domenica 1 novembre 2009

Il frutto dell'albero

Genesi 3
1Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". 2Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". 4Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". 6Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

Uno dei protagonisti di questa storia è il frutto dell’albero. Un semplice frutto, forse una mela, che poi sapremo dalla Scrittura, ha segnato il destino dell’uomo. E su questo frutto si sono formati due schieramenti contrapposti: da una Parte Dio che ha detto: "Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". Dall’altra la donna, ma anche l’uomo, che guardando videro “Che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza”.
Due prospettive completamente diverse quindi. E su questo dilemma i nostri progenitori sono stati chiamati a fare la loro scelta. Hanno dovuto decidere, ma in base a quali criteri? Come hanno fatto a scegliere? Cosa si sono detti quando ragionavano sull’argomento? Senz’altro, essendo esseri umani dotati di sensi e di intelligenza hanno fatto affidamento su quello che vedevano: gradito agli occhi; all’esperienza del proprio gusto: buono da mangiare; della propria intelligenza: desiderabile. Come negare queste evidenze? Perché il negarle sarebbe equivalso, nel profondo della psiche, a negare se stessi, la propria identità, con le capacità che la caratterizzano. Come dire che non posso fare conto su di me, su quello che vedo, provo, sento. Cioè all’annullamento totale del mio essere e quindi la morte.

I nostri progenitori hanno senz’altro ragionato al loro meglio quando hanno percepito che era giusto decidere per il loro verso, anche perché il “Non ne dovete mangiare” non lo capivano e lo trovavano privo di senso. Allora cosa hanno fatto? Hanno scartata la proposta di Dio, la hanno semplicemente messa da parte ed ignorata, prendendo potere sulla realtà dell’albero, assumendosene la responsabilità e decidendo secondo la loro ragione.

Hanno fatto un solo errore: si sono dimenticati di chi aveva rivolto loro la parola: non era una persona qualsiasi, e neppure un serpentello qualsiasi, ma Dio in persona. E questa consapevolezza sarebbe stata sufficiente a far cambiare loro idea.

E’ un po’ quello che succede ai nostri giorni: ci appropriamo delle nostre realtà e decidiamo in proposito, dimenticando che Dio si è espresso ed ha dato dei comandi ben precisi. Costruiamo la nostra vita come si costruisce un film: mettiamo in primo piano i nostri punti di vista, mentre quelli di Dio li spostiamo più indietro… fino ad arrivare sbiaditi sullo sfondo… fino a scomparire.

Ci dimentichiamo di chi è Dio (dove è finito il timor di Dio?) e ci dimentichiamo, ahimè, anche della seconda parte del suo parlare: “Altrimenti morirete”.
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1 commento:

  1. èvero a volte mettiamo in primo piano i nostri punti di vista ,ma poi quando torniamo su qelli di dio che erano spostati indietro ,quanta gioia si prova di essere tornati da LUI ,dentro le sue parole che ci tolgono le paure ,le insicurezze ,grazie ho ripercorsoquel mettere sullo sfondo ma anche la consapevolezza del tornare VIVI
    cori

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