La semplicità viene dal cuore, l'ingenuità dalla mente. Un uomo semplice è quasi sempre un uomo buono; un uomo ingenuo può essere un farabutto. Perciò l'ingenuità è sempre naturale, mentre la semplicità può essere frutto dell'esercizio. Portava un nome glorioso nella Bibbia, legato a quell'ebreo che era riuscito a divenire viceré d'Egitto. Ma quel nome, Giuseppe, aveva un significato etimologico a prima vista modesto, connesso al verbo ebraico «aggiungere». E il padre legale di Gesù che oggi festeggiamo fu un uomo che si "aggiunse" all'evento grandioso che stava compiendosi nella sua sposa, offrendo la sua semplice e silenziosa disponibilità. Ci pare, allora, significativo riflettere oggi su due termini talora usati come sinonimi, semplicità e ingenuità. Lo scrittore francese ottocentesco René de Chateaubriand ci aiuta, invece, a distinguerli e a scoprirne la profonda differenza. Sì, perché ingenui si nasce e, per questa via, si cade in una serie di incidenti ma anche di cattiverie, compiute forse senza malizia ma capaci di generare sofferenze e mali. La sprovvedutezza e la dabbenaggine di un ingenuo non sono una virtù, anzi, sono sorgente di sciocchezze, di imprudenze, di sventatezze. La semplicità, al contrario, è una conquista che nasce da un'ascesi e da una purificazione della mente e del cuore. Non per nulla il poeta russo Sergej Esenin diceva che «mostrarsi semplici e sorridenti è un'arte suprema». Dio stesso è semplice nella sua unità e unicità assoluta, ma non è certo né ingenuo né banale. E allora raccogliamo la lezione di san Giuseppe che potremmo sintetizzare col motto di un altro poeta, l'inglese William Wordsworth: «Vivere con semplicità e pensare con grandezza».
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