Non c'è niente da fare, oggi per vivere un po' bene bisogna vendere l'anima. «Siamo andati avanti tanto rapidamente in tutti questi anni che ora dobbiamo sostare un attimo per consentire alle nostre anime di raggiungerci». Così confessarono alcuni indigeni latino-americani a Michael Ende, il noto autore del romanzo La storia infinita (Longanesi 1981). La vita contemporanea sempre più frenetica, la tecnica sofisticata, la corsa accelerata al piacere impediscono all'anima quella quiete e quel distacco, quella riflessione e quel silenzio che la nutrono e la fanno vivere. Ma c'è qualcosa di peggio ed è ciò che esprime Ignazio Silone nella frase desunta dal suo famoso romanzo Vino e pane composto nel 1936, durante il suo esilio svizzero a causa del fascismo. Tanti, troppi sono pronti a vendersi l'anima per il successo, per il denaro, per il piacere o anche semplicemente «per vivere un po' bene», nell'indifferenza morale. Questo tradimento di sé stessi trasforma la persona solo in un centro di interessi e di necessità materiali, filtra escludendoli il fremito del bene, il rimorso della coscienza, la luce della trascendenza, la pienezza dell'amore. Non si vendono solo i corpi, come (e spesso drammaticamente) accade alle prostitute; si può mettere in vendita sulle strade dell'esistenza quotidiana anche la propria intimità, la dignità, la coerenza, appunto l'anima, per ottenere talora vantaggi banali come una comparsata televisiva o qualche successo nella professione o un pacco di soldi in più. Facciamo sì che non ci accada quello che temeva il poeta Montale nei suoi Ossi di seppia (1925), quando vedeva il nostro precipitare «nelle cure meschine che dividono / l'anima che non sa più dare un grido».
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