudizi, perché la morale ha lasciato il posto alla privacy, il buon gusto alla libertà di espressione del pensiero e così via.

Dunque, tutto questo chiasso a cosa sta servendo? Cui prodest? Certamente sta dando una insperata visibilità ad una particolare categoria di persone (direi sotto-categoria o sottoinsieme perché non riguarda tutto l’universo dei trans) ed al loro modo di gestire la vita; lustrini luminosi all’opaco apparato intessuto di prostituzione (e droga) che le circonda. Ad alcuni di questi protagonisti si va offrendo l’onore dei riflettori con interviste alla televisione e servizi fotografici; si concede l’opportunità di presentare il loro vivere con tinte divistiche e di successo e di farsi pubblicità. Sono proposti alla collettività come se il loro modo di vivere, a parte qualche smagliatura che è in tutte le cose umane, fosse naturale e buono, moralmente accettabile, intelligente, divertente, da imitare. Potremmo dire che i mass media, colla pretesa di dare informazione, come effetto collaterale stanno imbastendo una grossa operazione di marketing a loro favore.

In sostanza il confine fra il bene ed il male, il giusto e l’ingiusto, del moralmente accettabile, si sta impietosamente spostando, al punto che i criteri di valutazione e di scelta una volta ritenuti patrimonio di civiltà stanno perdendo di riferimenti e di consistenza. Oramai tutto è lecito, tutto si può dire, rappresentare, sostenere, salvando ovviamente certe parvenze più nella forma che nella sostanza, perché non ci sono più criteri o linee guida che una volta chiamavamo valori.
E quello che preoccupa è che i nostri figli, che crescono in questa dimensione di ambiente, sono i primi ad assorbire e considerare naturale ed accettabile una visione della vita così allargata.

Dunque, tornando ai mass media, ci si deve rendere conto che il diritto di cronaca ha anche dei limiti. Che questi mezzi non sono innocui ma hanno un grosso potere nella formazione delle coscienze nella misura in cui suggeriscono pensieri, comportamenti e modelli di vita.

E che ne è della Parola di Dio? Siamo consapevoli che nel sentire comune non è più ritenuto di stile, o intellettualmente corretto, per usare una frase di moda, o di utilità, l’inserire il pensiero di Dio nei nostri discorsi. E tantomeno considerarlo criterio di valutazione e di scelta di vita. Il mondo vuole, a suo dire, gente concreta e realista, e non fantasiosa e bacchettona. Su certi argomenti poi, tutti sappiamo che la Scrittura ci va giù pesante, e quindi per quieto vivere è ancora più opportuno il lasciare perdere. E noi cristiani alle volte lo facciamo pure, il lasciare perdere, ma ammettiamolo, con molto stile, mostrando virtuoso pudore travestito e reso elegante da larghezza di vedute, tolleranza e rispetto degli altri.

Così avviene che Parola di Dio viene messa da parte, resa improduttiva.

Purtroppo ci dimentichiamo di chi è Dio e del timor di Dio.

Forse (?), mi ripeto, anche noi cristiani abbiamo le nostre colpe quando sdrammatizziamo troppo certe realtà, e con spirito comprensivo e bonario… lasciamo correre. Dimenticando, lo ripeto, quello che Dio ci chiede.

Ci dimentichiamo della grossa responsabilità alla quale siamo chiamati, che è di dare testimonianza alla Verità, e di collaborare con Dio a costruire il Suo regno in un mondo migliore.
.

Il frutto dell'albero

Genesi 3
1Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". 2Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". 4Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". 6Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

Uno dei protagonisti di questa storia è il frutto dell’albero. Un semplice frutto, forse una mela, che poi sapremo dalla Scrittura, ha segnato il destino dell’uomo. E su questo frutto si sono formati due schieramenti contrapposti: da una Parte Dio che ha detto: "Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". Dall’altra la donna, ma anche l’uomo, che guardando videro “Che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”.
Due prospettive completamente diverse quindi. E su questo dilemma i nostri progenitori sono stati chiamati a fare la loro scelta. Hanno dovuto decidere, ma in base a quali criteri? Come hanno fatto a scegliere? Cosa si sono detti quando ragionavano sull’argomento? Senz’altro, essendo esseri umani dotati di sensi e di intelligenza hanno fatto affidamento su quello che vedevano: gradito agli occhi; all’esperienza del proprio gusto: buono da mangiare; della propria intelligenza: desiderabile. Come negare queste evidenze? Perché il negarle sarebbe equivalso, nel profondo della psiche, a negare se stessi, la propria identità, con le capacità che la caratterizzano. Come dire che non posso fare conto su di me, su quello che vedo, provo, sento. Cioè all’annullamento totale del mio essere e quindi la morte.

I nostri progenitori hanno senz’altro ragionato al loro meglio quando hanno percepito che era giusto decidere per il loro verso, anche perché il “Non ne dovete mangiare” non lo capivano e lo trovavano privo di senso. Allora cosa hanno fatto? Hanno scartata la proposta di Dio, la hanno semplicemente messa da parte ed ignorata, prendendo potere sulla realtà dell’albero, assumendosene la responsabilità e decidendo secondo la loro ragione.

Hanno fatto un solo errore: si sono dimenticati di chi aveva rivolto loro la parola: non era una persona qualsiasi, e neppure un serpentello qualsiasi, ma Dio in persona. E questa consapevolezza sarebbe stata sufficiente a far cambiare loro idea.

E’ un po’ quello che succede ai nostri giorni: ci appropriamo delle nostre realtà e decidiamo in proposito, dimenticando che Dio si è espresso ed ha dato dei comandi ben precisi. Costruiamo la nostra vita come si costruisce un film: mettiamo in primo piano i nostri punti di vista, mentre quelli di Dio li spostiamo più indietro… fino ad arrivare sbiaditi sullo sfondo… fino a scomparire.

Ci dimentichiamo di chi è Dio (dove è finito il timor di Dio?) e ci dimentichiamo, ahimè, anche della seconda parte del suo parlare: “Altrimenti morirete”.
.

mercoledì 21 ottobre 2009

Ottobre, mese missionario.

Ottobre, mese missionario, e per associazione di idee il nostro pensiero subito corre oltre le frontiere del nostro quotidiano e si dirige verso l’Africa, l’America Latina e l’Asia! Ci commuoviamo per le immagini di bimbi affamati, ammalati, abbandonati, di terre devastate dalla guerra e dalla miseria, che giornali e TV ci propongono e, nella migliore delle ipotesi, mettiamo mano al portafogli per fare un’offerta a qualche associazione umanitaria, compiliamo un modulo per l’adozione a distanza e rivolgiamo una preghiera a tutti coloro che partono per portare lì la Buona Novella, un cuore che ama e maniche rimboccate per lavorare alla costruzione di un mondo più giusto e fraterno. Ma tutto finisce qui, perché la missione non ci riguarda, non da vicino, non in prima persona: noi siamo figli di un Paese che, crisi o non crisi, non è certo il Terzo Mondo e che, comunque, conosce il Vangelo dal tempo degli Apostoli! Forse la pensavo così anch’io… e il cuore si accendeva di desiderio verso l’Africa e le sue necessità materiali e spirituali, ma qualche anno fa un articolo di un Missionario Saveriano mi ha cambiato la prospettiva: anziano, al ritorno in Italia per “riposarsi” dopo lunghi ed intensi anni vissuti in missione, ha scoperto che per tanti “cristiani” Gesù è uno “sconosciuto”…e che la sua missione non era finita, ma ne iniziava una ancora più impegnativa e delicata!
Non deve certo sorprenderci! Basta partecipare ad un matrimonio, Battesimo o funerale per rendersi conto che la maggior parte degli intervenuti non è “abituata” a frequentare le celebrazioni liturgiche e non riesce a coglierne il significato: lunghi silenzi invece delle risposte corali dell’assemblea, incertezza nell’alzarsi o sedersi, tre-quattro persone in fila per ricevere la Santa Comunione, disinteresse generale e chiacchierio di sottofondo, sfilate in giro per la chiesa, telefonini che squillano… Basta ascoltare un qualunque talk-show televisivo o semplicemente parlare con uno dei tanti atei, agnostici o cristiani non praticanti che ci circondano, per scoprire che l’ignoranza, l’abitudine, la nostra mancanza di slancio “missionario” e di adeguata formazione, la “dissociazione” tra il dire e la testimonianza di vita, comportano il dilagare di una mentalità “de-cristianizzata”! E non siamo al sicuro neanche noi “praticanti”, “barricati” nelle sacrestie delle nostre chiese: “Molti cristiani di oggi non si sentono coinvolti dalle parole di San Paolo perché non hanno fatto quella esperienza che è la ‘conversione’. Sono nati in un ambiente di fede e l’hanno più o meno assimilata. Non sanno cosa significa il fatto di essere non credenti e poi diventare credenti. Siamo stati battezzati da bambini, non c’è un tempo passato in cui non fossimo cristiani. Tuttavia non siamo cristiani per sempre, con una garanzia quasi automatica. Ogni giorno dovremmo sentire l’impegno tipico di uno che si converte. Quando commettiamo un peccato, facciamo un passo che ci estrania da Dio; quando ritorniamo a Dio, viviamo come una conversione.” (Carlo Buzzetti).
Siamo noi stessi “terra di missione”, bisognosi di conversione, di riscoprire la bellezza e la novità del Vangelo, di una catechesi adulta, della mano di Dio che sana le ferite dell’anima e dell’amore dei fratelli con i quali siamo in cammino, per aprirci contemporaneamente all’attenzione per l’altro e per le sue necessità, alla lotta contro le nuove povertà che si nascondono dietro l’apparente benessere ed autosufficienza di questa società.

Marianna Russo
del giornale Agire

giovedì 8 ottobre 2009

10.com : corso dei 10 comandamenti

Quante reti ho buttato? Moltissime.
Quanti pesci buoni ho preso? Pochissimi.

La moda, il computer, lo sport, il cinema, le uscite con gli amici, il nascondersi, il crearsi un proprio mondo sicuro….tutte reti che getto nella speranza di pescare qualcosa di duraturo… per dare un senso a questa mia esistenza…

Ma poi questo pesce (che oso definire non sempre buono, nutriente) finisce presto…ed eccomi ancora lì a lanciare la mia rete…magari nello stesso punto….
.. ma lì di pesce non ce n’è più…

Perché? Perché ho esaurito la risorsa…ho preso tanto, ma sono riuscito a dare poco e a costruire poco.

Ed eccomi quindi alla ricerca dell’ennesimo posto in cui buttare la mia rete…un nuovo hobby per sopravvivere. .

Ma posso dire di essere veramente felice?
Mi sento come un nomade nel deserto. Le mie mani non riescono neanche a trattenere un granello di sabbia …e la sabbia è tutto ciò che c’è in questo paesaggio…non vedo oasi..

Ecco quindi un (figlio dell’) Uomo, che non riconosco, ma che mi dice di buttare la mia rete in un punto preciso, proponendomi di fidarmi…senza costringermi.
“Perché no?” penso…ed ecco il miracolo…la mia rete ricolma di pesci.
E non è ancora finita…infatti..se la ributto ancora.. Ancora pesci!!

E allora mi viene da riflettere: ma io a che punto sono della mia vita?…ho visto quell’Uomo? L’ho ascoltato o ho preferito far finta di nulla?
Posso definirmi felice? Soddisfatto?
Ecco l’ opportunità di revisione della mia vita che ho colto dalla proposta del corso dei 10 comandamenti, tenuto da Don Daniele Bighi a Rivalta sul Mincio (Mantova); un percorso affascinante ma che nasconde un “grosso RISCHIO” : la possibilità di essere veramente felice!

venerdì 25 settembre 2009

Quando siamo forti 5

Tornando agli stratagemmi tramandati dalla cultura orientale tendenti a trasformare gli stati di debolezza in stati di forza, vorrei ricordarne uno a mio avviso molto interessante: “Togliere la legna da sotto il pentolone”. Il linguaggio è molto scarno ma sufficientemente espressivo per trasmettere la metafora. Sottintende come il semplice gesto di togliere la legna innesti una reazione a catena che fa spegnere il fuoco, che fa smettere di scaldare la pentola, che fa smettere di fare bollire quanto vi sta cuocendo dentro. Si tratta della strategia contro un avversario forte, oramai nota, di non affrontare il problema di petto, ma agendo sulle cause a monte.

Ricordo ancora che non si tratta di voler complicare le cose, ma di applicare una tecnica vincente che porta alla soluzione del problema.

Gli esempi che porterò, per i fini che ci proponiamo, seppure paradigmatici, sono necessariamente molto semplici e stilizzati. Inviterei a non sottovalutarli per la loro semplicità.

Per cominciare vorrei fare riferimento ai tanti conflitti famigliari ma non solo, dove si continua a discutere per le stesse cose senza venirne fuori, e dove si reiterano sempre gli stessi modelli di comportamento. Per questi si può oramai sapere in anticipo, quasi profeticamente, quali sono le interazioni scatenanti, come si evolvono e come inevitabilmente vanno a finire, trattandosi di rituali cristallizzati.

Ricordo una simpatica coppia di giovani che si volevano veramente bene ed erano felici di stare insieme. Unico tallone di Achille erano certi parenti: quando veniva sfiorato questo argomento incominciavano le incomprensioni per finire alle liti. E questa situazione mal gestita li stava logorando al punto che erano arrivati all’orlo della separazione. Non serviva a nulla il farli ragionare, perché non si muovevano dalle loro posizioni, pretendendo ambedue di avere ragioni da vendere. A questo punto un amico ispirato (tengo a dire che ogni ispirazione che veramente funzioni è donata da Dio), ebbe a dire loro:
“Ok. Capisco che ognuno di voi ha le sue ragioni, ma è così importante ritornare sempre su questi argomenti? E se per esempio vi proponeste di evitare ogni discorso su di loro? “.
I due trovarono sensata l’idea e decisero di fare due cose: la prima di evitare ogni discorso inutile che riguardasse questi parenti; la seconda, se uno dei due senza volere e dimenticandosi del proponimento avesse riproposto l’argomento, l’altro, con molta delicatezza sarebbe stato autorizzato a dire: semaforo arancione!
Sono stati molto bravi e la cosa ha funzionato. In questo modo, strategicamente, hanno ottenuto di neutralizzare la forza distruttiva di questi antipatici conflitti, e nello stesso tempo di recuperare vigore e stabilità alla loro relazione.

Una ragazza aveva problemi di linea. Il suo grande nemico erano le pasticcerie che con lei l’avevano sempre vinta. Bastava passare davanti ad un negozio di dolci che era una resa totale: dimenticava tutti i proponimenti di dieta e si concedeva abbondanti colazioni.
Aveva tentato in tanti modi a sfidare questa sua debolezza, ma la vetrina in bella mostra si era mostrata sempre più forte di lei. Dunque quale la soluzione? Semplice, il solito amico ispirato le ha suggerito di tracciare con molta attenzione i percorsi alternativi che avrebbe fatto uscendo di casa, evitando con cura tutte quelle che di comune accordo hanno chiamato “zone rosse di pericolo”. Ha funzionato. Diciamo che in questo modo la ragazza ha individuato una opzione che le permetteva di evitare la tentazione che regolarmente la travolgeva, restandone indenne. La sua debolezza quindi si è ristabilita mentre la forza della tentazione, relativamente a questo problema, è stata neutralizzata.

Questa storia mi riporta alla memoria un insegnamento di Padre Raniero Cantalamessa sul fuggire le tentazioni. Ha proposto l’immagine delle montagne che presentano alle volte insidie molto pericolose come per esempio gli strapiombi. Se uno vi si avvicina troppo è facile che sopravvenga la vertigine, ed in quello stato, perdendo l’equilibrio, non è più possibile mantenere il controllo della situazione e diventa quasi inevitabile il cadere di sotto. Per prevenire ciò, ecco la strategia: sarà opportuno, sono le parole di Padre Cantalamessa, il prevedere il pericolo, e riconosciutolo in tempo, fermarsi a debita distanza. Quando sopravviene la vertigine è troppo tardi. Dobbiamo semplicemente fermarci prima che sopravvenga la vertigine.
Spesso nella vita soccombiamo alle tentazioni e per questo ci sentiamo terribilmente deboli e tristi. Padre Cantalamessa ci ha insegnato un modo semplice per trasformare in questi casi la nostra debolezza in forza e così permetterci di essere vincitori. Con uno stratagemma naturalmente!!!
-

martedì 22 settembre 2009

Quando siamo forti 4

Arrivati a questo punto, dobbiamo guardarci dal non cadere in un tranello, o meglio in un autoinganno, cioè quello di considerare queste tecniche scontate e banali.

Lo stratagemma testé citato di evitare gli scontri diretti potrebbe a prima vista essere letto come fuga, segno di debolezza o di vigliaccheria, e questo accade di frequente. Chi non ricorda le parole: “Questo non me lo lascio dire!” tanto per fare un esempio. Poi ci si mette sullo stesso piano dell’avversario usando le sue stesse armi. E se guardiamo dentro a questo atteggiamento scopriamo quasi sempre una motivazione che ha radici in un sentire comune imparentato all’orgoglio ed alla convinzione che il tirarsi indietro sia segno di debolezza.

Quello che voglio dire è che se noi diamo spazio ad automatismi o diamo risposte di istinto, si può anche essere coraggiosi, ma questo non ha nulla a che fare con una strategia orientata alla vittoria del più debole sul forte. La strategia è un’arte potente che consiste in una serie di azioni razionali e rigorose, e quindi in se stessa già un atto di forza. Per giungere alla strategia dunque, come detto, dobbiamo abbandonare i gesti di istinto, uscire dai vecchi schemi di ragionamento e salire di livello con il primo passo che abbiamo definito consapevolezza.

Ps) Quante volte i gesti che il Signore ci suggerisce (carità, amore, mitezza, benevolenza ecc.) sono letti dal mondo come segni di debolezza. Sono invece strategie vincenti per la conquista di un vivere migliore e del Regno di Dio.
-

Quando siamo forti 3

Siamo partiti accennando alla cultura cinese quando guarda alla vita dal punto di vista binario di forza e debolezza, ed abbiamo colto che nella loro ottica questi stati non sono ritenuti definitivi ma intercambiabili. E la capacità di trasformarli è da loro definita arte. Ecco dunque per esempio “l’arte della guerra” di Sun Zu dove si insegna ad un esercito debole le strategie (staratagemmi) per sopraffare l’avversario più forte, trasformando quindi il debole in forte ed il forte in debole.

Ma perché lasciare questa sapienza al mondo orientale, e non applicare anche a noi queste intuizioni che ci possono permettere di superare tante difficoltà e rendere la nostra vita più ricca e felice? Certamente lo stiamo già facendo, ma forse è poco presente l’ingrediente consapevolezza di cui parlavamo, e che ci permetterebbe di rendere il nostro agire più sistematico e funzionale. Fatte salve le debite eccezioni naturalmente.

A questo punto sorge spontanea la domanda: passando dalla teoria alla pratica e considerati tutti i miei punti di debolezza con tutto ciò che questi comportano, come posso fare sì che questi si trasformino in punti di forza?
Notiamo che siamo passati dal COSA al COME

Essendo i modi infiniti come infinite sono le situazioni che la vita ci propone, possiamo iniziare a sbizzarrirci con qualche esempio.

Possiamo per esempio ritornare ai nostri amici orientali che sanno applicare questi principi anche nelle arti marziali (Yudo, Karate, Aikido ecc.) e proponiamo un esempio concreto e molto efficace:
facciamo conto che un nemico ci aggredisca con un pugno. Possiamo rispondere con un altro pugno e non si sa come andrà a finire: diventerà una zuffa e vincerà il più forte.
Possiamo invece scegliere di schivare questa aggressione, spostandoci di lato (qualche volta non è facile ma sono cose che si imparano), e scopriremo che tutta l’energia spesa dall’avversario passerà oltre e si scaricherà nel nulla, rendendolo poi debole. Sarà in nostro potere e noi saremo passati in una posizione di forza. Potremo ora colpirlo noi, di fianco o di spalle, e per lui sarà veramente difficile difendersi.

Non è lo stesso principio che possiamo applicare quando alle provocazioni, anziché reagire con aggressività e risentimento, come verrebbe facile, scegliamo di rispondere con dolcezza e benevolenza, evitando lo scontro? La violenza dell’aggressore passerà oltre ed andrà a colpire il nulla. Ed ecco la sua debolezza.

Passati poi i bollenti spiriti, noi potremo anche scegliere tempi e modi per dire la nostra, ma saremo noi a scegliere il campo e stavolta saremo in una posizione di forza.

Considerazione: Ma l’evitare la violenza e la contesa, non è poi la via che ci indica il Signore? Ben vengano dunque le strategie e gli stratagemmi se questi ci offrono modalità sul COME diventare forti nel cammino da Lui indicato. Ma attenzione, quando saremo passati alla posizione di forza non dovremo poi dimenticarci della carità e della responsabilità che ci è sempre richiesta verso i nostri fratelli.

PS) Se il discorso è troppo tecnico,...un esempio semplificato. La moglie dice del marito: "Alle volte lui è intrattabile… ma io so come prenderlo!" Questa è staregia.
-

lunedì 21 settembre 2009

Visione d'insieme

Carissimi scrivo questa riflessione mentre mi trovo agli esercizi spirituali per i sacerdoti della diocesi all'eremo di Montecastello di Tignale.
Sono giorni di pioggia perciò si sta volentieri a meditare in cappella o ciascuno nella propria camera.
Mi vengono in mente le parole di Gesù: “Quando preghi entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà".
Dalla finestra della mia camera, al terzo piano, vedo le cime degli alberi che si muovono, scosse dal vento di questo gelido inverno. Siamo a 700 mt di altitudine, sotto di noi si estende, in tutta la sua bellezza, il lago di Garda e dall'altra parte si erge, maestoso e imponente il monte Baldo pieno di neve.
Poi un giorno, terminata la pioggia, arriva una bella giornata di sole e, dal terrazzo, si ha una splendida "visione d'insieme" che permette di contemplare, con un solo sguardo, il lago, i monti, i paesi, le strade e giù, in fondo, la nostra pianura padana.
In questi giorni di pace, di silenzio e di ascolto del Signore mi viene da pensare che anche i discepoli del Signore, ad un certo punto hanno visto chiaro e hanno capito. Tutta la vicenda di Gesù l'hanno compresa a partire dalla Risurrezione. E' proprio nel momento in cui i discepoli lo incontrano vivo che capiscono tutto quello che c’è stato prima; capiscono le sue parole, capiscono i suoi miracoli, capiscono la sua passione e la sua morte. Hanno cioè una visione d'insieme. E tutto trova il suo significato. Le promesse si sono compiute. Tutto è compiuto!
Anche per la nostra vita, in certi momenti, si può avere come una "visione d'insieme" di ciò che si sta vivendo, ed è una esperienza rasserenante. Necessaria. Vitale.
Le gioie, le tribolazioni, le speranze, le fatiche del vivere quotidiano ti appaiono come un dono, sono occasioni di bene e ti accorgi che proprio lì, in quei momenti, il Signore Risorto ti raggiunge e ti fa dono del Suo Amore. Questa è la Pasqua!
Dalla Pasqua di Gesù è scaturito per noi, come da una sorgente, il dono della vita eterna.
"Questa è la vita eterna: che conoscano Te, o Padre, e colui che Tu hai mandato".
Celebrare la Pasqua, cantare la Risurrezione di Cristo è accogliere il dono della vita eterna, l’amore di Dio che è per te. Proprio per te.
Hai allora una visione d'insieme e ti accorgi che I'esistenza, l’unica che hai, scomposta e frammentata in tante cose, ha bisogno di ritrovare unità. Famiglia, lavoro, scuola, impegno, ordine e disordine, tempo libero, amici, soldi, dubbi, disonestà, divertimento, superficialità, menzogna, responsabilità, sofferenza…queste cose ti disgregano. Ti bloccano. Ti ritrovi come impantanato. Credi di essere felice e ti ritrovi infelice. Credi di assaporare al massimo la vita e ti ritrovi spento. Morto.
Hai proprio bisogno di ricondurre all'unità tutto ciò che vivi. Hai bisogno di mettere ordine nella tua vita. Hai bisogno di alzare lo sguardo. Hai bisogno di risorgere! Ecco la Pasqua.
II dono del Risorto ti purifica e ti eleva alle altezze di Dio.
Così puoi guardare meglio la tua vita e, con una visione d'insieme, ne scopri la bellezza e la santità. Qui è la felicità. Ora solo assaporata. Un giorno ti verrà donata in pienezza.
Auguri, sinceri, di Buona Pasqua. A te e a tutti!

domenica 20 settembre 2009

Quando siamo forti 2

Se il problema ci interessa e lo vogliamo affrontare, un primo passo da fare sarà quello di recuperare la consapevolezza cui abbiamo accennato, individuando quali sono le situazioni specifiche che ci riguardano ove ci è dato di occupare posizioni di “forza” o di “debolezza” , e di chiederci come le gestiamo.

Ricordiamo che la consapevolezza è il primo passo verso qualsiasi cambiamento e/o guarigione.

Possiamo iniziare il percorso e tracciare un nostro primo identikit chiedendoci: In quali circostanze ci sentiamo forti? E come le viviamo? Il nostro interesse è rivolto solo a noi (ricordiamo quei pastori che pascono se stessi di Ezechiele 34,2), oppure c’è posto anche per gli altri? Quali sono i nostri ruoli, compreso quello che ricopriamo nel sociale, ed il nostro livello di benessere e di potere?
Lo stesso faremo esaminando le situazioni ove ci sentiamo deboli.

Passo successivo, molto importante, sarà poi quello di interrogarci sui principi e valori che ci guidano e sulle responsabilità che ci assumiamo per il nostro agire.
Sono le regole comandate dal Signore? O sono dettate dal mondo (sentire comune, moda) o dal classico: sento essere bene così (leggi relativismo etico)?.

Arrivati a questo punto, incomincerà a delinearsi un quadro abbastanza espressivo del nostro stare ed agire nel mondo in situazioni di forza e di debolezza.

PS1) Se abbiamo scelto di seguire le regole dettate dal Signore, allora ci scopriamo anche combattenti perché, come Lui stesso ha detto in Mt. 19,24, “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”.
PS 2) Quando si è ricchi è più facile mettere al primo posto i nostri interessi ed essere accondiscendenti verso se stessi, per il semplice fatto che ce lo possiamo permettere ed è tutto così facile ed a portata di mano.
-

venerdì 18 settembre 2009

Quando siamo forti 1

Nelle alterne vicende della vita succede che a volte ci troviamo in posizioni dove ci sentiamo forti, ed altre dove ci sentiamo deboli. Ma non sempre abbiamo la consapevolezza di questo stato. Ci limitiamo a vivere la vita ed agire alla meglio in ogni situazione approfittando dei momenti migliori, cercando semplicemente di scansare le situazioni meno piacevoli. Ci sono altre culture come quella cinese per esempio, che di questi stati di forza o di debolezza ne hanno fatto una filosofia ed una scienza. Chi non ricorda i libri sull’arte della guerra e sui vari stratagemmi per rendere forte il debole e debole il forte? Quindi per loro non si tratta non solo di consapevolezza, ma anche di possibili percorsi per modificare queste situazioni. Capisco che per noi parlare di guerra possa sembrare esagerato, ma a ben pensare non è lo stesso vivere un perenne combattimento? Dobbiamo lottare contro gli altri quando dobbiamo difendere noi stessi, e molto anche contro noi stessi, contro quella parte che San Paolo chiama carne, quando questa si oppone allo spirito. Ben venga dunque una nuova consapevolezza che ci permetta di comprendere quando siamo forti e quando siamo deboli, quando si ha poi anche una prospettiva di poter modificare queste condizioni. Credo che parole di Genesi 4,7 ripropongano i medesimi concetti, invitandoci all’azione: “Verso di te è il tuo istinto, ma tu dominalo”
-

mercoledì 16 settembre 2009

Il cuore più bello del mondo

C'era una volta un giovane in mezzo a una piazza gremita di persone: diceva di avere il cuore più bello del mondo, o quantomeno della vallata. Tutti quanti gliel'ammiravano: era davvero perfetto, senza alcun minimo difetto. Erano tutti concordi nell'ammettere che quello era proprio il cuore più bello che avessero mai visto in vita loro, e più lo dicevano, più il giovane s'insuperbiva e si vantava di quel suo cuore meraviglioso.

All'improvviso spuntò fuori dal nulla un vecchio, che emergendo dalla folla disse: "Beh, a dire il vero.. il tuo cuore è molto meno bello del mio."

Quando lo mostrò, aveva puntati addosso gli occhi di tutti: della folla, e del ragazzo. Certo, quel cuore batteva forte, ma era ricoperto di cicatrici. C'erano zone dove dalle quali erano stati asportati dei pezzi e rimpiazzati con altri, ma non combaciavano bene - così il cuore risultava tutto bitorzoluto. Per giunta, era pieno di grossi buchi dove mancavano interi pezzi.

Così tutti quanti osservavano il vecchio, colmi di perplessità, domandandosi come potesse affermare che il suo cuore fosse bello.

Il giovane guardò com'era ridotto quel vecchio e scoppiò a ridere: "Starai scherzando!", disse. "Confronta il tuo cuore col mio: il mio è perfetto, mentre il tuo è un rattoppo di ferite e lacrime."

"E' vero!", ammise il vecchio. "Il tuo ha un aspetto assolutamente perfetto, ma non farei mai a cambio col mio. Vedi, ciascuna ferita rappresenta una persona alla quale ho donato il mio amore: ho staccato un pezzo del mio cuore e gliel'ho dato, e spesso ne ho ricevuto in cambio un pezzo del loro cuore, a colmare il vuoto lasciato nel mio cuore. Ma, certo, ciò che dai non è mai esattamente uguale a ciò che ricevi - e così ho qualche bitorzolo, a cui sono affezionato, però: ciascuno mi ricorda l'amore che ho condiviso. Altre volte invece ho dato via pezzi del mio cuore a persone che non mi hanno corrisposto: questo ti spiega le voragini. Amare è rischioso, certo, ma per quanto dolorose siano queste voragini che rimangono aperte nel mio cuore, mi ricordano sempre l'amore che provo anche per queste persone.. e chissà? Forse un giorno ritorneranno, e magari colmeranno lo spazio che ho riservato per loro. Comprendi, adesso, che cosa sia significa avere il cuore più bello del mondo?"

Il giovane era rimasto senza parole, e lacrime copiose gli rigavano il volto. Prese un pezzo del proprio cuore, andò incontro al vecchio, e gliel'offrì con le mani che tremavano. Il vecchio lo accettò, lo mise nel suo cuore, poi prese un pezzo del suo vecchio cuore rattoppato e con esso colmò la ferita rimasta aperta nel cuore del giovane. Ci entrava, ma non combaciava perfettamente, faceva un piccolo bitorzolo.

Poi il vecchio aggiunse: "Se la nota musicale dicesse: non è la nota che fa la musica...non ci sarebbero le sinfonie. Se la parola dicesse: non è una parola che può fare una pagina...non ci sarebbero i libri. Se la pietra dicesse: non è una pietra che può alzare un muro...non ci sarebbero case. Se la goccia d'acqua dicesse: non è una goccia d'acqua che può fare un fiume non ci sarebbero gli oceani. Se l'uomo dicesse: non è un gesto d'amore che può rendere felici e cambiare il destino del mondo non ci sarebbero mai né giustizia, né pace, ne felicità sulla terra degli uomini".

Dopo aver ascoltato, il giovane guardò il suo cuore, che non era più "il cuore più bello del mondo", eppure lo trovava più meraviglioso che mai: perché l'amore del vecchio ora scorreva dentro di lui.