giovedì 29 settembre 2011

Due blocchi di ghiaccio

C’erano una volta due blocchi di ghiaccio. Si erano formati durante il lungo inverno, all’interno di una grotta di tronchi, rocce e sterpaglie in mezzi ad un bosco sulle pendici di un monte.
Si fronteggiavano con ostentata reciproca indifferenza. I loro rapporti erano di una freddezza. Qualche “buongiorno”, qualche “buonasera”. Niente di più. Non riuscivano cioè a “rompere il ghiaccio”.
Ognuno pensava  dell’altro: “Potrebbe anche venirmi incontro”. Ma i blocchi di ghiaccio, da soli, non possono né andare né venire.
Ma non succedeva niente e ogni blocco di ghiaccio si chiudeva ancor di più in se stesso.
Nella grotta viveva un tasso. Che un giorno sbottò: “Peccato che ve ne dobbiate stare qui. E’ una magnifica giornata di sole!”.
I due blocchi di ghiaccio scricchiolarono penosamente. Fin da piccoli avevano appreso che il sole era il grande pericolo.
Sorprendentemente quella volta, uno dei due blocchi di ghiaccio chiese: “Com’è il sole?”.
“E’ meraviglioso…E’ la vita” rispose imbarazzato il tasso.
“Puoi aprirci un buco nel tetto della tana.. Vorrei vedere il sole..” disse l’altro.
Il tasso non se lo fece ripetere. Aprì uno squarcio nell’intrico delle radici e la luce calda e dolce del sole entrò come un fiotto dorato.
Dopo qualche mese, un mezzodì, mentre il sole intiepidiva l’aria, uno dei blocchi si accorse che poteva fondere un po’ e liquefarsi diventando un limpido rivolo d’acqua. Si sentiva diverso, non era più lo stesso blocco di ghiaccio di prima. Anche l’altro fece la stessa meravigliosa scoperta. Giorno dopo giorno, dai blocchi di ghiaccio sgorgavano due ruscelli d’acqua che scorrevano all’imboccatura della grotta e, dopo poco, si fondevano insieme formando un laghetto cristallino, che rifletteva il colore del cielo.
I due blocchi di ghiaccio sentivano ancora la loro freddezza, ma anche la loro fragilità e la loro solitudine, la preoccupazione e l’insicurezza comuni. Scoprirono di essere fatti allo stesso modo e di aver bisogno in realtà l’uno dell’altro.
Arrivarono due cardellini e un’allodola e si dissetarono. Gli insetti vennero a ronzare intorno al laghetto, uno scoiattolo dalla lunga coda morbida ci fece il bagno.
E in tutta questa felicità si rispecchiavano i due blocchi di ghiaccio che ora avevano trovato un cuore.

A volte basta un solo raggio di sole. Una parola gentile. Un saluto. Una carezza. Un sorriso. Ci vuole così poco a fare felici quelli che ci stanno accanto. Allora, perché non lo facciamo?

mercoledì 28 settembre 2011

Cos’è il SUCCESSO che tutti inseguono [II°]

Dopo la “Prima Parte” di questo argomento concludo la riflessione con qualche esperienza personale…

Quando avevo 16 anni e giocavo a calcio discretamente in una società satellite del Padova Calcio avevo rinnegato Dio dalla mia vita e avevo puntato tutto sulla carriera calcistica. Tanto sacrificio: studio di notte, allenamenti tutti i giorni, ma poi mi ripagavano il vivere l’emozione della partita, dell’essere capitano, del segnare i gol importanti. All’improvviso mi sono infortunato e il mondo mi era crollato addosso. Ho evitato l’operazione al ginocchio, ma sono rimasto solo. Nessuno della società che mi avesse chiamato, se non una telefonata del mister per capire se sarei rientrato a breve. A detta dei medici ero spacciato. Così ho iniziato tre mesi tra lastre, fisioterapia, laser terapia e piscina per la riabilitazione. Ogni giorno facevo Padova-Monselice per le cure senza prospettive positive. Ero arrabbiatissimo con tutti. Soprattutto con Dio. Non parlavo e soffrivo. Solo i miei genitori mi erano vicini. Ricordo i viaggi nel silenzio totale e mia mamma che irrompeva mettendo le cassette di Bennato per farmi riprendere tra le note di “Non farti cadere le braccia”… Sono tornato dopo 6 mesi a giocare. Le prime partite sembrava non avessi mai giocato a calcio. Più volte pensavo di mollare. Poi a fatica sono tornato ai miei livelli riconquistando il posto da titolare e vincendo anche un torneo importante.  Nel frattempo mi sono convertito tornando a Nuovi Orizzonti.

La lezione dell’infortunio però era stata fondamentale.

Senza l’orizzonte “eternità” tutto è effimero. L’eternità è scritta nel cuore dell’uomo: i giovani sui muri scrivono “ti amo… per sempre”! Ce l’hanno dentro il “forever”… 

“Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa o qualcuno. Se l’uomo rifiuta Dio si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei!” Dostoevkij 


Quell’imprevisto sul percorso che sembrava una pietra d’inciampo in realtà si è rivelata la roccia su cui ripartire a costruire la mia giovane esistenza di adolescente. Il silenzio, l’aver raggiunto un apice e improvvisamente perderlo, il riflettere sull’accaduto e tanto altro avevano smosso in me qualcosa. Incredibile: avevo capito come nella mia scala di valori avevo tolto Dio e messo al primo posto il calcio. Il calcio?! Qualsiasi cosa nella scala di valori della vita prima o poi potrà crollare e se così capitasse come mai potremmo reagire se non disperandoci e bestemmiando per la nostra stupidità!? Ero tornato a giocare da cristiano e vinta l’ultima partita ho lasciato il calcio per andare a “giocarmi la vita” su altri campi, anzi l’unico “campo” per cui si può – a ragione – vendere tutto per acquistarlo! Seguire Gesù a Roma a 18 anni è stata una scelta radicale, costosa in termini di affetto e di “salto nel vuoto”, ma guidata dalla spinta nel cuore e dalla nuova consapevolezza che nulla conta rispetto al realizzare il “Sogno di Dio” sulla nostra vita! Nonostante le persecuzioni, i pianti per la lontananza dalla famiglia e il nuovo taglio dopo quello già sperimentato in seminario minore, la durezza della vita comunitaria, ero pieno nel cuore di una gioia imparagonabile.

Dunque… Primo: il Vangelo! Prima Dio! Poi tutto il resto può starci…

La scala di valori deve avere al primo posto un punto che non può crollare mai per essere sicura, per questo può essere solo Dio. Altrimenti si è come un ragno che costruisce la propria ragnatela con il filo portante così fragile che prima o poi finirà per morire aggomitolato nella sua stessa creazione di fili intessuti.

Cos’è per me il successo? E’ la realizzazione della persona, la pienezza della gioia che solo in Dio si può trovare scoprendo quel progetto meraviglioso che fin dall’eternità ha pensato per ciascuno di noi! Si tratta di scoprirlo e realizzarlo nel quotidiano facendo bene il bene. Per alcuni sarà nel sacerdozio, per altri nel matrimonio, per alcuni essendo padri o madri, per altri lavorando onestamente là dove la vita ci ha posto… Non è importante il cosa, ma che sia la volontà di Dio e che la si faccia con Amore vero scoprendo in esso il Suo Progetto su di noi!

La vita è una e solo in Dio una persona si può realizzare pienamente. Fin da piccolo mi dicevo: quando sarò grande voglio voltarmi indietro e poter essere soddisfatto di come ho speso la mia vita. La mia ricerca di autenticità e successo mi ha portato a scoprire cosa Dio volesse da me e ogni giorno cerco solo di capire questo nel presente! Il successo, la pienezza della gioia, passano per l’amore anche nelle difficoltà e nella sofferenza, nell’amare come Gesù ha amato, così come ci ha lascito come comandamento in Gv 15,9-11. Se inseguiamo altri scopi, se viviamo senza Dio, se non siamo nell’amore… moriamo nell’anima. Ne fanno esperienza tutti: credenti e non. La coscienza prima o poi ci presenta il conto e anche se la possiamo mettere a tacere o se col tempo ci assuefacciamo al peccato, prima o poi la vita ci farà scontrare con la realtà. Meglio prima allora…

Senza l’orizzonte “eternità” tutto è effimero.

L’eternità è scritta nel cuore dell’uomo: i giovani sui muri scrivono “ti amo… per sempre”!

Ce l’hanno dentro il “forever”… anche se non sono aiutati a costruirlo davvero.

Solo Dio può rispondere al bisogno che Lui stesso ha impresso dentro di noi.

Dostoevkij diceva: “Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa o qualcuno. Se l’uomo rifiuta Dio si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei!”

lunedì 26 settembre 2011

Cos’è il SUCCESSO che tutti inseguono [I°]

La parola “successo” è un participio passato del verbo latino “succedere”, che letteralmente significherebbe “venire dopo”. Si tratta di un sinonimo del verbo “riuscire”, “costruire un dopo”. Già questo ci fa intendere come il successo non sia qualcosa che fortunosamente caschi dall’alto, ma un costruirsi giorno dopo giorno qualcosa… per un dopo! Se guardiamo il successo di una persona costruitosi in brevissimi tempi, ad esempio attraverso la fama con un Reality Show, rispetto a chi per anni si è fatto strada nella sua carriera artistica attraverso un impegno professionale faticoso, noteremo la sostanziale differenza di una rapida e notevole visibilità.

Eppure i primi diventano meteore che vanno e vengono, ma presto svaniscono. I secondi, pur tra alti e bassi, riemergono quasi sempre con qualcosa di artisticamente valido e sorprendente, capaci di restare “sulla cresta dell’onda”. Purtroppo i mass media ci presentano la parola “successo” come l’apparire in tv, avere notorietà, essere famosi e ricchi… nient’altro. In realtà il successo è la riuscita e il raggiungimento degli scopi principali di una vita, ovvero l’autorealizzazione!

Un tempo si contrapponeva l’avere all’essere. Oggi – nonostante resti il binomio in una plastica dicotomia – si potrebbe parlare maggiormente del dilemma tra l’essere e l’apparire. Quasi come se si valesse in quanto persona non per i propri contenuti, le proprie competenze, la propria storia o la sola bastevole dignità di essere umano, ma per ciò che appare e soprattutto per ciò che si riesce a mettere in mostra.


Il bisogno di felicità e di realizzazione è scritto nel cuore dell’uomo, non è negativo di per sé. Il problema è quando si usano mezzi scorretti per raggiungere il proprio scopo sapendo che “il fine non giustifica i mezzi”. Altro problema si verifica quando i mezzi diventano il fine; ovvero quando tutto ciò che in natura esiste per vivere bene diventa invece un “idolo”, un fine da perseguire e si punta tutto per avere belle donne o uomini, per avere cose come auto o altro e si punta sull’avere o sui soldi… o sull’apparenza.

Tutte cose o obiettivi che durano ben poco e che prima o poi presenteranno il conto senza sconti, perchè si sarà costretti dalla vita a guardarsi indietro in verità dovendo fare un bilancio su cosa si sia costruito di davvero valido, duraturo e positivo. Gesù sintetizza tutto in modo folgorante: “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi si perde o perde la propria anima?” Nulla… Proprio nulla… E’ il paradosso di una casa – o un castello principesco – costruito sulla sabbia che in meno di un baleno crolla miseramente.

Oggi si intende la parola successo come negativa perché si vorrebbe “successo” senza fatica, senza “venir dopo”, senza costruire. Oggi prevale il tutto e subito perché il consumismo è entrato nelle relazioni umane e tutto, compreso le persone ed i sentimenti, sono divenuti merce. La televisione ha una grande responsabilità a riguardo. I mass media hanno una grande responsabilità anche sui modelli che propongono come “prototipi di felicità”! Le conseguenze sono devastanti: ragazzine anoressiche, sessualità disordinata con diffusione di malattie, aborti, cuori feriti, suicidi, depressioni…

Allora puntiamo al vero successo, ovvero alla realizzazione del “sogno di Dio” su di noi, l’unico capace di donarci la pienezza della felicità già sulla Terra e in futuro in modo eterno e permanente! In fondo Pascal con la sua “scommessa” aveva ragione. Costruiamoci passo passo una casa che qui si può edificare, ma che abiteremo davvero – come afferma Chiara Lubich – solo in Cielo.

mercoledì 21 settembre 2011

L'alfabeto orante

Un vecchio ebreo, giunto a tarda età con la mente e la vista appannate, non riusciva più a leggere il suo libro di preghiere e la memoria, dopo aver iniziato anche l'orazione più comune, latitava e si confondeva. Allora decise di fare così: «Reciterò ogni giorno al mattino e alla sera l'alfabeto ebraico per cinque volte e tu, Signore, che conosci tutte le nostre preghiere, metterai insieme le lettere perché compongano le orazioni che non so più ricordare e dire». Le vie del collezionismo sono infinite. Un mio conoscente ha una straordinaria raccolta di alfabeti antichi e moderni, trascritti su fogli o tavolette. Come emblema ideale egli ha adottato questo apologo ebraico che trovo bellissimo nella sua ingenuità e innocenza di cuore. Lo sfarfallio delle lettere è affidato a Dio perché lo ricomponga in un inno di lode. Se pensiamo alla potenza di quei segni, dobbiamo restare incantati. Con essi si sono intessuti i più dolci colloqui d'amore, i canti più armoniosi, le invocazioni più drammatiche di salvezza, i racconti più affascinanti, le memorie decisive della storia di una persona e di un popolo e si potrebbe proseguire a lungo in questo catalogo di meraviglie create attraverso gli alfabeti umani, non sempre scritti (si pensi a quelli gestuali di certe culture o dei sordomuti). Eppure, a causa di quelle stesse lettere sono scoppiate guerre, si sono alimentati odi tra fratelli, si è prodotta una valanga di pornografia, si sono ingannate tante menti con false ideologie e così via, in un altrettanto sterminato catalogo di orrori verbali e grafici. È bella, allora, la scelta di quel vecchio ebreo che fa salire al cielo il minimo che ancora conosce e lo mette nelle mani e sulle labbra di Dio perché possa ricreare la più meravigliosa di tutte le preghiere. È, questa, la potenza della semplicità di cuore che Dio ama con infinita tenerezza più dell'eloquenza dei dotti.

martedì 20 settembre 2011

Centralità e arrendevolezza

Per poter superare l'assenza di Dio, Dio ci deve interessare davvero. Altrimenti non possiamo incontrarlo. Detto secondo una terminologia evangelica: per poter pregare noi dobbiamo immergerci nella situazione che è definita Regno di Dio. Dob-biamo riconoscere che Egli è Dio, l'Unico, “dobbiamo arrenderci a Lui” (A. Bloom). Il rapporto con Lui non può sopportare compresenze che ne offuschino la centralità.
E’ la stessa cosa che avviene nelle relazioni umane; quando un uomo e una donna sono innamorati, gli altri non sono più così importanti, come dice un vecchio detto: “Quando un uo¬mo ha una sposa, egli non è più circondato da uomini e donne, ma dalla gente”.
Se siamo come il giovane ricco che non poteva seguire Gesù perchè era troppo ricco e il denaro si opponeva all'incontro, come potremo superare il muro dell'assenza? Quando preghiamo, che cosa desideriamo ottenere attraverso la profonda relazione che vogliamo instaurare con Dio? Forse semplicemente un altro periodo di felicità, ma quasi certamente non siamo disposti a vendere tutto quello che abbiamo per acquistare la perla di grande valore (Mt 13,44-46).
Quali nostre “ricchezze” divengono meno importanti ed essenziali, quando ci rivolgiamo a Dio? Esse dovrebbero divenire pallide e grigie, fare solo da sfondo all'unica figura che interessa (come nel detto più sopra citato).
“Dio è disposto a restare al di fuori, a sopportarlo completamente come una croce, ma non è disposto a rappresentare una parte marginale nella nostra vita” (A. Bloom).

lunedì 19 settembre 2011

Ecco la tua madre!

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

E’ finito il tempo delle feste. E’ finito il tempo dei fiumi di gente che acclamano Gesù come Messia. Presso la croce c’è un manipolo di gente. Un misto di soldati, scribi e parenti stretti. Anche i discepoli sono scappati tutti. Neanche loro, “gli amici”, “i suoi”, come il Vangelo li chiama, hanno retto il colpo della paura di essere uccisi. Fortunatamente ce n’è almeno uno. Il più piccolo. E’ Giovanni.

La sua adolescenza passata dietro a quest’uomo meraviglioso che è Gesù lo rende più forte, più coraggioso, più determinato di ogni rischio. Gli altri avrebbero tacciato questa sua audacia con il titolo di pericolosa imprudenza. Ma in realtà l’imprudenza di questo ragazzino, rende legale la deposizione testamentaria di Cristo. La sua presenza fà sì che l’eredità più preziosa del Maestro non vada perduta, non diventi demaniale, ma venga passata con atto esplicito e consapevole a lui e di conseguenza a ciascuno di noi. Sotto quella croce, in quel primo pomeriggio oscuro della storia che noi chiamiamo Venerdì Santo, Gesù converte la propria madre da proprietà privata a possesso di tutta l’umanità. Sotto quella croce, la maternità di Maria si allarga fino ad abbracciare ogni uomo e ogni donna di tutti i tempi e luoghi. “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa”. Non possiamo più vivere bene senza fare entrare veramente questa nuova Madre nelle nostre case. Senza sentire la responsabilità di spalancare le porte di ciò che siamo alla maternità di questa donna. Perchè essa rappresenta la modalità che Dio ha scelto per rendere più sopportabile l’ora sempre desta della croce. Senza di lei, che conficcata sotto le nostre croci ci ricorda di chi siamo figli, rischiamo di credere al buio delle temporanee eclissi che di tanto in tanto oscurano la nostra esistenza. E credere ad esse può essere troppo pericoloso, specie quando gettiamo la spugna, rischiando di farle diventare definitive più che momentanee. La sofferenza di questa madre trafitta dal dolore più grande che qualcuno possa provare, cioè la morte di un figlio, l’abilita a comprendere ogni singolo frammento dell’umana sofferenza. La rende credibile davanti a quei perchè senza risposta che gettano nella disperazione molti di noi. E’ Madre perchè ci ha partoriti con doglie dolorose sotto la croce del nostro Fratello maggiore. Ella soffre, ma da quella sofferenza nasce la Chiesa, nasciamo noi, nasce ogni tentativo di essere felici. E Giovanni è lì accanto a Lei, e aspetta assieme ad ella la fine di questo parto, i tre giorni più lunghi della storia.

Santa Maria, Madre sotto la croce, abbassa il tuo sguardo verso i nostri volti e riconosci nei nostri occhi la somiglianza con Cristo. Siamo noi quel sogno di Dio che molto spesso abbiamo rovinato o nascosto dietro scelte sbagliate e strade senza uscita. Siamo noi quelli fatti ad immagine e somiglianza di quel Dio che un giorno ti rese madre.


Santa Maria, Madre sotto la croce, occupati di ciascuno di noi, con la stessa cura e la stessa dedizione che hai avuto nei confronti di Gesù. Esponiti anche per noi alla sofferenza di amare un figlio, e se è vero che l’amore di una madre è più forte di ogni cosa, facci sperimentare questa forza che ci riscatta persino dalla morte.


Santa Maria, Madre sotto la croce, conficcati sui calvari di tanti nostri fratelli e sorelle che da anni soffrono in letti di ospedali o in giacigli diventati prigione. Fà che non maledicano mai la vita, e seppur nelle difficoltà e nel lungo patire trovino la forza di resistere alla tentazione di farla finita. Abilita ciascuno di noi ad accompagnarti in queste soste e spronaci a non disertare la compagnia a questi nostri fratelli crocifissi.


Santa Maria, Madre sotto la croce, affretta il passare della luna sulla traiettoria del sole, e ricordaci continuamente che il buio, come la croce, sono solo momenti passeggeri di un giorno senza tramonto. E se le eclissi di senso durano di più delle nostre forze, prendici fra le tue braccia e stringici al tuo petto così da sentire il battito accellerato del tuo cuore. Ci accorgeremo così che ogni singolo battito è uno slancio di amore per ciascuno di noi e per ciascun uomo di ogni tempo e di ogni dove. E troveremo la forza di rialzarci e ricominciare, certi che la tua maternità non ci lascerà mai soli. Forse era questo che intendevi quando confidasti che alla fine il Tuo Cuore Immacolato trionferà. E’ il trionfo della tua maternità. E’ il trionfo di Dio.


Santa Maria, Madre sotto la croce, noi che nell’Ave Maria ci raccomandiamo per l’ora della nostra morte, facci compagnia specialmente in quell’ultima ora, quando nessuno di chi ci ama potrà riempire quell’isolamento e la paura per l’ignoto oscurerà le nostre speranze. Tu che sei chiamata la “porta dei cieli”, spalanca le tue braccia anche per noi e conducici mano nella mano verso Tuo Figlio. Così che guardandolo finalmente faccia a faccia capiremo chi siamo e la nostra inquietudine troverà finalmente la pace.

mercoledì 14 settembre 2011

Messaggio di Gesù


Perchè vai in confusione e ti agiti per i problemi della vita? Lasciami la cura di tutte le tue cose e tutto andrà meglio. Quando ti abbandonerai in me tutto si risolverà con tranquillità secondo i miei disegni.
Non disperare, non mi rivolgere una preghiera agitata, come se tu volessi esigere da me il compimento dei tuoi desideri. Chiudi gli occhi dell'anima e dimmi con calma: Gesù, io confido in Te.
Evita le preoccupazioni, le angustie e i pensieri su quello che possa succedere in futuro, non sconvolgere i miei piani, volendomi imporre le tue idee. Lasciami essere Dio e agire con lucidità. Abbandonati in me con fiducia, riposa in me e lascia nelle mie mani il tuo futuro. Dimmi frequentemente: Gesù, io confido in Te.
Quello che ti fa' piu male sono i tuoi ragionamenti e le tue idee personali e voler risolvere le cose alla tua maniera. Quando mi dici Gesù, io confido in Te, non essere come il paziente che chiede al medico di essere curato, però gli suggerisce il modo in cui farlo. Lasciati portare nelle mie braccia divine, non avere paura. Io ti amo. Se pensi che le cose peggiorino o si complichino nonostante la tua preghiera, continua ad aver fiducia.
Chiudi gli occhi dell'anima e confida. Continua a dirmi a tutte le ore: Gesù, io confido in Te. Ho bisogno delle mani libere per operare. Non mi legare con le tue preoccupazioni inutili. Satana vuole questo!
Agitarti, angustiarti, levarti la pace. Confida solo in me. Affinchè tu non ti preoccupi, lascia in me tutte le tue angustie e dormi tranquillamente. Dimmi sempre: Gesù, io confido in Te e vedrai grandi miracoli. Te Io prometto sul mio amore.

giovedì 8 settembre 2011

L’interiorità come dettaglio

La vita è fatta di dettagli, di piccole cose che sono disposte l’una accanto all’altra, senza che tu ti accorga veramente di quanto siano importanti se non perchè ti fermi a guardarle in silenzio, con attenzione. Sono i dettagli dei volti di chi ti circonda, delle sfumature del cielo ad una certa ora del pomeriggio, dei profumi della campagna dopo la pioggia, dei caratteri eleganti di un libro, delle parole raffinate dei poeti, delle suggestive musiche delle radio in lontananza, delle tue mani che cominciano a solcarsi di tempo, dei ricordi che ti struggono di nostalgia il cuore. Sono i dettagli di un Dio che scrive nel dettaglio e non a grandi linee. Quando uno mi chiede cosa sia la vita spirituale, io rispondo che significa accorgersi del dettaglio, e allo stesso tempo dell’unità profonda di ogni singolo pezzo con un insieme di cui ne avverti solo una misteriosa presenza senza però vederla faccia a faccia.  Questa vita è un mistero che a volte capisci e altre volte ti lascia senza parole. Non può essere tutto qui e basta. E’ troppo piccolo lo spazio di una vita a contenere l’onda di stupore che si innalza dentro cuore. Soffro molto per chi si costringe a credere a un realismo senza speranza di eterno. Soffro perchè solo guardando al di là del muro di questo tempo e di questo spazio che viviamo, tutto acquista un senso vero, profondo. Cosa varrebbe davvero la pena se tutto finisse in un burrone di niente. Allora ti svegli, smetti di avere paura e cominci a vivere, costruendo nel dettaglio, pezzo dopo pezzo, una barca che ti traghetti di là, piu in là, oltre…ma pur sempre ora, non domani, non dentro la tua testa, ma adesso e nei fatti.