Quando si dà la mano a Dio, egli non lascia tanto facilmente la presa! Lo incontrai a un ricevimento in suo onore credo una ventina d'anni fa. Gli confessai di aver letto quasi tutti i suoi romanzi e il suo immenso Journal e gli chiesi una sorta di sintesi del suo cristianesimo, abbracciato con passione dopo iniziali tormenti. Come ho spesso raccontato a vari miei ascoltatori e lettori, egli mi rispose con una battuta che è appunto nel suo diario: «Finché si è inquieti, si può stare tranquilli». Brillava in queste parole l'anima agostiniana della ricerca interiore, nella certezza che la tensione trepidante ci conduca a Dio (Inquietum est cor nostrum-delle Confessioni di sant'Agostino). Il nostro cuore non ha posa finché in Dio non riposa. È il momento di sciogliere il velo posto finora sull'autore della frase che oggi propongo alla riflessione comune. Si tratta dello scrittore francese (di genitori americani) Julien Green, vissuto lungo tutto il secolo scorso, dal 1900 al 1998, autore di tante opere tra le quali menziono solo la sua quasi confessione autobiografica elaborata nel bellissimo libro Terra lontana (1966). Ebbene, se la ricerca-pellegrinaggio sopra evocata ci conduce fino a Dio, e là offriamo liberamente e consapevolmente la mano a lui, egli non lascerà tanto facilmente quella stretta. È un simbolo, questo delle mani unite, che è retto da due componenti indispensabili, la libertà e la grazia. Dio è così grande da non aver bisogno di prevaricare sulla nostra autonoma scelta; ma è così legato alla sua creatura da non essere un puro e semplice notaio delle nostre decisioni. Siamo «opera delle sue mani», dice la Bibbia, e non così indifferentemente egli ci lascerà cader fuori dalle sue palme che ci sorreggono e riscaldano.
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