“Giovane, non dimenticare la preghiera. In essa, se è sincera, fa capolino ogni volta un nuovo sentimento, e in questo anche un nuovo pensiero, che tu prima ignoravi e che ti riconforterà; e tu comprenderai che la preghiera è un’educazione. Ricordati ancora di ripetere in te tutti i giorni, e ogni qual volta puoi: Signore abbi pietà di quanti sono oggi comparsi dinnanzi a Te. Perché ad ogni ora, ad ogni istante migliaia di uomini terminano la loro vita su questa terra e le anime loro si presentano al Signore, e quanti di essi lasciano la terra solitariamente, all’insaputa di tutti, nella tristezza e nell’angoscia, perché nessuno li piange e nemmeno sa se abbiano vissuto o no! Ora può darsi che dall’estremo opposto della terra si innalzi al Signore la tua preghiera per la pace di un altro, benché tu non abbia conosciuto affatto lui, né lui te. Come si intenerirà la sua anima, quando, comparsa trepidante dinnanzi al Signore, sentirà in quell’attimo che c’è chi prega per lei, che è rimasto sulla terra un essere umano che ama lei pure. E Dio vi guarderà entrambi più benignamente; se tu stesso infatti hai avuto tanta pietà dell’altro, quanta più ne avrà Egli, che di misericordia e di amore ne ha infinitamente più di te? E gli perdonerà in grazia tua.” (I Fratelli Karamazov di F.M. Dostoevskij)
Una delle esperienze più belle della lettura è stata per me quella di Dostoevskij. In lui ho trovato colui che sapeva dar voce a quella parte dell’anima che rimaneva soffocata dalla mancanza di vocaboli, di immagini che le permettessero di raccontarsi, di esprimersi. E oggi ho voluto riportare una citazione che avevo sottolineato in uno dei suoi libri più belli: I fratelli Karamazov. La preghiera, ovviamente, è molto di più di ciò che lui scrive, ma mi accorgo di come sia ormai stata archiviata a una pia pratica da esercitarsi svogliatamente e secondo schemi scaramantici in luoghi ben definiti. La preghiera è una forma di respiro. E’ la maniera attraverso cui la vita, le cose, gli altri entrano dentro di noi e ne riescono nuovi, carichi di senso, splendenti di una presenza che risiede nella nostra interiorità. Si, perchè la prima caratteristica della preghiera è quella di scavare una profondità dentro di noi capace di ospitare e far sedimentare le cose belle e brutte che viviamo. La preghiera è il luogo dove la ragione diventa intelligenza, cioè capacità di saper leggere dentro (intus legere) le cose, gli eventi e i rapporti. La preghiera è il luogo dove il cuore smette di essere semplicemente sentimento e diventa scelta. Senza la preghiera noi non diventiamo noi stessi ma rimaniamo materia grezza segnata (o sfregiata) dall’esperienze delle vita. In ultima analisi, la preghiera è un rapporto con Qualcuno e non semplicemente attività di verifica attorno a certi valori. Dico ciò perchè molto spesso confondiamo i nostri esami di coscienza fatti davanti alla lavagna della nostra scala di valori con l’attività della preghiera. Essa è una compagnia che cambia, fatta di parole, di silenzi, di domande, di sorrisi, di pianti, di richieste, di fiducia, di scelte. Mai però in solitudine, ma sempre davanti e con Qualcuno. Il Suo nome è Gesù, il Cristo di Dio, l’Emmanuele, il Dio con noi.
“Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi. Se sono relegato in estrema solitudine…; ma l’orante non è mai totalmente solo.”(Benedetto XVI, Spes salvi)
Don Luigi Maria Epicoco
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