martedì 8 febbraio 2011

Passare dall’io a Dio

La nostra debolezza, la nostra povertà, i nostri fallimenti e le nostre cadute non sono l’ostacolo alla potenza di Dio se restiamo a Lui uniti. L’unico ostacolo alla sua opera in noi sono i nostri “no” a Lui, che non sono solo le scelte di peccato ed egoismo, dalle quali sempre traiamo frutti di morte e solitudine, ma anche e soprattutto ciò che sta a monte di queste: il voler essere noi da soli conduttori della nostra vita. Da qui ne scaturisce un atteggiamento di più o meno apparente superbia che ci porta a trascurare la vigilanza, la preghiera del cuore e a sentirci schiacciati dal peso della vita, delle responsabilità, delle difficoltà, delle fatiche… perché vogliamo fare tutto da soli. Pertanto raccogliamo ciò che seminiamo: la solitudine e un profondo non senso del vivere.
Non voglio offrirvi delle parole su questo tema… piuttosto meditiamo “La Parola”, soffermandoci sul testo di Giovanni al capitolo 15.

Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri (Gv 15,1-17).

Questo testo va letto e riletto… L’insistenza dell’esoratazione a “rimanere” uniti (menein in greco) ci riporta al capitolo 6 del vangelo di Giovanni in cui si descrive il realismo eucaristico affermando che “chi mangia la carne e beve il sangue” di Cristo, “vero cibo e vera bevanda”, questi “rimane” unito a Lui. Questo unitamente all’accogliere “le sue parole”, ovvero “La Parola”, permette a noi di accogliere Dio nei nostri cuori dandogli una stabile dimora. L’Eucarestia e la Parola di Dio dunque sono il primo passo per un cammino di rigenerazione del nostro “io” profondo. Altro passo concreto e immediato di cambiamento della qualità del nostro vivere è il mettere in pratica “la regola d’oro”: amare il prossimo come noi stessi, amarci reciprocamente, amarci come Lui ci ha amati, pronti a dare la vita gli uni per gli altri. Solo nell’amore riusciamo davvero a colorare ogni nostro momento della giornata, dal gesto più semplice alle grandi imprese, trovando il vero senso del vivere. Solo nell’Amore troviamo la piena realizzazione del nostro essere, perchè siamo stati creati per amare ed essere amati. Ma il problema è proprio il punto di osservazione: non può essere l’io, aspettando di essere amati. Il fine di ogni nostra azione deve essere Dio e nel prossimo abbiamo la concreta possibilità di vedere Gesù presente: in colui che ha bisogno di ascolto, di essere visitato, di essere accolto, di essere sfamato, di essere dissetato, di sentire la vicinanza e l’amore di Dio attraverso di noi.

Chiara Amirante nell’ultimo incontro di conoscenza di sè a Roma, che tanti di voi hanno seguito in StreamingTV, ha approfondito il tema del narcisismo. All’inizio ha sottolineato come un tempo il grande bivio per il mondo giovanile fosse tra “l’essere e l’avere”, mentre oggi prevale tra l’essere e l’apparire. Potremo commentare dicendo che “il lupo cambia il pelo ma non il vizio”! L’avere, il possedere, i beni, non sono male in sè. Nulla lo è di quanto è creato… nè del mondo materiale nè dei bisogni inscritti nell’uomo. Diventa un problema il disordinato uso dei beni e il disordinato modo di soddisfare i nostri bisogni, soprattutto se questa modalità diviene esclusiva, esistenziale. Il bisogno di possere per dimostrare di valere ha caratterizzato e caratterizza molti. Oggi sembra prevalere il bisogno di apparire. Se si va in televisione, se si è affermati, se si è riconoscibili, allora si è qualcuno. Il problema è sempre lo stesso: la superbia che apre il varco all’egoismo e all’egocentrismo! Cambia le forme e le sfumature sotto cui si cela, ma resta il grande impedimento ad essere pienamente felici.

Il primo e più profondo bisogno dell’uomo è quello di amare ed essere amati – ci ha ricordato Chiara – pertanto basta per esempio seguire uno dei suoi esercizi proposti per verificare come sia profondamente vero che cambiando il centro dell’universo fuori dal nostro “io” cambi anche il risultato di ciò che raccogliamo come frutto immediato: “Vuoi essere felice? Preoccupati di far felice chi hai accanto!” questo è il primo grande esercizio da mettere subito in pratica per vivere questo Vangelo che è la risposta al come cambiare da subito. Successivamente incamminiamoci tutti per spogliarci delle maschere che abbiamo indossato e soprattutto per ridare spazio a Dio nella nostra vita!

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