lunedì 31 ottobre 2011

Invita i poveri

È onorare nostro Signore cercare di entrare nei suoi sentimenti, stimarli, fare quel che ha fatto lui ed eseguire ciò che lui ha ordinato. Ora, l'affetto più grande del suo cuore è stato la cura dei poveri, per guarirli, consolarli, soccorrerli e raccomandarli al soccorso altrui. Egli stesso ha voluto nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene e il male che noi faremo ad essi, lo riterrà fatto alla sua persona divina (Cfr. Mt 25,40). Per i poveri non poteva testimoniare un amore più tenero! E quale amore, vi prego, possiamo avere per lui, se non amiamo ciò che Egli ha amato? Servire i poveri è amare Cristo nel modo giusto, è imitarlo nella Sua umanità e generosità...
Ora, se questo bonario Salvatore è onorato di questa imitazione, quanto più dobbiamo ritenerci onorati di essere, in questo, simili a lui! Non vi sembra che ci sia qui un motivo molto potente per rinnovare in voi il vostro primo fervore? Per me, penso che dobbiamo offrirci oggi a sua divina Maestà perché Le piaccia animarci della sua carità, in modo che si possa dire ormai di voi che è "la carità di Gesù Cristo che vi sospinge" (2 Cor 5,14). 
San Vincenzo de Paoli

mercoledì 26 ottobre 2011

L'archivio di Dio

Credo che in qualche punto dell'universo debba esserci un archivio in cui sono conservate tutte le sofferenze e gli atti di sacrificio dell'uomo. Non esisterebbe giustizia divina se la storia di un misero non ornasse in eterno l'infinita biblioteca di Dio. «Il mio vagabondare tu, o Dio, lo registri; le mie lacrime nell'otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?». È l'antico Salmista ebreo a cantare (56,9): Dio raccoglie tutte le lacrime delle vittime della storia umana, così che esse non cadano nel vuoto. Esse sono agli occhi di Dio realtà preziose come l'acqua che il beduino conserva nel suo otre quando viaggia nel deserto. In questo scrigno e nell'«anagrafe» ideale della vita dell'umanità Dio registra e custodisce come tesori tutte le sofferenze. La stessa idea è nel bel frammento che abbiamo desunto dal romanzo L'immagine di Isaac B. Singer (1904-1991), scrittore ebreo polacco vissuto in America, fedele sempre alla lingua materna yiddish. Alle righe che abbiamo citato è sottesa l'eterna domanda: c'è un senso al nostro dolore? E per il credente: c'è un Dio che raccoglie tutte le lacrime nascoste? Per l'ebreo in particolare: l'«Olocausto» ha almeno nel supremo progetto divino sulla storia una collocazione possibile? Interrogativi brucianti che vengono per ora accantonati dallo scrittore, Nobel 1978 della letteratura, ma che approdano alla certezza che – qualunque sia la risposta filosofica o teologica – Dio non può ignorare questo respiro di dolore che sale dalla terra. Nei suoi colossali archivi non sono registrati tanto i trionfi militari o i successi umani (a questo pensano già i libri umani di storia e i relativi documenti) quanto piuttosto lo sterminato patrimonio di lacrime, lutti, lamenti e affanni. Solo Dio saprà con essi costruire una trama nel libro della vita che orna la sua «infinita biblioteca».

lunedì 24 ottobre 2011

Caso o DIOincidenze?


«Il caso è lo pseudonimo di Dio quando non si firma personalmente» (Jules Renard).
Mi sono commosso profondamente in questi giorni, quando un giovane universitario è venuto defilato da me, con gli occhi bassi, spaventato, a dirmi che da quando si è riavvicinato alla fede, gli capita spesso di vedere delle ‘strane coincidenze’ tra le sue preghiere e ciò che gli accade, tra le cose che dice a Dio e la realtà che lo circonda, come se Dio rispondesse davvero alle sue domande, ai suoi ringraziamenti, ai suoi dubbi, alle sue provocazioni, usando le cose più disparate: la parola del vangelo, un compagno di studi, la pagina di un libro, una musica ascoltata, persino un tramonto. Era spaventato all’idea che quel Dio in cui credeva si occupasse davvero di lui e di ciò che gli frullava nel cuore.
Così è venuto da me affinché lo rassicurassi del fatto che erano solo ‘coincidenze’ non cose reali. L’ho chiamato per nome ed ha alzato gli occhi, gli ho sorriso e gli ho detto: “oggi hai capito cos’è la vita spirituale, cioè accorgersi di quel dialogo continuo che Dio ha con ciascuno di noi. Solo che Dio ha alfabeti strani per comunicare. Dio ci parla attraverso la realtà. Per questo non dobbiamo mai avere paura di ciò che ci accade, perché dietro le cose che ci circondano c’è sempre qualcosa che dobbiamo capire, prendere sul serio, e vivere appassionatamente. E quando tace, molto spesso è perché siamo noi ad aver cambiato frequenza e non Lui ad aver smesso di parlare”. Il caso per noi non esiste. E’ sempre tutta una grande opportunità, perché Cristo ha trasformato persino la croce, cioè la parte più faticosa della nostra vita, in un opportunità. Teologicamente si chiama risurrezione. Solo per questo possiamo caricarcela ogni giorno sulle spalle, diversamente saremmo solo masochisti.

domenica 16 ottobre 2011

Noi gli artefici della nostra infelicità…

Leggendo Luca 19,45-48 dapprima ho pensato all’importanza di valorizzare tutti i luoghi di culto e di preghiera in cui mi possa trovare, troppo spesso la superficialità ci porta ad essere in Chiesa e a pensare ad altro, a chiacchierare, a non dare valore al luogo in cui ci si trova… Ma leggendo e rileggendo il brano di Luca ho iniziato a pensare alle parole di Gesù alla Samaritana: “Credimi o donna… è giunto il tempo in cui Dio cerca adoratori in spirito e verità”, insieme alle parole di san Paolo: “Non sapete che i vostri corpi sono Tempio dello Spirito Santo!” Allora la riflessione ha preso un’altra piega.

Come gestisco il “tempio” affidatomi da Dio che dovrebbe essere sua dimora? E’ forse divenuto una “spelonca di ladri”? Ho smarrito il senso profondo e sacro della fiducia di Dio riposta nelle mie mani? E se fosse divenuto “spelonca”, credo forse di poter ingannare Dio? Certamente potrei esternamente mascherare tutto, ma Dio non potrei prenderlo in giro e chi sarebbe più danneggiato dai ladri sarei io stesso: derubato da me stesso della presenza di Dio!

E’ possibile accada tutto questo?

Direi proprio di sì. Nel versetto finale si legge che “il popolo pendeva dalle sue parole”, eppure quel popolo di lì a poco non hanno fatto nulla per salvare Gesù davanti a Barabba. Dunque è possibile che io abbia esultato, pregato, speso energie per Dio, ma poi lo abbia relegato in un angolo o addirittura cacciato dalla mia persona-tempio.

Mi consola sapere che, se da una parte “i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo”, dall’altra “ogni giorno [Gesù] insegnava nel tempio”. Nonostante più o meno coscientemente io uccida la divina presenza di Dio in me, Lui si ritaglia sempre un angolino in cui “insegna”, parla, aspetta… Mi aspetta!

Da dove dobbiamo ricominciare perché riprenda possesso del mio cuore?

Devo andare a cercare in quale angolo della mia persona è nascosto e sta parlando, andare là, sedermi ai suoi piedi, parlarci, sfogarmi con Lui, ascoltarLo e chiederGli di riconquistare ciò che gli spetta di diritto. Allora forse accadrà di nuovo che “entrato nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!»”.

In primo luogo devo cercare Gesù che insegna e parla dentro di me, poi cercare di dargli spazio.

Maria a Medugorje il 25 ottobre 2009 ci ha suggerito la strada: “Riempite il vostro cuore di preghiera!” Se riempio il cuore di preghiera Lui inizia ad abitarvi dentro perché il tempio è fatto per essere “casa di preghiera”. Se malauguratamente scelgo di non pregare, non solo non faccio qualcosa, ma addirittura lascio la porta aperta a tut’altro! Non si tratta di “non fare di niente di male”, come spesso sento dire con superficialità in confessione, ma addirittura di aprire il cuore ad altro, di cacciare Dio dal tempio e di “volerLo uccidere”. Una lenta e silenziosa apostasia che potrà solo danneggiare me stesso.

Il nostro cuore è il tempio di Dio fatto perché sia Sua dimora, casa di preghiera, se non lo riempiamo di Lui non avremmo mai quella Pace e quella Gioia che vuole donarci e che fin dall’eternità ha pensato per ciascuno e che Gesù ha pagato a prezzo del Suo Sangue!

mercoledì 5 ottobre 2011

Sacramento nel Matrimonio: risorsa o semplice cornice ?

“Mettiamo subito le mani avanti, non parliamo di grazia del sacramento del matrimonio se non c’è la fede nel sacramento del matrimonio”.
Come dire che non si può entrare dentro il dono del sacramento del matrimonio senza fede nel Signore Gesù. Quindi dovendovi parlare della grazia del sacramento non posso che appellarmi a quel Gesù che è vivo, presente in mezzo a noi. Io credo che Lui è qui, vivo e risorto e che Lui continua a dare il Suo Spirito, unico interprete capace di tradurre dalla singolarità delle persone, la verità più grande, compreso il dono della grazia del sacramento del matrimonio. Solo nella luce dello Spirito si può capire fino in fondo. Per quanto riguarda me, che vi parlo, mi trovo a disagio perché francamente vedo che davanti al dono del sacramento del matrimonio pensare di sapere qualcosa o abbastanza, è presunzione. Perché nel sacramento del matrimonio si nasconde un mistero: quello dell’amore di Cristo, di Dio per l’umanità, di Cristo per la Chiesa e quindi ipotizzare di esserci entrati dentro è semplicemente presunzione.[...]
C'è una rete del maligno, una rete fatta per ingannare i cattolici. Persuadere tutti che l’ideale è realizzare una buona vita di coppia e per quel che si può una buona famiglia. È un inganno pensare che l’ideale sia realizzare una buona vita di coppia, o una buona famiglia! Certo che per chi non ha una buona vita di coppia, è già un ideale realizzarla, ma non può essere l’obiettivo del matrimonio cristiano. È come se io pensassi che l’ideale del sacerdozio sia essere un buon uomo, uno che fa gli affari suoi, non disturba nessuno, tiene il suo orto e la casa. È sufficiente quando si parla di sacerdozio dire: “basta che sia un buon uomo?” È sufficiente quando si parla di sacramento di matrimonio dire: “basta che sia una buona coppia?” Che cosa è che fa la differenza fra un matrimonio civile e uno cristiano? È il crocifisso appeso in casa? È un album con le foto di una celebrazione fatta tanti anni prima in Chiesa? Purtroppo stiamo andando verso questo modo di pensare.
Il gioco che c’è sotto, il gioco del maligno, del diabolico è ridurre il matrimonio e la famiglia ad una dimensione solamente umana. Perché così, anche se è già un positivo nel mondo attuale essere una buona coppia, non ci rendiamo conto che quando io ho ridotto il matrimonio ad una sola dimensione umana, io l’ho anche reso molto vulnerabile e soggetto unicamente alle forze e alle debolezze umane. Quando io ho fatto del matrimonio un’unica realtà umana e soltanto una realtà umana, per quanto buona, le sue energie o la sua fragilità sono solamente umane. Chiedete ad un prete di fare il prete e di essere fedele alla sua castità, solo in forza delle energie umane … a meno che non sia un castrato … E come possiamo pensare di chiedere agli sposi che reggano una dimensione di grazia del sacramento del matrimonio, di indissolubilità solamente pensando a quelle che sono le capacità umane. Quando io ho ridotto - ed ecco qual'è la strategia e l’inganno,- quando io ho ridotto il matrimonio unicamente ad una realtà di dimensione umana, io l’ho consegnata solamente alle potenze umane: vanno o non vanno d’accordo?[...]
E allora la fede è soltanto la fede in lei/lui: io ho fede in te. Energia umana solamente. Quindi il mio matrimonio regge finché tu meriti questa fede, ma il giorno in cui tu cominci a non meritare più questa fede, fiducia, perché io devo crederti? Perché devo stare insieme a te? Quando io ho condotto il matrimonio unicamente alla dimensione umana, io l’ho ricondotto a tutta la vulnerabilità che ha la nostra fragilità umana; e l’ho sottoposto a tentazioni, a fatiche, a difficoltà, a diversità di carattere, a diversità di impostazione per l’educazione dei figli, ecc., con tutto quello che questo comporta. Per cui la virtù oggi per tanti cristiani sembra la resistenza. È vent’anni che sono sposato, sono resistito: medaglia al valore militare! Questo è proprio il caso in cui il matrimonio nella sua dimensione religiosa è considerato una cornice. Questo è il caso di una cornice, cioè il sacramento del matrimonio non c’entra niente, tutto è ridotto alla dimensione umana: se questi sono fortunati e va loro bene e cercano di resistere stanno insieme, se imparano delle tecniche per capirsi stanno insieme, se hanno dei supporti esterni per capirsi stanno insieme, se hanno dei figli che non vogliono lasciare soli allora resistono a stare insieme. Il resto è qualcosa di esterno. E tale può essere sia per i fidanzati che per gli sposi. Intristisce pensare che dei fidanzati progettino il loro matrimonio unicamente basandosi sulle energie umane: ci vogliamo bene!
È come se un uomo andasse all’ordinazione dicendo: sono un uomo, farò il prete. Non basta dire sono un uomo. E poi il passo successivo che non considera la grazia del sacramento del matrimonio è quello dell’autosufficienza umana che si instaura dentro nella vita della singola persona, della coppia.
Un’autosufficienza dimenticandoci che senza Gesù non c’è salvezza. Quello che nasce come sacramento del matrimonio in una cornice cristiana finisce per essere un sacramento senza Dio, senza Gesù Cristo. Puntando a salvarsi da solo, senza la fede, e quindi non più solo il sacramento del matrimonio ma anche la fede rischiano di diventare cornice.
La fede cornice non soltanto del matrimonio ma anche della vita personale.