giovedì 24 febbraio 2011

Il molto e il buono

Non è il molto quel che si apprezza; è il buono. I libri sono come le anime, la cui grandezza non si misura dalla mole del corpo, ma dalla nobiltà degli spiriti. C'è una legge che sta imperando nella comunicazione contemporanea ed è quella dell'eccesso. Bisogna aggiungere sempre più spazio ai prodotti: così, l'eros lentamente decade in pornografia, il giallo in violenza gratuita, il dibattito in lite, la protesta in insulto, la polemica in attacco personale e così via. Lo scrittore Italo Calvino, nelle sue Lezioni americane, ricordava che il vero artista (ma anche l'uomo sapiente) è colui che opera come lo scultore che toglie e non aggiunge. Dal blocco di marmo elimina tutto ciò che è inutile rispetto alla statua che è idealmente nascosta in quella pietra. Lo stesso concetto lo esprime in modo più immediato Daniello Bartoli, gesuita ferrarese vissuto nel Seicento, storico e grammatico, nell'opera L'uomo di lettere difeso ed emendato, da cui abbiamo desunto la citazione odierna. Non è la mole che conta ma l'interiorità; non è la quantità che dovrebbe prevalere, bensì la qualità; non sono gli orpelli ma la sostanza ad assegnare valore a una persona o a un'opera; non è l'erudizione a fare lezione ma la saggezza che guida e illumina. Eppure, se siamo sinceri, a dominare ai nostri giorni è il troppo: invidiato è chi possiede tanto, chi prevarica con la parola e l'azione, chi incombe con la sua immagine e il successo. Dovremmo, invece, ritrovare la finezza della discrezione, il gusto della riflessione, la dignità del comportamento morale. Il poeta indiano Tagore pregava Dio di non lasciarlo smarrire «tra i grattacieli delle cose inutili», dimenticando la strada di casa. E per stare ai libri, potremmo finire con una fulminante recensione di Ennio Flaiano: «È un libro ponderoso. Che fa pensare. Ad altro».

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