Oggi abbiamo perso l'abitudine al silenzio, perché abbiamo paura di confrontarci con la verità. Così non possiamo crescere: siamo condannati alla mediocrità. La cuffia infilata a chiudere gli orecchi, la testa dondolante al ritmo di una musica assordante ma per gli altri silenziosa, un ragazzo viaggia seduto davanti a me su un autobus serale poco frequentato. A prima vista questa sembra l'immagine della solitudine necessaria per ritrovare se stessi, evitando la dispersione nella massa. In realtà, questo è solo un isolamento che si colma di suoni martellanti e che lentamente ottunde il cervello e smorza sul nascere ogni pensiero vero.
Gesù nel suo Discorso della Montagna ci dice: «Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6,6).
Senza questo bagno di silenzio, la verità si appanna e si dissolve, la coscienza resta sorda e inerte, il cuore perde il suo battito d'amore. «Solo il silenzio è grande tutto il resto è debolezza» (Alfred de Vigny).
Se rifiuti di sostare almeno qualche minuto al giorno in quell'oasi e ti precipiti subito nel frastuono della città, in agguato sulla strada della tua vita c'è il mostro della mediocrità che è tutt'altro che "aurea", come credeva il poeta latino Orazio. Essa, infatti, è vestita di grigiore, si nutre di chiacchiere, si affida allo sfarfallio delle mode, teme la limpidità della verità e dell'impegno serio ed esigente.
Sulla mediocrità incombono le parole del Cristo dell'Apocalisse, simili a una spada di ghiaccio: «Tu non sei né freddo né caldo, ma sei tiepido, ed è per questo che sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16).
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