L'uomo passa la sua vita a ragionare sul passato, a lamentarsi del presente, a tremare per l'avvenire. Non è mai un male riflettere sul tempo: oggi, ad esempio, abbiamo già consumato 198 giorni del 2011 e ne aspettiamo ancora 167. Siamo ininterrottamente sospesi tra la nostalgia del passato che ormai è solo ricordo e l'incertezza di un futuro non privo di sorprese, di enigmi e forse di drammi. Il presente è, di solito, la stanza ove ci si lamenta. È ciò che puntualizza nella frase lapidaria sopra citata un autore francese Antoine Rivarol (1753-1801). La tridimensionalità del tempo è da sempre oggetto di riflessioni; anche il tempo in sé considerato è stato sottoposto a serrate analisi filosofiche. Ciò che, però, tutti sperimentiamo è la sua fluidità inarrestabile: chi ha fatto il liceo ricorderà il lamento delle Odi di Orazio: Eheu fugaces labuntur anni, «ahimè, fuggevoli scorrono via gli anni», e il poeta latino continuava ammonendo che «le preghiere non possono fermare le rughe, la vecchiaia incombente e la morte invincibile». Ciò che viene sottolineato da Rivarol è, però, l'incapacità dell'uomo a vivere in pienezza il tempo, accettandolo nella sua realtà. Sul passato si recrimina perché lo si è perso, oppure lo si rimpiange idealizzandolo. Il presente genera solo lamenti per la nequizia dei tempi; il futuro, proprio perché ignoto, ci spaventa. È paradossale, ma un sapiente biblico che aveva un'amara concezione "circolare" del tempo («non c'è niente di nuovo sotto il sole»), il Qohelet, ci ha lasciato un prezioso consiglio per vivere questa realtà che aderisce intimamente a noi: «Ogni cosa ha il suo momento giusto, ogni evento ha il suo tempo sotto il sole» (3,1).
é vero spesso siamo un lamento continuo........ il passato ma che bello...quante cose si facevano..il futuro ...ma chissà cosa ci sarà...con i tempi che ci sono.....cosi il presente ci sfugge dalle mani e non riusciamo apprezzare il sorgere e il tramonto del sole di ogni giorno
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