lunedì 28 dicembre 2009

Santa Famiglia di Nazaret

I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Quando giunse all'età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?». Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro. Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini.
Lc 2,41-52
Osservazioni bibliche
Gesù è raccontato nella sua crescita umana (fisica e psicologica), come un adolescente nel contesto di una famiglia normale all'interno del loro ambiente culturale e religioso. Maria e Giuseppe sono due genitori che devono gestire un adolescente che si prende le sue libertà cominciando ad affermare la sua voglia di indipendenza dalla famiglia. Fa da sfondo il contesto religioso del pellegrinaggio: la tradizione e la religiosità in casa di Giuseppe è la regola
Un ragazzo a tredici anni viveva un rito di passaggio: veniva considerato adulto e capace di stare "in piedi" davanti alla legge, cioè capace di rispondere senza intermediari (i genitori) alle norme prescritte, come un adulto responsabile del proprio agire.
L’annotazione conclusiva del brano evangelico ci dice che “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia”. Sembra una conclusione al racconto: visto come si muovono le cose, il ragazzo non può non crescere bene perché questa famiglia, nonostante le difficoltà, le fatiche e le incomprensioni produce “vita”.
Meditazione
Vista la necessità di Dio di nascere e crescere come un bambino non poteva non chiedere la presenza di una famiglia. La Santa Famiglia è profondamente “affidata al progetto di Dio” (= due genitori coinvolti appieno e pienamente affidati). Un progetto personale riconducibile al primo progetto di Dio sull’uomo e la sua felicità perché “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,18). Giuseppe e Maria si dimostrano una famiglia a partire dalla loro disponibilità a Dio per gli eventi che si stanno realizzando, per la loro fedeltà alla legge che li porta a compiere ciò che Dio da sempre chiede e per il mutuo soccorso nell’affrontare la paura e le difficoltà. Emerge chiaramente un "noi" (= complicità reciproca: "tuo padre ed io angosciati ti cercavamo") e questo significa anche che Giuseppe amava Maria e Maria si affidava e fidava completamente di Giuseppe. La normalità di questa famiglia racconta una bellezza: la circolarità d’amore che si concretizza in "cura" per Gesù.
Questo è il mistero di ogni famiglia: nella diversità di due coniugi (maschio e femmina, due famiglie diverse, due formazioni differenti, due sensibilità differenti…ecc) c’è racchiusa una “profezia di amore” che produce vita. La stessa vita che ha fatto crescere " in sapienza età e grazia" noi in una famiglia di origine e ora i nostri figli in quella che abbiamo formato noi. La famiglia è un’opera di Dio che da due diversità ha racchiuso una forza di vita capace di fiorire in maniera unica.

Osservazioni conclusive
A questo punto proviamo a dare alcuni suggerimenti per concretizzare questi discorsi alla nostra realtà.
1. In ogni famiglia c’è bisogno di ALIMENTARE LA COMUNIONE perché sempre più spesso emerge che non è un problema l’amore (ci si vuole bene), ma la fraternità e la convivenza. Buttiamo alcuni colpi di colore su questa realtà: il tempo che passa, le vicende della vita, il bisogno di essere ri-compresi dal proprio partner... logorano la comunione e l’unità.Si potrebbero dire molte cose su questo tema. E’ importante annotare che c’è un problema di comunicazione (e sviluppo solo questa dimensione) e sono spesso solo quelli “fuori” ad accorgersi, perché quelli dentro si sono sclerotizzati in una relazione da anni non più messa in discussione. Parlando si svela la lontananza che si potrebbe generare nel cuore. Trovando il tempo di parlarsi con sincerità si arriva a "ridisegnare" la propria situazione interiore all'altro che non la conosce e non ci capisce.
Occorre, ogni giorno, CUSTODIRE L’AMORE nella PAZIENZA e nel PERDONO. E’ una scelta che ogni componente della famiglia è chiamato a fare nel profondo di se stesso perché coi silenzi o con le parole decido di ALIMENTARE O DISTRUGGERE LA COMUNIONE.
2. La famiglia con la presenza dei figli rivela un RUOLO che spesso viene cancellato dalle esigenze dei singoli per cui il padre non fa il padre che declina il suo ruolo educativo alla moglie, o la madre che si fa complice dei figli o sorella maggiore declinando l'assimetria educativa… Nel progetto di Dio il “noi” è salvaguardato proprio dal RUOLO UNICO E PERSONALISSIMO che ogni componente della famiglia è chiamato a vivere.
• Non è possibile che in una famiglia comandino i figli tiranneggiando con i loro capricci e le loro voglie i genitori. Qui serve tutta l’autorità del padre!
• Per una sana comunicazione non può dare i tempi della relazione la televisione che sempre più detta tempi e argomenti della famiglia. Qui serve la partecipazione di tutti a non mangiare con la TV accesa e a raccontarsi agli altri!
• Un figlio soprattutto nella fase dell’adolescenza non può “rinnegare la sapienza di casa" sbandierando una "nuova sapienza" scovata fuori casa. Per "sapienza" intendiamo il cibo che determina le scelte. Di sapienza ci si nutre e fin da piccoli il cibo lo si mangia in casa. Nel cibo di casa tua c’è il nutrimento base che è l’amore. Se fino a 14 anni il cibo era buono, perché poi non va più bene e tutto il "buono" è fuori da casa mia? Ci saranno delle cose che non funzionano che da adolescente so riconoscere, ma è in casa con due genitori che si amano e che si rispettano che si produce la mia “crescita in sapienza età e grazia”.Qui occorre che i figli si mantengano umili e rispettosi dei genitori.
• Un genitore non può dimenticare il suo ruolo di educatore alla vita. Verso i figli e la vita ogni adulto deve chiedersi: “quando non ci sarò più, i miei figli saranno capaci di stare in piedi di fronte alla vita?”. Questa domanda aiuta ad orientare la crescita educativa che genitori e figli devono affrontare insieme in vista del futuro. Qui serve il senso di distacco e la lungimiranza dei genitori.
3. Per concludere mi piace ricordare una esperienza che rivela la cosa più decisiva e importante che sorregge la famiglia: l’amore tra papà e mamma. Un giorno per aiutare una ragazza di temperamento inquieto di cui lei ignorava la causa, ho chiesto: “tuo padre ti ama? – sì. Tua mamma ti vuol bene? – sì. Ma tuo papà vuol bene a tua mamma? – no”. L’inquietudine e l’insoddisfazione che albergava in quella ragazza nasceva da questa esperienza di famiglia dove l’amore tra papà e mamma era interrotto.
LA TRAVE PORTANTE DELLA CASA è proprio questo amore tra marito e moglie. Qui è svelato tutto il progetto di Dio sul matrimonio. E anche ai figli va fatto comprendere bene con gesti concreti questa “precedenza affettiva”. Ne troverà alimento di vita tutta la famiglia.

Invochiamo la presenza del Signore Gesù, in questo Natale, perché anche le nostre famiglie possano diventare sempre più simili alla Santa Famiglia di Nazaret.
don Daniele

Parole magiche - magia delle parole


La magia ha sempre attratto la nostra fantasia e i nostri desideri…! Poi c’è chi la prende più o meno sul serio. I nostri giovani per fare un esempio leggero, e non solo loro, hanno arricchito la signora Joanne Kathleen Rowling, comprando i suoi libri su Harry Potter. Naturalmente sappiamo che per noi cristiani la magia è una pratica da evitare. Ma è poi sempre vero? Oggi voglio svelare una magia che possiamo fare tutti, e che è di una potenza inaudita: la magia delle parole. In particolare la magia di una semplice parola. E non ci sono controindicazioni o effetti collaterali negativi.

Ricordo a questo proposito una signora che quando acquistava una medicina prescritta dal medico, leggeva il foglio illustrativo allegato, parola per parola, e quando arrivava agli effetti collaterali possibili gettava il farmaco avendo la certezza che a lei avrebbe fatto male. Voglio tranquillizzare anche quella signora, se sta leggendo questo scritto. Qualcuno potrebbe poi preoccuparsi dicendo a se stesso: e se questo potere lo usassi male? Certamente, ogni potere può essere usato in tanti modi, ma sappiamo che quello che conta è l’intenzione. Prendiamo per esempio un semplice coltello da boy scout: può essere usato per tagliare una fetta di pane, o un ramoscello, ma anche per ferire una persona.
Dunque, veniamo a questa parola:
è…………………………………………….SCUSA.

Sono solo cinque lettere, ma perché produca effetto bisogna prima di tutto imparare ad esprimerla! Chi pensa ancora che le parole magiche sono facili a dirsi? Non è sempre così. Ci sono persone che piuttosto che pronunciare la parola SCUSA preferirebbero morire! Mi spezzo ma non mi piego direbbe qualcuno. Non sanno che in questo modo la magia funziona lo stesso ma al contrario, mantenendo in essere situazioni irrisolte, rancori anche arrugginiti, odi e risentimenti. E fino a quando la magica parola non viene pronunciata, queste situazioni rimangono congelate se non peggiorano e creano solo malessere.

Più avanti cercheremo di capire il perché della difficoltà a pronunciare questa parola.

Veniamo ora alla parte positiva della magia. Cosa succede quando la pronuncio? Quando, guardando negli occhi una persona, le dico queste cinque lettere: SCUSA?

In genere il primo effetto magico è paralizzante. Una persona può avere forse tutte le sacrosanti ragioni per arrabbiarsi, per avercela con me, per dirmi parolacce, anche per odiarmi…. ma adesso, dopo avere sentita questa semplice parola di sole cinque lettere… rimane spiazzata, la sua rabbia perde di senso e di forza… lì per lì non sa cosa dire ed il più delle volte balbetta un ok., niente, sta bene, non ti preoccupare… e tutta la pesantezza del risentimento incomincia a sciogliersi come per incanto. Il più tenace potrà anche fare una piccola ramanzina, ma è solo uno sfoghino, un afflato finale, tanto per chiudere in modo per lui onorevole. In questo modo la magia può spegnere incendi che se lasciati divampare potrebbero distruggere e bruciare foreste intere; può evitare danni incalcolabili, qualche volta le guerre; d’altra parte, cosa stupenda, può anche ricostruire pace ed armonia!

Mi viene in mente un esempio che può capitare a tutti, banale per la sua semplicità ma paradigmatico perché il meccanismo che si mette in atto è sempre lo stesso: vado in bicicletta ed uno sprovveduto, senza guardare la strada, mi viene addosso. Da parte mia pochi danni ma una grande rabbia. Mi viene l’impulso di dirgliene di tutti i colori, ma lui mi precede e con voce accattivante mi dice: SCUSA. Mi blocco, lo guardo, e gli rispondo, quasi in automatico: PREGO. Farfuglio qualche altra parola ma il senso è quello. La magia ha funzionato!
Un altro esempio: Mi irrito con una persona che mi ha veramente stressato, non ne posso più e glie ne dico quattro e butto giù il telefono, chiuso! Poi mi viene un pensiero: che ne sarà della nostra relazione? Quando ci incontreremo per strada ci saluteremo? Ma lei avrà le risorse per recuperare in modo positivo la nostra relazione? Mi viene freddo! Allora prendo di nuovo il telefono, la chiamo, e le dico: SCUSA!!! Lei farfuglia delle parole, e io ripeto ancora: SCUSA!!! … mi hai scusato? Risponde a voce bassa. Sssi! Ripeto, mi hai scusato? Risposta stavolta più decisa SIII!!! Grazie, buona notte, e riaggancio. Sono passati anni e l’amicizia dura ancora.

Noi cristiani siamo particolarmente sensibili alle nostre coscienze, e sappiamo quanto le mancanze di perdono possono pesare nelle relazioni; quanto queste ferite, perché di ferite si tratta, possono fare soffrire, e quanto difficili sono i percorsi di guarigione. Talvolta ci si ammala.

Dicevamo di voler capire il perché della difficoltà a pronunciare questa parola.

Quando noi incappiamo in una incomprensione, in genere ci accorgiamo se abbiamo offeso qualcuno.

Forse non ci viene nemmeno in mente che potremmo rimediare subito, oppure non sappiamo come fare. Scatta invece in automatico un atteggiamento auto protettivo, spesso condito di ben mimetizzato orgoglio, che ci blocca, perché il nostro essere ha bisogno di confermare se stesso. Ci si ripete che si ha ragione, e che si è fatto bene. Ed alzando il volume della voce interna copriamo la paura sottostante di chinarci all’altro e di riconoscere di averlo ferito. Si vuole in sostanza evitare a noi stessi la sofferenza dell’umiliazione.

In altre parole abbiamo paura di dire: IO sono stato inadeguato, IO sono stato incapace, IO non sono stato accorto, IO non sono valido. Perché questa auto squalificazione sottintenderebbe che IO come persona, non valgo niente. Ne verrebbe misconosciuta la mia identità che è un valore sacro ed intoccabile. Il negare l’IO verrebbe vissuto a livello profondo della nostra coscienza come una morte, un cessare di esistere come persona.

Ma proprio qui sta l’inganno, o meglio, l’auto inganno. Nessuno ci chiede di negare la nostra identità, ma semplicemente di riconoscere che una nostra specifica azione possa essere stata infelice, un nostro comportamento possa avere causato danno. Non identità dunque, ma semplice comportamento. E questo rende le cose molto più facili. E’ diverso per quel ciclista che mi ha investito dire SCUSA perché mi ero distratto (comportamento), piuttosto che SCUSA, ti sono venuto addosso perché SONO un deficiente (identità). E’ diverso per quella persona che ha offeso la vicina di casa dire: scusi, non volevo, mi sono espressa male (comportamento), piuttosto che scusi, sono una idiota (identità). E così via.

Dunque, per usare questa parola magica dobbiamo capirne prima il significato vero: non si tratta, come dicevamo, di negare la nostra identità ed il rispetto che dobbiamo a noi stessi in quanto persone, ma di riconoscere, e qui sta la grandezza, che a causa di un semplice comportamento abbiamo prodotto effetti indesiderati creando sofferenza a qualcuno.
Al primo comportamento (disfunzionale) possiamo dunque aggiungere un altro comportamento (funzionale), e pronunciare la parola magica: SCUSA.
Attiveremo il questo modo la ………………MAGIA!!! .............. e ristabiliremo la perduta armonia.


PS) la magia è più potente quando la si attiva subito, appena fatto il danno.
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sabato 26 dicembre 2009

Natale in San Francesco

Domenica di Natale sono andato alla Santa Messa nella chiesa di San Francesco di Mantova. E’ stata una cerimonia molto suggestiva e talvolta commovente per la sua bellezza. Breve ed incisiva la predica, delicato e significativo l’addobbo dell’altare ed il presepio. Straordinario il gruppo dei giovani che hanno animato la cerimonia con i loro canti. Guardandoli uno per uno mentre cantavano e suonavano, ne conosco qualcuno, ero a conoscenza dell’entusiasmo ma anche dei sacrifici che hanno fatto per preparare e donarci quei canti: ci si era messa anche la neve e il ghiaccio! Il mio vuole essere soltanto un grazie rivolto a tutti, per primo al Signore che si è degnato di venire in mezzo a noi, per averci regalato uno squarcio di paradiso.
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mercoledì 23 dicembre 2009

Regno di Dio

Il Signore è venuto a portare il regno di Dio nel mondo. Non ha mai detto che dobbiamo soffrire e stare male ma ha continuamente aiutato l’uomo a stare bene, nel fisico, nella psiche e nell’anima. Lui stesso quando si avvicinava l’atroce prova ha pregato il Padre di allontanare questo calice, ma nella Sua volontà. Gesù ha sempre promesso pace e gioia, e S. Paolo dirà che dobbiamo essere sempre lieti. Anche la Chiesa, nei suoi vari documenti ha sempre incoraggiato e spinto l’uomo ad agire per il bene comune, nella vita, nel lavoro, nella salute, nell’ecologia, nello spirito.
Dunque, se il Signore ci ha invitati a propagare il regno di Dio nel mondo, questo significa che ci invita e ci manda a fare come ha fatto Lui, i suoi apostoli, i suoi primi discepoli. E noi siamo i suoi discepoli di oggi. Non solo, ma ha anche promesso che Lui stesso opererà attraverso di noi.
Dunque, cosa significa portare il regno di Dio? Fare delle prediche? Pregare e frequentare le funzioni religiose? Si ma non solo, perché ci vogliono le opere. Ed opere significa rendersi strumenti di benessere. Noi pensiamo sempre alle grandi opere che hanno fatto i santi, e ci sentiamo intimiditi e lontani dalle loro capacità. E questo è un inganno, perché ognuno di noi ha i suoi doni, i suoi personali strumenti che Dio gli ha donato. Ogni volta che porto un po’ di pace nelle situazioni della vita, un po’ di serenità, un po’ di positività, un po’ di ottimismo; ogni volta che porto al mondo un piccolo sorriso, che con il mio fare riesco a far stare, non dico bene ma almeno benino una persona, questo è il regno di Dio che viene. Quando agiamo in questo modo, diventiamo missionari di una chiesa che opera anche oggi, e permettiamo al Signore risorto e vivo di agire attraverso di noi come agiva quando camminava per le vie della Palestina. E questo è regno di Dio.
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martedì 22 dicembre 2009

Buon Natale : Aprite le finestre!

Carissimi,
c'e un gesto che viviamo quotidianamente, all'inizio di ogni giornata che mi piace e che ha ispirato queste riflessioni.
E' il gesto di aprire le finestre, al mattino, per lasciar entrare la luce e I'aria fresca e nuova nelle nostre case.
Personalmente lo compio con gioia, quasi con solennità; mi piace dedicare il giusto tempo ad un gesto tanto banale eppure bello, oserei dire quasi "liturgico".
Un nuovo giorno, con gli orari e gli impegni da assolvere, ma anche con le sorprese e gli imprevisti; un nuovo giorno da vivere, con le persone da incontrare, il telefono che squilla, la porta da aprire... un nuovo giorno da accogliere con fede nella convinzione che il Signore e con me.
Tutto questo mi dice il gesto di aprire gli scuretti e le finestre della casa parrocchiale.
Si, perchè nell'aprire le finestre al nuovo giorno trovo che anche la mia anima si spalanchi dl Signore,
Mi viene in mente il discorso di Gesù, quello pronunciato sulla montagna: "Beati i puri di cuore, perche vedranno Dio".
E' proprio vero: solamente un cuore puro può vedere Dio, ma la purezza, la pulizia del cuore e affidata alla nostra liberta.
Mi piace pensare che anche la festa del Natale sia un po' come quel gesto, ripetuto ogni volta, ma sempre necessario, se non vogliamo che la nostra casa rimanga nel buio e nel ristagno di un'aria troppo viziata; perchè il rischio, Natale dopo Natale, e proprio quello di abituarsi, e di non accogliere la novità, la luce, l'aria fresca di una fede sempre nuova che il Signore ci porta con la sua nascita.
"Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Immetterò fiumi nella steppa, renderò fertile il deserto, sorgenti d'acqua sgorgheranno... voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio".
Carissimi, apriamo il cuore al Signore che viene; respiriamo a pieni polmoni la novità del Dio-bambino, avvertiamo la bellezza di essere figli nel Figlio, lasciamo che anche le nostre croci e i nostri dolori vengano presi sulle spalle da Colui che "si è fatto simile a noi in tutto, eccetto il peccato".
Carissimi, c'è bisogno, oggi di un cristianesimo pulito, fresco, senza le pesantezze di tante mediocrità e compromessi. Per fortuna, o meglio per grazia del Signore, ci sono ancora oggi, uomini e donne con I'anima pura che ci invitano ad alzare lo sguardo, ad aprire la finestra del nostro cuore per lasciar entrare Colui che può "fare nuove tutte le cose".
Quanto mi piacerebbe che le nostre comunità parrocchiali fossero rinnovate, in questo Natale, da quel Bambino che andremo ad incontrare e adorare.
Lo chiedo al Signore per me e per voi, Lo chiedo in particolare per i giovani perchè sentano su di se lo sguardo d'amore di Gesù.
Lo chiedo per gli anziani e gli ammalati perchè siano asciugate le lacrime della solitudine e della tribolazione. Lo chiedo per tutti perchè possiamo riprendere il cammino, cantando la bellezza di essere figli di Dio.
La notte di Natale, come una liturgia, apriamo la finestra. Quella del nostro cuore.
Con affetto vi auguro Buon Natale.
don Alfredo

lunedì 21 dicembre 2009

Racconto di Natale

E’ con questo racconto di Natale che esprimo i più cari auguri di Buone Feste a tutte le famiglie.Spero di cuore che possiamo assaporare insieme il senso della Luce di Cristo che viene ad illuminare la nostra semplice vita con la sua presenza.
don Daniele

Era la vigilia di Natale. Tutto il monastero respirava un clima di particolare raccoglimento. Fuori nevicava fin dalla mattina. Un silenzio cosmico avvolgeva come cotone tutto il paesaggio. L'abate, nel modo solito, aveva permesso solo a due o tre padri spirituali di poter ricevere telefonate.

Era ormai scuro, quando squillò il telefono nella cella di padre Boguljub (che vuol dire “Caro a Dio”). Il monaco stava alla finestra e guardava come il buio non riusciva a inghiottire i fiocchi di neve. Quando il telefono aveva già suonato un paio di volte, l'anziano monaco si era girato, mormorando come suo solito: “Sia benedetta l'anima che chiama”.

Era Jan con la sua famiglia. “Una santa vigilia, padre Boguljub, da parte di tutti noi! Abbiamo appena finito di fare il presepe. Abbiamo trascorso un bel po' di tempo, tra ieri e oggi, per preparare bene il presepe e rendere festosa la casa...”

La moglie aveva aggiunto: “Padre, ti abbiamo ricordato tanto. Abbiamo ricordato le tue parole, i momenti che abbiamo vissuto insieme... Mentre facevamo il presepe e decoravamo la casa, ci siamo resi conto di come la casa sia abitata dai ricordi, dalle presenze care che hanno lasciato dentro qualcosa di sé”.

“Ma proprio questo è il presepe”, aveva risposto Boguljub. “Nel presepe noi rappresentiamo la vita quotidiana che viene felicemente sconvolta dalla nascita del Figlio di Dio e Salvatore degli uomini. La sua presenza è disseminata in tutta la terra. Perciò cambia tutto: il falegname lavora diversamente da prima, il contadino cura le sue mucche diversamente da prima, le donne si trovano davanti al negozio a parlare diversamente da prima, perché tutta la terra è inabitata da una luce nuova. E noi, tramite la nostra amicizia, partecipiamo a questa luce portandocela l'uno all'altro. Questa luce non si spegne, perché è abitata dai volti, e i volti rimangono. Eh, già... i volti sono la memoria. Anch'io vi auguro una santa vigilia, e che possiate accogliere la luce che entra nella vostra casa!”

“Sei stato proprio tu”, aggiunse Jan, “che l'hai portata, quelle poche volte che sei venuto a trovarci. E la vita in questa casa è vissuta e vista diversamente anche per questo. Sei stato tu, padre Boguljub, a dirci tante volte che la vita spirituale consiste nel vedere le cose nella luce giusta”.

“Sí, Natale è la festa della luce, e noi cristiani siamo gente della luce, gente che cammina in una valle inondata da una grande luce. Ma ci sono delle cose nella nostra valle che non è facile vedere nella luce giusta.., e poi c'è anche la luce del mondo, che abbaglia e illumina la vita con i suoi fuochi d'artificio. Natale è una buona occasione per abituare i nostri occhi alla luce vera, per non essere abbagliati dai luccichii che non contano”.

E mentre ancora parlava, guardava dalla finestra nel buio della sera, che tuttavia faceva intravedere i fiocchi di neve. Gli sembrava che i fiocchi piú vicini alla finestra e quelli piú lontani creassero un movimento di straordinaria profondità, quasi da vertigini.

“Padre Boguljub, è ancora in linea?”

“Sí, sí, un santo Natale. E scaldate il cuore ai vostri figli in questa santa notte. Che la memoria del calore e dell'amore, della luce e della festa si imprima in loro per i tempi freddi e deserti che forse li aspettano prima di giungere alla vecchiaia!”

Mentre tornava di nuovo verso la finestra e si immaginava la mensa che i monaci di san Benedetto preparavano per Natale, con grandi pani, brocche di vino e mele, pensava alla casa di Jan e di Tina. Era una casa semplice e bella. Boguljub si ricordava di come avevano preparato la cena l'ultima volta che li aveva visitati. Era sera anche allora. Lui era arrivato in treno. Jan lo aveva preso con la macchina e, prima di arrivare a casa, gli aveva detto che avrebbero voluto confessarsi con la moglie prima della cena. Sulla porta di casa, il monaco aveva salutato Tina e i due piccoli bambini che lo avevano guardato con stupore, perché la sua barba faceva loro una grande impressione. Entrando nel salotto, Jan aveva spiegato ai bambini che sarebbero dovuti rimanere per un attimo nella loro stanza a giocare. Allo sguardo interrogativo dei bambini, sul perché dovessero ritirarsi quando era arrivato un ospite cosí interessante, aveva aggiunto che mamma e papà dovevano incontrarsi con padre Boguljub e con il Signore.

Ales, che era un poco piú grande, intorno ai 5 anni, aveva chiesto con la sua vocina: “Ma con quale signore?”

Jan aveva risposto con certezza, senza esitazioni: “Con il nostro Signore”. “E come si chiama?” aveva chiesto Ales. “Gesú Cristo”. “Ah”, aveva acconsentito, quasi facendo vedere che la risposta gli bastava.

Ma dopo un attimo aveva aggiunto: “Ma quando è venuto? E dove è ora?” “In mezzo a noi”, aveva risposto a voce bassa padre Boguljub. Il bambino si era impensierito. “Come, in mezzo a noi?”

Il padre, Jan, allora si era chinato verso il figlio: “Hai visto come ci siamo salutati con padre Boguljub? Come parliamo con la mamma di lui? Chi pensi che sia lui per noi due, e anche per voi due?” “Un vecchio amico”, era intervenuto il piccolo Milos. “Sí!”, aveva aggiunto Ales, “gli volete tanto bene”.

“Vedi, Ales, questa amicizia in qualche modo è il nostro Signore. Impara il suo nome: è l'amore che sta qui. Lui stesso ha detto che dove c'è l'amore, lí c'è Lui.

Ales e Milos, secondo voi, la mamma e io ci vogliamo bene?” “Sí, tanto”. “Questo nostro amore ce lo ha dato il Signore e ci ha unito con Lui per sempre.

Vi ricordate quando andate ad aprire le scatole con le foto del nostro matrimonio, che vi piacciono tanto? In quel momento il Signore è entrato tra noi ed è rimasto qui, nella nostra famiglia”. E mostrava con tutte e due le mani lo spazio intorno.

I bambini erano usciti con grande attenzione, silenziosamente, come se fossero attenti a non sfiorarlo, perché non riuscivano a individuare esattamente il posto dove si trovava. Anche allora la luce della presenza di Dio aveva trovato casa in una semplice famiglia che viveva alla sequela del Signore.

Per un attimo è come se Boguljub avesse fermato questo film della memoria, nel quale si era totalmente immerso. Il suo occhio si era posato sul santino di san Benedetto che spuntava dalla Bibbia sul tavolo e aveva mormorato: "Ecco, Signore Gesú Cristo, tanti dicono che il mondo va male, ma dietro le mura, al di là di ciò che si vede e soprattutto al di là di ciò che il mondo ci fa vedere, o meglio, Signore, di ciò che vuole che noi vediamo, quanta bellezza, quanta semplicità!"

Boguljub, davanti alla finestra, rituffò lo sguardo nel buio della notte, e subito riprese il filo dei ricordi…
estratto da: “I racconti di Boguljub: L’AMORE RIMANE” di M.I. Rupnik - ed. Lipa

mercoledì 16 dicembre 2009

Natale 09

Fare un buon Natale, per noi cristiani, significa accogliere nei cuori il piccolo Bambino che nasce, offrendogli un ambiente traboccante di pace e di amore.
Il Natale rappresenta anche una occasione speciale ed una straordinaria opportunità per guardare, assieme a Lui, alla nostra vita con sguardo clinico, programmarne una bonifica, se necessaria, e scegliere gli obbiettivi prossimi e futuri per raggiungere una sempre maggiore realizzazione nostra e del progetto che il Signore ha messo dentro di noi.
Dunque questo il mio augurio per tutti : Buon Natale e… buon lavoro.
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martedì 15 dicembre 2009

La chimica delle emozioni

Noi abbiamo spesso la percezione di essere chimica, e che questa governi il nostro vivere: chimica quando siamo allegri, chimica quando siamo tristi, chimica quando siamo innamorati, chimica quando smettiamo di desiderarci, chimica quando siamo depressi. Sembra pazzesco, ma questi stati sono facilmente riproducibili anche in laboratorio: ti iniettano delle sostanze e tu sei euforico, altre sostanze e tu tremi dalla pura.
In tutte le nostre esperienze, se stiamo un po’ attenti a noi stessi, abbiamo anche la netta sensazione, direi la certezza interiore che il nostro ESSERE sia un qualcosa di diverso e di molto superiore rispetto agli stati che proviamo. E “sappiamo” che questi stati sono il risultato e non la causa di un processo interiore, la conseguenza di un qualcos’altro che sta a monte che sarà opportuno individuare per prenderne il controllo.
Sbaglia pertanto chi si affida solo alle emozioni per fare delle scelte di vita.
C’è anche chi fa delle sciocchezze in preda ad emozioni. Basta guardarci intorno, leggere i giornali, i notiziari, seguire la cronaca. E ne sono vittime principalmente i giovani.
Poi basta che la chimica cambi anche di poco, e ci troviamo di fronte a realtà completamente diverse. Come un palcoscenico è diverso vederlo tutto illuminato, e poi a riflettori abbassati.

Prendiamo per esempio una persona che è stata intemperante per gelosia, per sensibilità ferita, risentimento, anche rabbia e si è lasciata invadere e sopraffare dalla chimica del momento. Passata questa situazione si riprende, e guardandosi intorno vede i danni che ha fatto e si scopre deluso, povero e sconsolato (altra chimica). Qualcuno, avendo esagerato, ne paga anche un prezzo alto che non aveva previsto.

Spesso anche quello che noi chiamiamo AMORE è confuso con le sensazioni prodotte dagli umori del momento, e ci prendiamo delle cantonate strepitose.

Ulisse, quando si è avvicinato all’isola delle sirene sapeva che i marinai sentendo il loro canto si sarebbero buttati in mare per raggiungerle, e sarebbero morti, e così avrebbe fatto anche lui perché il loro richiamo era troppo forte. Allora, non volendo privarsi di questa esperienza, che cosa ha deciso di fare? Si è fatto legare all’albero della nave! Dunque, Ulisse non si è lasciato travolgere dalle emozioni, ma ha scelto di dominarle usando la ragione, e le ha gestite.

Verso di te è il tuo istinto, ma tu dominalo (Genesi 4,7) E proprio qui sta il segreto: le emozioni fanno parte dell’uomo che Dio ha creato, e sono cosa buona. Ma bisogna riconoscerle e saperle gestire (dominare). Per concludere con una immagine, vien da paragonare le nostre emozioni alle bolle di sapone: diventano grandi, grandi… e poi puff! Non ci cono più. Non durano.

Nella Bibbia c’è una definizione molto significativa: le passioni sono ingannatrici.

Ef 4,22-23
l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici
e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente.

Ps) La Parola di Dio ci svela la precarietà delle passioni (emozioni) e contemporaneamente ci offre anche la via da seguire per non lasciarci ingannare: rinnovarci nello spirito della nostra mente.

venerdì 4 dicembre 2009

FestivArt : un servizio Eucaristico!

Gianni (direttore artistico) e don Daniele (responsabile del settore adolescenti della Pastorale Giovanile di Mantova)"Oggi avete un ruolo importantissimo, siete stati tutti chiamati personalmente, non per un servizio qualsiasi, ma per un servizio Eucaristico."

Ecco come Don Daniele ha accolto noi volontari del FestivArt sabato mattina.
Ma cosa intendeva per 'servizio Eucaristico'?"Eucarestia -ha continuato- significa rendere grazie ". E a chi si deve riconoscenza se non al nostro Signore per tutto quello che ci ha dato e ci continua a donare?A Colui che ci ha creato, che per primo ci ha cercato, per primo ci ha rivolto la Sua Parola, ci ha salvato, a Lui che gratuitamente ci ama e gratuitamente ci interpella aspettando solo un nostro libero 'Si'..?Di qui la bellezza di un servizio che, pur nella difficoltà dell'organizzazione, nella preoccupazione di non riuscire a dare il meglio di se' a tanti giovani, venuti perchè 'affamati' di qualcosa di vero, diventa un modo per donare una piccola parte di noi a Chi ci conosce veramente e ci ama per come siamo. E quale può essere il modo migliore se non il servizio col sorriso, l'accoglienza a cuore aperto e disponibile verso tanti adolescenti e il mettersi in gioco anche nei momenti più difficoltosi con impegno e spirito di collaborazione? Ecco la sana testimonianza per un popolo di giovani che nella loro frenesia aspettano solo degli adulti non da imitare, da clonare, ma che diano loro spunti di crescita per una vita VERA. Tante sono le opportunità per vivere veramente una vita ricca e stimolante nel bene e il FestivArt ha fatto vedere e conoscere quanto anche l'oratorio possa essere e spesso sia un luogo "in", alla moda e soprattutto di formazione e preparazione ad una vita 'fuori' di pienezza e non di stenti e di denigrazione. Il grande impegno, la collaborazione, l'amicizia che ha accompagnato la lunga preparazione a questo particolare evento mette in risalto il bellissimo lavoro svolto dai ragazzi nel proprio oratorio, lavoro che si è manifestato attraverso l'arte della musica, del canto, della danza e del teatro.
E allora la domanda che nasce spontanea è: perchè, ragazzi, non provare a dare sempre più fiducia a questi grandi valori che ci appartengono, perchè non continuiamo a vivere in prima persona la voglia di pienezza, la fantasia e la curiosità che in questa giornata del FestivArt abbiamo toccato con mano e che sono veramente i sintomi più importanti di quella bella 'malattia' che anche il nostro vescovo ha chiamato la giovinezza?
MariaGrazia&Mauro

Maria Porta dell'Avvento

“Maria, tu Porta dell’Avvento, Signora del silenzio, sei chiara come aurora, in cuore hai la Parola…” e il noto canto ci ricorda che la Vergine è l’icona del tempo liturgico che ci apprestiamo a vivere in preparazione al Santo Natale di Gesù. A lei, piena di grazia, si volgono il nostro sguardo e il nostro desiderio, per imitarne l’umiltà, serenità, fiducia, tenerezza materna... E così, quasi senza rendercene conto, Maria diventa l’alibi del nostro disfattismo mascherato da docilità, dell’atteggiamento di attesa che in realtà nasconde temporeggiamenti e insicurezze, del buonismo natalizio…da fratelli minori di Ponzio Pilato!
Maria non è la statuina con le mani giunte posta nella nicchia della chiesa: è la Madre di Dio, colei che tutte le generazioni chiameranno beata, perché ha saputo dire concretamente di sì alla chiamata d’amore del Signore! Non ha avuto paura di mettersi in gioco completamente per collaborare al progetto di Dio, per quanto incredibile e misterioso apparisse ai suoi occhi: ha creduto in Colui che è fedele, dimostrando agli uomini di tutti i tempi che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37)!
E, allora, se vogliamo essere veri figli di Maria, abbandoniamo le posizioni di comodo nelle quali ci sentiamo rassicurati e protetti, apriamo le orecchie e il cuore alla voce del Padre e stiamo pronti, con “la cintura ai fianchi e le lucerne accese” (Lc 12,35), per risponderGli: “parla, Signore, il tuo servo ti ascolta!” (1Sam 3,10)!
Siamo sinceri con noi stessi e con Colui che “ci scruta e ci conosce” (cfr Salmo 139): quanto sono lontani i nostri “sì” dal coraggio, dalla semplicità, dalla generosità e dallo slancio di Maria?
Non sciupiamo l’occasione che questo tempo d’Avvento ci offre e preghiamo con il cuore e con la vita:
“Vorrei che il mio sì fosse semplice come il tuo,
che non avesse astuzie mentali.
Vorrei che il mio sì, come il tuo,
non mi mettesse al centro, ma a servizio.
Vorrei che il mio sì al disegno di un Altro, come il tuo,
volesse dire soffrire in silenzio.
Vorrei che il mio sì, come il tuo,
volesse dire tirarsi indietro per fare posto alla vita.
Vorrei che il mio sì, come il tuo,
racchiudesse una storia di salvezza.
Ma il mio peccato, il mio orgoglio, la mia autosufficienza,
dicono un sì ben diverso.
Il tuo sguardo su di me, Maria,
mi aiuti ad essere un semplice,
uno che si dimentica,
nella disponibilità di chi sa di esistere da sempre
soltanto come un pensiero d’amore.”

(Bruno, Vorrei che il mio sì, in “Maria…un altro racconto – Preghiere di giovani”).
Marianna Russo
del giornale Agire