giovedì 31 marzo 2011

Liberarci dalla paura

Dobbiamo essere liberi dalla paura. Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo da parte del potere corrompe chi ne è soggetto. È una donna fragile a vedersi, con un volto dagli occhi che ti trafiggono: è Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, costretta al carcere per anni e ora agli arresti domiciliari dal regime militare birmano, pur essendo la figlia dell'eroe dell'indipendenza di quel Paese. Ho raccolto queste sue parole sulla paura perché sono quasi il programma della sua lotta per la libertà. Non c'è bisogno di moltiplicare i commenti attorno a una verità così lampante. La paura, infatti, è la radice di tante vergogne che si commettono. Ed è per questo che il grande Montaigne, nei suoi Saggi, non esitava a confessare: «La paura è la cosa di cui ho più paura». La paura di perdere una carica ti vota all'adulazione, all'inganno, all'umiliazione. La paura di perdere un affetto ti spinge alla gelosia e ad atti meschini. La paura di perdere il predominio sugli altri ti rende implacabile e fin crudele. La paura di perdere la fama ti fa vanitoso e fatuo. Potremmo andare avanti a lungo in questa litania di debolezze e miserie; perciò è giusto invocare Dio affinché ci liberi da ogni paura e viltà e ci renda coraggiosi e sereni. Detto questo, però, vorrei distinguere la paura da un'altra realtà che usiamo di solito come sinonimo: il timore. Spesso, infatti, si crede di essere audaci perché non si ha più rispetto dell'altro e si diventa, così, arroganti, insolenti, impertinenti. Se la paura può essere un difetto, il timore è una virtù. Per questo motivo nella Bibbia si legge: «Il timore del Signore è principio di sapienza» (Proverbi 1,7).

mercoledì 30 marzo 2011

E' fuori di sè!

Analizzando una “giornata tipo” di Gesù si può inizialmente concludere, come fanno i suoi parenti, dicendo che “è fuori di sè”!
Eppure… quanto bisogno c’è oggi di “pazzi d’Amore” che profeticamente svelino al nostro cuore che la realtà è diversa da come normalmente la vediamo, che c’è un oltre, un “velo” da scoprire, per contemplare orizzonti di luce e incamminarsi così sull’unica via per la pienezza della gioia nel “dono di sè”.

Per approfondire questa riflessione guardiamo insieme l’agenda di Gesù scoperta in un libro chiamato “Vangelo”…
Se leggiamo la giornata tipo di Gesù come ce la presenta l’evangelista Marco in Mc 1,29-39 notiamo che iniziando dall’uscita dalla Sinagoga incontra la suocera di Pietro, successivamente si lascia completamente “divorare” dalla folla di persone ammalate, indemoniate o comunque bisognose, in cerca di ascolto ed aiuto, fino a quando la sera si ritira in preghiera la notte per ricominciare nuovamente in nuovi incontri là dov’è certo di dover andare… concludendo il tragitto delle “48 ore tipo” entrando di nuovo in Sinagoga. Mi colpisce tanto la dimensione di cuore aperto sul mondo di Gesù! Tutto inizia dalla Sinagoga e là si conclude. Il cuore della giornata è fatta di preghiera e carità. Mi colpisce la sua smisurata misura di amore e la capacità di iniziare in Dio e di ritornare a Lui dopo aver donato completamente se stesso per essere Suo tramite. E’ chiaro che Gesù aveva una marcia in più, almeno nel saper canalizzare le sue forze in ciò che è la volontà di Dio senza disperdersi, ma questo mi richiama innanzitutto ad iniziare ogni giornata senza prescindere dall’interrogarmi su quale sia la volontà di Dio per me nell’oggi e dal prendere da Dio nella preghiera la forza per portare Lui ovunque vada e non il mio io.

Capisco la difficoltà dei suoi parenti nel dire “E’ fuori di sé” in Mc 3,20-21 quando vedono che non ha neppure il tempo per mangiare.

Forse il segreto di Gesù è proprio in quel “essere fuori di sé”! Troppe volte ci ripieghiamo su noi stessi, facciamo le vittime oppure crediamo che “tutto giri attorno a noi”. Invece Gesù ci mostra come siamo chiamati ad essere proiettati verso l’altro in cui riconoscerLo, accoglierLo e amarLo. E’ la follia dei santi, cioè di quanti lo hanno imitato realizzando in pieno la propria umanità: donarsi completamente fino all’estremo. Quanto vorrei si potesse dire dire anche di me che sono “fuori di me”, quanto vorrei essere un “pazzo” d’Amore! Costi quel che costi.

domenica 27 marzo 2011

Sulla sofferenza

Vivere da cristiano, significa accettare che la sofferenza faccia parte del nostro percorso quotidiano, riuscendo così a «viverla» senza subirla. E’ vero che quando viviamo una grande sofferenza, in un primo tempo siamo come destabilizzati per quanto riguarda i nostri punti di riferimento, le cose su cui ci appoggiamo abitualmente. Ciò che ci sembrava essenziale per vivere, ora diventa molto secondario, il nostro sguardo sulle cose della vita si trasforma, ed appare una certa lucidità di vita. Vivere la sofferenza, significa riconoscere i nostri limiti, le nostre debolezze, le nostre fragilità umane. Significa fare di tutto questo un percorso di conversione interiore e di avanzamento spirituale con il Cristo. Vuol dire prendere con lui la via della croce.
La croce di Cristo è il passaggio obbligato di ogni vita spirituale. Paradossalmente, essa è la via dell'Amore. Non possiamo passare direttamente dall'incarnazione alla risurrezione, poichè tra le due c'è la passione, la croce, la morte. Gesù non ha evitato questo passaggio, anzi ne ha fatto il luogo del combattimento e della vittoria contro le potenze del male; ne ha fatto il segno irreversibile del suo amore per gli uomini e per il Padre, e il segno dell’ amore del Padre per 1'umanità. La croce è uno scandalo, poichè ogni sofferenza è una prova, una pietra d'inciampo. Ma uno scandalo da vivere oggi con il Cristo e non nella ribellione contro di lui.
Pierre Blanc

giovedì 24 marzo 2011

Il prato della nostra vita

Un uomo aveva deciso di curare il praticello davanti alla sua casetta, per farne un perfetto tappeto verde “all’inglese”.
Dedicava al suo prato tutti i momenti liberi. Era quasi riuscito nel suo intento quando, una primavera scoprì che nel suo prato erano cresciute alcune margheritine, dai brillanti colori gialli. Si precipitò a sradicarli. Ma il giorno dopo altri due fiori gialli spiccavano nel verde del prato.
Comprò un veleno potente. Niente da fare. Da quel momento la sua vita divenne una lotta contro i tenaci fiori gialli, che ad ogni primavera diventavano più numerosi.
“Che posso ancora fare?”, confidò scoraggiato alla moglie. “Perché non provi ad amarli?” Gli rispose tranquilla la moglie. L’uomo ci provò. Dopo un po’, quei brillanti fiori gialli gli sembrarono un tocco d’artista nel verde smeraldo ritti sul suo prato. Da allora vive felice.
Quante persone ti irritano. Perché non provi ad amarle?

Questa fiamma mi tortura

Per parte mia, ritengo che coloro che sono in inferno sono tormentati dai colpi dell'amore. Cosa infatti c'è di più amaro e più violento dei tormenti dell'amore ? Coloro che sanno di aver peccato contro l'amore, portano in sè una condanna ben più grande di tutti i castighi più temuti. La sofferenza suscitata nel cuore dal peccato contro l'amore è più lacerante di ogni altro tormento.

È assurdo pensare che i peccatori in inferno sono privati dell'amore di Dio. L'amore è figlio della conoscenza della verità, la quale, stando a quel che tutti dicono, viene data senza riserve. Con la sua stessa potenza, l'amore agisce in due modi. Tormenta i peccatori, come succede quaggiù ad un amico di tormentare il suo amico. E rallegra in lui coloro che hanno custodito quello che occorreva. Questo è, secondo me, il tormento dell'inferno : il rammarico. Lassù invece, le anime sono nell'ebbrezza delle delizie.
Sant'Isacco Siriano (VII° secolo),
monaco nella regione di Ninive (nell'Iraq attuale)

mercoledì 23 marzo 2011

San Giuseppe

Meditando sulla figura di san Giuseppe ne ho tratto un modello per tutti noi eloquente ed urgente per l’uomo di oggi. Egli è stato inanzitutto uomo, poi sposo e infine padre. Oggi mancano proprio uomini veri, sposi fedeli e padri che non lo siano solo nel generare i figli alla vita, ma capaci di generearli e rigenerarli giorno dopo giorno nell’amore responsabile.
Quali sono le caratteristiche di questo santo così grande da esser scelto per accompagnare una creatura come Maria nell’accogliere il Figlio di Dio, Dio stesso come Verbo Incarnato?
Prima di tutto è stato un uomo di fede, capace di vedere oltre il visibile e di sperare contro ogni speranza come i grandi Patriarchi. Inoltre ha vissuto nella contemplazione, immerso in un silenzio non vuoto, ma pieno di Dio, capace di docilità allo Spirito, seguendo la Voce di Dio, addirittura fidandosi non di un angelo come Maria, ma di un sogno in cui un angelo gli parla, potendo così sposare Maria e tempestivamente rifugiarsi da profugo in Egitto per difendere il piccolo Gesù e la sua dolcissima sposa. Altra formidabile caratteristica è stata la laboriosità cercando di guadagnarsi il pane quotidiano con dignità a tal punto da essere identificato come “falegname” e da identificare Gesù stesso come il “figlio del falegname”.
Ha vissuto la famiglia, per molti anni in un focolare domestico fatto di intimità e semplicità, ma di profondo amore ed unità con Maria e Gesù. Più di tutto mi colpisce la sua umiltà vera, fatta di nascondimento servizievole, capace di affiancare Gesù e Maria senza mai appropriarsene. Inoltre è stato capace di amare la creatura più bella mai esistita, Maria, senza mai sentirsi secondo, ma semplicemente al posto giusto, perchè anch’egli amava al primo posto Dio come dovremo fare tutti noi. Immagino poi un amore per Gesù bambino fatto di sentimenti affettuosi, tra le sue braccia, con carezze, ricevere carezze… Dio gli affida ciò che ha di più prezioso, una parte di sé e nella fase più delicata di un’esistenza umana, fragile ed indifesa.
Giuseppe non ha mai avuto paura di amare. I più grandi santi sono quelli che hanno avuto sentimenti vivi, come Maria e Giuseppe verso il bambino Gesù. Penso anche ad Antonio di Padova che abbraccia Gesù bambino! Non dobbiamo avere paura di amare troppo, piuttosto di non amare abbastanza, di abituarci all’amore e così di farlo morire.
Giuseppe si è fidato di Dio non seguendo l’io. L’uomo di oggi è sempre portato a primeggiare e a concretizzare i propri sogni a discapito di chiunque gli sia dinnanzi, Giuseppe invece concretizza i sogni di Dio docile alla Sua Voce: nel nascondimento si fida, non cerca notorietà… ed ecco cosa Dio compie in Lui innalzandolo ed esaltandolo oggi e nella storia. Non dobbiamo avere paura di dire di sì a Dio, all’inizio ci sono prove, potature, ma alla fine la pienezza della Gioia!

martedì 22 marzo 2011

Semplice o ingenuo?

La semplicità viene dal cuore, l'ingenuità dalla mente. Un uomo semplice è quasi sempre un uomo buono; un uomo ingenuo può essere un farabutto. Perciò l'ingenuità è sempre naturale, mentre la semplicità può essere frutto dell'esercizio. Portava un nome glorioso nella Bibbia, legato a quell'ebreo che era riuscito a divenire viceré d'Egitto. Ma quel nome, Giuseppe, aveva un significato etimologico a prima vista modesto, connesso al verbo ebraico «aggiungere». E il padre legale di Gesù che oggi festeggiamo fu un uomo che si "aggiunse" all'evento grandioso che stava compiendosi nella sua sposa, offrendo la sua semplice e silenziosa disponibilità. Ci pare, allora, significativo riflettere oggi su due termini talora usati come sinonimi, semplicità e ingenuità. Lo scrittore francese ottocentesco René de Chateaubriand ci aiuta, invece, a distinguerli e a scoprirne la profonda differenza. Sì, perché ingenui si nasce e, per questa via, si cade in una serie di incidenti ma anche di cattiverie, compiute forse senza malizia ma capaci di generare sofferenze e mali. La sprovvedutezza e la dabbenaggine di un ingenuo non sono una virtù, anzi, sono sorgente di sciocchezze, di imprudenze, di sventatezze. La semplicità, al contrario, è una conquista che nasce da un'ascesi e da una purificazione della mente e del cuore. Non per nulla il poeta russo Sergej Esenin diceva che «mostrarsi semplici e sorridenti è un'arte suprema». Dio stesso è semplice nella sua unità e unicità assoluta, ma non è certo né ingenuo né banale. E allora raccogliamo la lezione di san Giuseppe che potremmo sintetizzare col motto di un altro poeta, l'inglese William Wordsworth: «Vivere con semplicità e pensare con grandezza».

lunedì 21 marzo 2011

Il tuo capitale

Un riccone arrivò in Paradiso.
Per prima cosa fece un giro per il mercato e con sorpresa vide che le merci erano vendute a prezzi molto bassi.
Immediatamente mise mano al portafoglio e cominciò a ordinare le cose più belle che vedeva.
Al momento di pagare porse all'angelo, che faceva da commesso, una manciata di banconote di grosso taglio.
L'angelo sorrise e disse: "Mi dispiace, ma questo denaro non ha alcun valore".
"Come?", si stupì il riccone.
"Qui vale soltanto il denaro che sulla terra è stato donato", rispose l'angelo.
Oggi, non dimenticare il tuo capitale per il Paradiso.

martedì 15 marzo 2011

Sceglie la vita la donna che si sente accolta

«La donna che ha deciso di abortire cambia idea quando si sente accolta, quando conosce esattamente quello che sta per accadere e non si sente sola nell’affrontarlo». Così Paola Bonzi, responsabile del Centro di aiuto alla vita della clinica Mangiagalli di Milano commenta la legge approvata dal governo Texano che stabilisce che le donne che scelgono di abortire debbano obbligatoriamente effettuare un’ecografia del bambino prima dell’interruzione di gravidanza.

La legge è stata promossa dal Governatore Repubblicano Rick Perry con il sostegno della maggioranza, in gran parte composta da pro life. «L’obiettivo – spiega Sid Miller, deputato dell’assemblea legislativa del Texas che ha contribuito alla stesura del testo - è quello di assicurarsi che la donna prima dell’aborto abbia a disposizione tutte le informazioni disponibili, che comprenda le conseguenze mediche e psicologiche di quello che sta avvenendo e conosca tutti gli aspetti della procedura». L’ecografia dovrà essere effettuata tra le 24 e le 72 ore precedenti all’operazione, la donna potrà rifiutarsi di guardare le immagini o di ascoltare il battito del cuore ma le sarà comunque richiesto di ascoltare il medico spiegare quanto si evince dalla radiografia.

Dottoressa Paola Bonzi, un’ecografia può contribuire a far cambiare idea rispetto ad una scelta come quella di abortire?
Certamente può contribuire, anche se deve comunque essere accompagnata da un colloquio. L’esperienza mi ha insegnato che per la madre è essenziale il contatto umano, il supporto morale, per accogliere deve sentirsi accolta, non deve sentirsi sola. La donna sa benissimo che quello che porta dentro è un bambino, lo sente e lo vive giorno per giorno, non occorre l’immagine dell’ecografia per avere una percezione della vita. Ecco perché io dico sì all’ecografia se è un passo nel cammino di consapevolezza della donna.

Il provvedimento ha riacceso il dibattito sulla libertà d’aborto nello stato del Texas. L’opposizione insieme ai pro choice denuncia non solo l’inutilità della legge, ma anche le terribili conseguenze psicologiche di quella che definisce una “violenta coercizione”…
Le conseguenze psicologiche più pesanti sono quelle dell’aborto, da quando lo si comincia a pensare, a quando lo si vive, al dopo, è un vero e proprio calvario. Eppure nemmeno l’averlo vissuto mette al riparo dal compierlo di nuovo. Ieri per esempio ho incontrato una donna che mi ha raccontato di quanto fosse stata per lei terribile un’esperienza d’aborto avvenuta sei anni fa. Piangeva, non riusciva a parlare, singhiozzava nel descrivere ogni singola fase dell’interruzione di gravidanza, dettaglio dopo dettaglio, fra le lacrime ha raccontato di quando ha sentito un tubo che aspirava il suo bambino “Avevo la pancia piena e improvvisamente mi sono sentita svuotata”, ha detto. Poi ha raccontato di quello che ha vissuto dopo, i traumi, le difficoltà, eppure è venuta qui perché stava pensando di abortire nuovamente. La ragione? Aveva paura di non riuscire a mantenere il bambino. Lei lavora in nero a 900 euro al mese, il marito ne guadagna la metà lavorando saltuariamente come lavapiatti, c’è l’affitto di 700 euro da pagare e una bimba di due anni da crescere. Ecco, questa donna si sentiva sola, non è bastato l’aver già vissuto la terribile esperienza dell’aborto per convincerla a non farlo di nuovo, non l’avrebbe convinta nemmeno una fredda ecografia. Certo se, come immagino accada anche in Texas, l’ecografia si accompagna ad un colloquio, allora sì che le cose possono davvero cambiare…

Come può un colloquio far cambiare idea su una cosa così importante, immagino che una donna abbia già occasione di parlare con le persone a lei vicine prima di arrivare al consultorio, cosa dite in più rispetto ad altri?
Il colloquio è un momento delicatissimo, non è una chiacchierata tra amici, ma nemmeno un freddo interrogatorio, ci vuole molto equilibrio e professionalità, bisogna lasciare spazio ai sentimenti della donna qualunque forma prendano, sia essa il silenzio, la rabbia o le lacrime. La donna ha bisogno di sentirsi amata e non giudicata, e questo è il primo passo, a questo si aggiunge l’offerta concreta di aiuto e supporto, il che implica anche un sostegno economico che noi ove possibile cerchiamo di garantire. E straordinariamente giorno per giorno ci rendiamo conto che funziona, che l’accoglienza è il primo ingrediente per generare accoglienza.
tratto da "La Bussola"

Venga il tuo regno

Se guardassimo per il sottile, saremmo spaventati al vedere quanto l'uomo cerchi il suo tornaconto personale in ogni cosa, alle spalle degli altri uomini, nelle parole, nelle opere, nei doni, nei servizi. Ha sempre in vista il suo bene personale: gioia, utilità, gloria, servizio da ricevere, sempre qualche vantaggio per sé. Questo ricerchiamo e perseguiamo nelle creature, e anche nel servizio di Dio. L'uomo non vede nulla se non le cose terrene, come la donna curva di cui ci parla il vangelo, che era tutta riversa verso terra e non poteva drizzarsi (Lc 13,4). Nostro Signore dice che «nessuno può servire a due padroni, Dio e la ricchezza» e prosegue dicendo «cercate prima – cioè prima di tutto e innanzi tutto – il Regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,24.33).

Siate attenti dunque alle profondità che sono dentro di voi, e cercate solo il Regno di Dio e la sua giustizia – cioè cercate solo Dio che è il vero regno. Desideriamo questo regno e lo chiediamo ogni giorno nel Padre nostro. Il Padre nostro è una preghiera altissima e potentissima. Non sapete ciò che domandate (Mc 10,38). Dio è in persona il suo regno, il regno di tutte le creature ragionevoli, il termine dei loro moti e delle loro ispirazioni. Il regno che domandiamo, è Dio in persona, in tutta la sua ricchezza...

Quando l'uomo ha queste disposizioni, cercando, volendo, desiderando Dio solo, diviene lui stesso il regno di Dio e Dio regna in lui. Nel suo cuore allora regna magnificamente il re eterno che lo regge e lo governa; la sede di questo regno sta nel più intimo del suo animo.
Giovanni Taulero (circa 1300-1361),
domenicano a Strasburgo

domenica 13 marzo 2011

Una pillola per prevenire il divorzio

Matrimonio in crisi? Dagli Stati Uniti arriva la pillola che fa per voi, ma attenzione, raccomandano sempre gli americani: state lontani da Facebook.

Ad ogni cosa il suo rimedio, l’importante è che sia rapido e indolore, meglio ancora se funziona come la pillola di Mary Poppins, che con un poco di zucchero, va giù che è un piacere. Dopo la pillola per dimagrire, quella contro la caduta dei capelli, quella contro le rughe, contro lo stress, contro l’insonnia, e infine la ben più nota pillola color puffo, ecco che la “medicina” ci offre l’ultimo ritrovato in materia di rimedi: la pillola che combatte, o meglio previene, il divorzio. Non ci credete? Parola di Mett French, un medico e chiropratico americano che l’ha messa a punto e la sta proponendo a migliaia di coppie in crisi. Come funziona? Semplice, non ha più senso stare a chiedersi che cosa non va tanto iniziando a parlare dei valori condivisi della coppia finendo con l’accusa “tu ti sei scordato il nostro anniversario”. Non occorre litigare aspramente su chi si comporta peggio o su chi abbia iniziato per primo a “non essere più quello di una volta”, inutile insultarsi quotidianamente per delle banalità quando la soluzione è a portata di mano. Marito e moglie non devono fare altro che recarsi in Arizona alla Wellness Solution Clinic, ovvero clinica delle soluzioni del benessere (il nome è già tutto un programma) e rivolgersi al dottor Mett French. E’ stato lui infatti a sperimentare un farmaco che, a quanto pare, rafforza il legame che c’è tra i coniugi. Il segreto, secondo il dottor Stranamore, starebbe tutto in un ormone femminile: l’ossitocina. Normalmente rilasciato dall’organismo durante la gravidanza e l’allattamento per rafforzare il legame tra la mamma e il neonato e rilasciato anche durante i rapporti sessuali provocando la sensazione di appagamento e benessere nella coppia, l’ormone potrebbe funzionare da collante anche qualora la passione dovesse cominciare a scemare. Secondo il dottor French, sposato e padre di due bambine, sottoponendo entrambi i coniugi a questa terapia il risultato sarebbe quello di una maggiore empatia tra moglie e marito, tale da scongiurare la rottura definitiva. Sforzo minimo, massimo risultato.

Ma il divorzio negli Stati uniti si combatte anche con l’astinenza… da social network. Di nuovo dall’America infatti arrivano i risultati di uno studio secondo cui ben un matrimonio su cinque finisce a causa di tradimenti consumati attraverso facebook. Insomma, tra tag, post e poke spesso ci passa un po’ troppa confidenza, tanto da far vacillare numerose coppie. Anche l’Italia non è immune dalla pericolosa tendenza e per questo ci si attrezza. I mariti tengono sotto controllo i profili delle mogli, le donne si inventano identità fasulle per smascherare eventuali tradimenti, e naturalmente insieme alle statistiche arrivano anche i trucchi per non cadere nel trappolone e prevenire il divorzio: vietato entrare abusivamente nel profilo del partner, non spiare i messaggini, non fingersi un’altra persona.

Insomma, nell’era della comunicazione tempestiva e del rimedio immediato l’unica cosa a non essere al passo coi tempo è il dialogo di coppia, cimelio di tempi andati insieme al desueto sacrificio e all’attempato donarsi reciprocamente. Il rimedio giusto è sempre qualcosa di esterno, da assumere oralmente tre volte al giorno o da cui stare tecnologicamente distanti. La crisi della coppia è considerata alla stregua di un difetto estetico, antipatico come la calvizia e fastidioso come la prima ruga, e come tale va curato: facebook no, pillola sì, sale in quantità ridotte.

Invece per fortuna il matrimonio è un’altra storia, la crisi di coppia non è una patologia e quando è più profonda di una ruga esige un attento esame. Il legame per la vita si costruisce giorno dopo giorno, e altrettanto quotidianamente cresce, soffre, inciampa e ha bisogno di una pausa, una remise en form che non passa dalla Wellness clinic ma trova linfa in quella devozione fedele che ci si è promessi “per tutti i giorni della vita”.

sabato 12 marzo 2011

La pecora

Appena creata, la pecora scoprì di essere il più debole degli animali. Viveva con il continuo batticuore di essere attaccata dagli altri animali, tutti più forti e aggressivi. Non sapeva proprio come fare a difendersi.
Tornò dal Creatore e gli raccontò le sue sofferenze.
"Vuoi qualcosa per difenderti?", le chiese amabilmente il Signore.
"Sì".
"Che ne dici di un paio di acuminate zanne?".
La pecora scosse il capo: "Come farei a brucare l'erba più tenera? Inoltre mi verrebbe un'aria da attaccabrighe".
"Vuoi dei poderosi artigli?".
"Ah no! Mi verrebbe voglia di usarli a sproposito".
"Potresti iniettare veleno con la saliva", continuò paziente il Signore.
"Non se ne parla neanche. Sarei odiata e scacciata da tutti come un serpente".
"Due robuste corna, che ne dici?".
"Ah no! E chi mi accarezzerebbe più?".
"Ma per difenderti ti serve qualcosa per far del male a chi ti attacca...".
"Far del male a qualcuno? No, non posso proprio. Piuttosto resto come sono".

Siamo, in un certo senso, come piccoli animali senza nemmeno una pelliccia o denti aguzzi per difenderci. Ciò che ci protegge non è la cattiveria ma l'umanità: la capacità di amare gli altri e di accettare l'amore che gli altri vogliono offrirci.
Non è la nostra durezza a darci il tepore la notte, ma la tenerezza, che fa desiderare agli altri di scaldarci. La vera forza dell'uomo è la sua tenerezza.

venerdì 11 marzo 2011

Il conformista

Un uomo non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare deve seguire la maggioranza. Altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari- Conformarci è nella nostra natura. È una forza alla quale pochi riescono a resistere- Solo ai morti è permesso dire la verità. La sua ironia era tagliente e spesso amara e le righe che abbiamo proposto ne sono una prova folgorante. Come lo è questo terribile aforisma che osiamo trascrivere con esitazione, proprio sulle pagine di un quotidiano: «I giornalisti onesti ci sono. Solo che costano di più». Il pessimismo dello scrittore americano ottocentesco Mark Twain, l'autore delle Avventure di Tom Sawyer, è comunque una sferzata benefica contro la sonnolenza dei luoghi comuni, contro la deriva dell'opinione dominante, contro la banalità di un'esistenza comoda e superficiale, contro l'adulazione servile per interesse personale. Ecco, infatti, nel passo sopra citato la denuncia di quel conformismo a cui si piega il capo per non avere fastidi e soprattutto per ottenere vantaggi egoistici. Vorrei lasciare ancora la parola a Twain: «Non facciamo altro che sentire, e l'abbiamo confuso col pensare. E da questo nasce un risultato che consideriamo una benedizione: il suo nome è Opinione Pubblica. Risolve tutto. Alcuni credono che sia la voce di Dio». Lo scrittore non conosceva ovviamente la televisione e internet e si accaniva contro la stampa, ma se fosse qui oggi aggiornerebbe certe sue staffilate contro gli attuali comunicatori di massa. C'è, al riguardo, un'altra sua frase implacabile, ma sacrosanta, soprattutto nell'odierno circo mediatico: «Esistono leggi per proteggere la libertà di stampa, ma nessuna che faccia qualcosa per proteggere le persone dalla stampa». E continuava: «Una bugia detta bene è immortale».

mercoledì 9 marzo 2011

La chiave del cuore

"Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20).
Ecco il tempo favorevole per lasciare che Cristo tessa un capolavoro con la tua vita!
Ti auguro con questa poesia, di consegnare la chiave del tuo cuore a Gesù che bussa con gli occhi colmi di lacrime e il cuore gonfio d'Amore per te!

Rinnovami, Dio, come eterna primavera.
Rimuovi la vecchia scorza,
libera la linfa,
tosa il mio vello
perchè si rinnovi soffice e bianco.
Possa io diventare leggera nube
davanti a te, con acqua pura
per dissetare tanti fratelli.
E sia la mia vita uno spartito musicale
sul quale scrivi note sempre nuove
d'inedita armonia.

Elisa Ordo Virginum

Mercoledì delle ceneri

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,1-6.16-18)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».

Commento al Vangelo
La penitenza è effetto di un profondo processo di conversione che agisce nell'intimo del cuore: proprio per tale motivo, essa avviene nel segreto, lontano da occhi indiscreti. Il cambiamento interiore rifugge da tutto ciò che è appariscente; per questo Gesù stigmatizza l'atteggiamento di coloro che si servono delle pratiche penitenziali semplicemente per dimostrare di essere più bravi e più santi degli altri. La loro è una ben misera ricompensa, poichè essi si accontentano del plauso degli uomini:
invece, la penitenza e la conversione autentica iniziano anzitutto nel cuore e nel silenzio, per poi manifestarsi nella pienezza delle opere e nell’attuazione di una vita in totale consonanza con il messaggio evangelico.

lunedì 7 marzo 2011

Cristo è immagine del Dio invisibile; per opera di lui abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati (Col 1,15.14)

Poiché gli uomini erano diventati irragionevoli e l'inganno dei demoni gettava la sua ombra da ogni parte e nascondeva la conoscenza del Dio vero, cosa doveva fare Dio? Tacere di fronte a tale situazione? Accettare che gli uomini si smarrissero e non conoscessero Dio?... Forse Dio non risparmierà alle sue creature di smarrirsi lontano da lui e di essere assoggettate al non essere, soprattutto se questo smarrimento diventa per esse motivo di rovina e di perdita, mentre gli esseri che hanno partecipato all'immagine di Dio (Gen 1,26) non devono perire? Cosa occorreva che Dio facesse? Cosa fare, se non rinnovare in loro la sua immagine, affinché gli uomini potessero nuovamente riconoscerlo?

Come questo poteva realizzarsi, se non mediante la presenza dell'immagine stessa di Dio (Col 1,15), il nostro Salvatore Gesù Cristo? Questo non era attuabile dagli uomini, poiché non sono l'immagine ma sono stati creati secondo l'immagine; neanche poteva essere realizzato dagli angeli che non sono delle immagini. Per questo è venuto in persona il Verbo di Dio, che è l'immagine del Padre, per essere in grado di restaurare l'immagine nel fondo dell'essere degli uomini. D'altronde, questo non poteva capitare finché la morte e la corruzione che ne consegue non fossero state annientate. Per questo egli ha assunto un corpo mortale, per poter annientare la morte e restaurare gli uomini fatti secondo l'immagine di Dio. L'immagine del Padre, dunque, il Figlio suo santissimo, è venuto da noi per rinnovare l'uomo fatto a sua somiglianza e per ritrovarlo, mentre era perduto, mediante la remissione dei peccati, come egli stesso dice: «Sono venuto a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).

meditazione di Sant'Atanasio (295-373),
vescovo d'Alessandria, dottore della Chiesa

domenica 6 marzo 2011

Fireproof: la prova del fuoco per i matrimoni

Un film e un libro per educare all’amore

C’è un film intitolato Fireproof, diffuso in Italia solo in edizione home video, ma che ha avuto un successo strepitoso negli Stati Uniti. I suoi effetti sono stati prodigiosi visto che molte coppie in procinto di separarsi ci hanno ripensato dopo aver visto il film.
Fireproof diretto dal regista americano Alex Kendrick, racconta di Caleb Holt (interpretato da Kirk Cameron), un capitano dei vigili del fuoco, che svolge un lavoro eroico e che segue diligentemente una massima del padre: “Mai lasciare indietro il tuo compagno”. Nella vita privata però Caleb incontra molte difficoltà. Dopo sette anni di matrimonio, il suo rapporto con la moglie Catherine (interpretata da Erin Bethea) sta fallendo. I due non si comprendono più, si accusano l’un l’altro, sembrano aver perso la fiducia e l’amore che li ha portati a sposarsi. Caleb sostiene che Catherine è troppo sensibile e non mostra rispetto per lui. Catherine invece racconta ai suoi colleghi di ospedale che suo marito è insensibile e non comprende le sue necessità ed è per questo che vuole chiedere il divorzio. I genitori di Caleb sono preoccupati: dicono al figlio di non rassegnarsi e gli propongono di iniziare un percorso di 40 giorni composto da buone azioni quotidiane. Si comincia dal lavare i piatti, poi comprare fiori e regali per la moglie, rifare i letti, cucinare per la cena, invitare la moglie al ristorante, curarla, accudirla, prestarle amorevole attenzione. Caleb comincia a capire che amare significa vincere l’egoismo e prendersi cura di sua moglie. Catherine, però, non si fida, ha la madre malata ed un medico che le fa la corte e così, nonostante gli sforzi di Caleb, manda avanti le pratiche per il divorzio. A questo punto Caleb sembra sconfitto, eppure non cede. Si converte nel profondo, prega e compie atti di amore gratuito. Da questo momento il matrimonio di Caleb e Catherine esce dall’abisso dove stava cadendo e inizia una nuova vita.
Il libro che Caleb legge, per riscoprire l’amore proprio e del matrimonio, non è una finzione cinematografica: esiste veramente, è intitolato The Love Dare e negli Stati Uniti è stato in testa alle classifiche dei libri più venduti per 17 settimane. L’edizione italiana è intitolata La sfida dell’amore ed è pubblicata dalla casa editrice Uomini Nuovi. Intervistato da il geniale regista Alex Kendrick ha spiegato che “il matrimonio è stato attaccato, annacquato e ridefinito. Per questo motivo il film in questione vuol ricordare alla gente che il matrimonio è un pilastro della nostra civiltà. Se si rompe, la comunità rischia di crollare”. Kendrick sostiene che tutti i matrimoni incontrano periodi di crisi ma Fireproof dimostra che si può resistere, ricominciando con più amore. Il film in questione mostra come ci siano dei principi, come, per esempio, la limitazione dell’egoismo e azioni di amore gratuito verso gli altri, che non si applicano solo alle coppie sposate, ma sono decisive per ogni singola impostazione di vita.
A questo proposito don Marcello di Fulvio, responsabile della comunicazione della Diocesi di Palestrina, organizza proiezioni e cineforum con Fireproof al fine di alimentare un percorso di fede matrimoniale, educando le giovani coppie a riconoscere che l’amore è paziente, è benevolo, non è egoista, pensa all’altro, non è sgarbato, non è irascibile, crede il meglio, è incondizionato, si prende cura dell’altro, si batte lealmente, gioisce, onora, intercede, incoraggia, è fedele, perdona, protegge sempre. Secondo don Marcello il film è adatto anche ai giovani che si accingono a sposarsi. Il successo di Fireproof ha influenzato direttamente la vita di molte persone: negli Stati Uniti, ma anche in Italia, sono centinaia le coppie che hanno annullato le loro cause di divorzio dopo aver visto il film. Kendrick ha raccontato che decine di migliaia di messaggi di commento al film sono stati inviati nel mondo per comunicare la buona novella delle riappacificazioni familiari.
Il film Fireproof è una buona notizia in un contesto di disgregazione sociale causato da separazioni e divorzi. Secondo l’associazione degli avvocati matrimonialisti, ogni anno in Italia 160.000 coppie si separano, 100.000 divorziano e 20.000 coppie di fatto decidono di incamminarsi ognuno per la propria strada. Solo nel 2009 sono stati coinvolti 66.406 minorenni nelle separazioni e 25.495 minorenni nei divorzi. La separazione dei genitori è diventata la prima causa di paure e sofferenza tra i bambini e le bambine che frequentano le scuole elementari. Ben venga, quindi, un film che esalta l’unità matrimoniale.

sabato 5 marzo 2011

La lezione di una farfalla

Un giorno, apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a guardare la farfalla che per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare niente altro.
Allora l'uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo.
La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento. L'uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all'altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare.
Non successe nulla! In quanto, la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di volare.

Ciò che quell'uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l'intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo ...necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare. Era la forma con cui Dio la faceva crescere e sviluppare.
A volte, lo sforzo é esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita. Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati. Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare.

“Chiesi la forza... e Dio mi ha dato le difficoltà per farmi forte.
Chiesi la sapienza... e Dio mi ha dato problemi da risolvere.
Chiesi la prosperità... e Dio mi ha dato cervello e muscoli per lavorare.
Chiesi di poter volare... e Dio mi ha dato ostacoli da superare.
Chiesi l'amore... e Dio mi ha dato persone con problemi da poter aiutare.
Chiesi favori... e Dio mi ha dato opportunità.
Non ho ricevuto niente di quello che chiesi...
Però ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno.
Vivi la vita senza paura, affronta tutti gli ostacoli e dimostra che puoi superarli".

giovedì 3 marzo 2011

Padre e padrone

Credo che sia meglio educare i figli facendo leva sulla comprensione e sull'indulgenza piuttosto che sul timore del castigo. Il dovere di un padre è abituare il figlio ad agire bene, spontaneamente, più che per timore degli altri. In ciò differisce il padre dal padrone. Un sopruso dietro l'altro è la trama della vita del ragazzo sardo Gavino, in perenne umiliazione sotto il tallone di un padre padrone fino allo scontro finale che permetterà al giovane di spezzare quelle catene. Sono molti, credo, i lettori che avranno riconosciuto in questa sintesi la vicenda del libro di Gavino Ledda, scrittore autodidatta, e il successivo intenso film dei fratelli Taviani, col titolo appunto di Padre padrone (1977). Eppure era già nel II secolo a. C. che il commediografo latino Terenzio ammoniva i genitori a educare i figli non col terrore della punizione, bensì con la convinzione e la testimonianza dei valori. Il suo brano sopra citato può essere commentato con le parole di san Paolo agli Efesini: «Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore- Ma voi, padri, non esasperate i vostri figli, bensì fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore» (6, 1.4). Ecco, l'equilibrio - spesso arduo da conquistare - sta proprio qui, evitando due eccessi. Il primo è quello dell'esasperazione, dell'eccesso di correzione, dell'autoritarismo o, peggio, della violenza in famiglia, soprattutto da parte del padre padrone. E non bisogna evocare costumi remoti e orientali per scoprire quanto questa prevaricazione vergognosa inquini e persino insanguini anche le nostre famiglie occidentali. C'è, però, un altro estremo da evitare: l'Apostolo, infatti, esorta a non esasperare i figli, ma anche a farli «crescere nella disciplina» (la paideia greca). Ai nostri giorni quanti genitori imboccano la via del permissivismo comodo a loro e ai figli, stupendosi poi quando si ottengono esiti drammatici. In sintesi - come scriveva il poeta tedesco dell'Ottocento Wilhelm Busch - «non è difficile diventare padre; essere un padre, questo è difficile!».

mercoledì 2 marzo 2011

Silvia e l'aborto. E poi fuori a riveder le stelle

Sabato scorso, ricevendo in assemblea i membri della Pontificia Accademia per la vita, Papa Benedetto XVI ha dapprima parlato dell’aborto come inganno per la vita e per la donna (soprattutto quello terapeutico), quindi ha richiamato i medici al proprio impegno per la vita e la società tutta a un impegno maggiore verso le mamme che hanno abortito.
In Italia della sindrome post-abortiva si occupano saltuariamente molti Centri di aiuto alla vita, magari appoggiandosi direttamente a qualche psicologa locale, e sistematicamente associazioni quali La Vigna di Rachele e Il Dono.
Proprio grazie a Il Dono incontriamo Silvia, 34 anni, nella sua città, Milano: un aborto alle spalle, un futuro davanti «perché la morte non abbia l’ultima parola», come continua ripeterci con le parole, e lo sguardo, durante l’intervista.

Non volevi pregiudizialmente bambini o hai deciso l’aborto dopo aver scoperto di essere incinta?
Mi ero sempre proclamata contraria all’aborto, ma quel test positivo era talmente inatteso che, pochi minuti dopo aver visto il risultato, alla domanda fatta tra me e me “e adesso?” quel pensiero si è insinuato, quasi ovvio, tra un palpito del cuore e l’altro: “Prima di tutto devo dirlo a lui. E comunque, si può sempre interrompere”.

Quando hai scoperto di essere incinta che sensazioni hai vissuto?
Lo stupore ha prevalso su tutto: avevo vissuto un solo momento d’intimità negli ultimi anni, in occasione di un incontro con il mio ex ragazzo. E quella sera sono rimasta incinta. Allo stupore son seguiti a breve la paura e la confusione…

La scelta dell’aborto l’hai condivisa con il padre di tuo figlio o sei stata lasciata sola?
Ero stupita e un po’ spaventata da qualcosa di tanto grande e tanto lontano dai miei programmi. Ho cercato rassicurazioni, ma le ho cercate nel posto sbagliato: lui da subito non ne ha voluto sapere. Ma quel che è peggio, a posteriori, è che non si è fatto da parte subito: voleva che io mi convincessi che l’aborto era la scelta migliore, per me, per lui, persino per il bambino. Abbiamo passato notti intere a parlare e mi sembrava che, per quanto dolorose, le sue ragioni fossero ragionevoli. Quanto a me, alternavo momenti in cui tutto sembrava chiaro a favore dell’interruzione della gravidanza ad altri in cui ogni cosa sembrava ugualmente chiara ma dire il contrario, tanto che una volta chiamai l’ospedale per annullare tutto. Però ritelefonai due giorni dopo, convinta che quella non fosse la scelta migliore, ma l’unica possibile. Mi sentivo sola, confusa e angosciata, e volevo che tutto passasse. Volevo solo che la mia vita tornasse come prima.
Lui mi ha accompagnato in ospedale, c’era prima e dopo l’intervento. Dopo ha iniziato a sparire. Più stavo male io, più si allontanava lui. Eravamo amici da 16 anni, avevamo alle spalle una storia di 2, credevo ci fosse un legame forte fra noi. Non l’ho più sentito.

Cosa ti ha fatto rinascere?
La mia rinascita è avvenuta nelle mani di Dio, che si è manifestato in più persone e in più momenti. Di questo non sarò mai grata abbastanza. Un ruolo chiave l’hanno avuto, in modi diversi, un amico sacerdote, una psicologa, e soprattutto le donne e gli uomini de “Il Dono”. Con loro sono stata aiutata a fare verità, non solo sul mio aborto, ma sulla mia vita, perché ho capito che il mio “no” a quel figlio inatteso veniva da lontano. Non era un fulmine a ciel sereno, ma l’esito di tanti altri rifiuti, il gesto logico di una mentalità che, fino ad allora, non sapevo appartenermi.

Il Papa ha invitato i medici a non ingannare le madri con l’aborto. Anche per te l’aborto è un inganno?
Sì, perché a chi lo compie sembra l’unica strada percorribile e invece c’è sempre un’altra via. È un inganno perché chi lo compie pensa di riportare le cose come prima, ma un figlio cambia sempre la vita. E un figlio che ti entra sempre più nel cuore e nell’anima, ma che non potrai mai veder crescere e abbracciare, e questo per tua scelta, è qualcosa che la stravolge la vita.

Quanto potrebbero fare i medici e quanto avrebbero potuto fare per te?
Potrebbero fare molto. Anche indirizzando le donne che si rivolgono a loro verso associazioni ed enti in grado di ascoltarle con pazienza e attenzione. Nel mio caso, anche se alla visita piangevo come una fontana, la risposta glaciale che ebbi al mio «non sono sicura di volerlo fare», fu un secco «non è un mio problema». Il medico che avviò l’iter non mi chiese neppure i motivi del mio rivolgermi a lui. Penso che sarebbe stato importante sentirmi accolta e ascoltata con i miei timori e i miei dubbi.

A una madre che oggi si trova nella tua situazione di allora cosa diresti?
Prima di tutto le farei le congratulazioni! Cercherei di spostare la sua prospettiva: dal considerare quella novità come un problema da risolvere al vederla un’opportunità di gioia. E prima di qualunque consiglio, la ascolterei, mi metterei al suo fianco, le direi: “Parliamone. Come ti senti, cosa ti preoccupa, quali sono i tuoi pensieri?”. Promettendole che non resterà sola…

La sindrome post-abortiva è poco studiata, ma esiste. Come stai “sopravvivendo” al tuo aborto?
Dopo l’aborto avrei voluto morire. Provavo un dolore, un senso di vuoto e un senso di colpa così grandi che pensavo che continuare a vivere fosse un inferno. Il cammino umano e di fede co “Il Dono” e col mio padre spirituale ha accompagnato la mia conversione: mi hanno insegnato che con il dolore, e con un’altra morte, benché non fisica, non avrei rimediato al mio sbaglio, non avrei restituito la vita a mio figlio, né avrei onorato la memoria della sua breve esistenza. Mettere in pratica invece tutto quello che grazie a lui ho imparato e imparo ogni giorno, mettermi in gioco per diventare una persona migliore, mettermi alla scuola dell’Amore per vivere una vita piena e autentica, questo posso farlo, e farlo per lui. Perlomeno ci provo. Il sacramento della Riconciliazione è stato una tappa fondamentale perché si compisse la trasformazione del mio sguardo.

martedì 1 marzo 2011

Santi, o niente!

Intanto cammina, non fermarti… poi guarirai! Questo è il messaggio sintesi di Luca 17,11-19.

Il brano mi ha colpito in alcuni particolari che non avevo mai notato. Innanzitutto mentre Gesù va “verso Gerusalemme, attraversando la Samaria e la Galilea, appena entra in un villaggio gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!»”. I lebbrosi all’epoca erano soliti scappare se qualcuno si avvicinava loro oppure suonare il campanello per avvertire della loro presenza per il pericolo del contagio, invece “gli vennero incontro”!!! Nel cuore ho pensato ad una frase di un anonimo padre del deserto che spesso mi ripeto: “Dal momento che avrai imparato a fare a meno degli uomini, gli uomini si accorgeranno che non potranno più fare a meno di te”.

Chi sono le persone a cui tutti accorrono? I santi!
Quando si trova una persona capace di trasmettere gioia divina, pace, consigli sapienti o ascolti profondi, amore insomma, tutti accorrono da loro. Nel mio ministero vivo continue missioni di strada in cerca della persone là dove si trovano, ma forse dovremo tutti noi cristiani ad essere così intimamente uniti a Gesù, così pervasi dalla Sua Presenza, così inabitati dal Suo Spirito, così capaci di farlo vivere in noi morendo a noi stessi che tutti accorrano a noi ovunque siamo perché trovino Lui. Se riuscissi ogni giorno a morire un po’ di più a me stesso Dio dimorerebbe in me in pienezza. Quelle poche volte che ci sono riuscito ho sperimentato come la gente ti cerchi, non perché carino o simpatico, ma perché in me cercano Colui che non solo può abitare i nostri cuori se glielo permettiamo, ma farci diventare “fonte di acqua che zampilla per l’eternità!”.

Un secondo spunto me lo ha indicato Gesù dicendo ai lebbrosi: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».
Spesso andiamo ovunque, vorremo la soluzione immediata, vorremo rapporti diretti. Gesù ci dice invece di andare dai sacerdoti nonostante li abbia spesso confrontati e criticati! Quanta superbia in me in quelle volte che ho criticato la Chiesa e i sacerdoti. Basterebbe andare, fidarmi, obbedire… per rendermi conto che nel cammino, pur inciampando, posso trovare guarigione: “E mentre essi andavano, furono sanati”.

Un ultimo aspetto riguarda la fede dei lebbrosi. «Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».
I lebbrosi potevano recarsi dai sacerdoti solo se guariti perché essi certificassero la loro salute recuperata per reintegrarli nella società. Obbedire al comando di Gesù era illogico: erano ancora malati… eppure si fidano della Sua Parola e vanno. Quante volte i tormenti della razionalità prevalgono sulla fede: ma non sono adatto per questo cammino, ma come faccio a fare questa cosa, ma sono un poveraccio peccatore, ma non potrà mai essere fedele come moglie o marito, ma non sono in grado di vivere il sacerdozio ecc ecc…

Invece di ripiegarci sui nostri ragionamenti tortuosi…
…andiamo!
…corriamo!
…Viviamo!
Se ci incammineremo nella strada indicata dal Verbo nel Vangelo, al di là di limiti e cadute, lungo il percorso saremo guariti.

Il Cardinal Martini affermava di fidarsi solo dei sacerdoti che, dopo esser stati ordinati giovani, avessero almeno 40 anni di sacerdozio; questo perché ci vuole del tempo perché si radichi dentro di noi “l’abitus interiore” del presbitero. L’io va ri-programmato e ci vuole tempo e perseveranza.

Non preoccupiamoci delle cadute, mettiamocela tutta per non inciampare, sarà meglio per noi, ma rialziamoci sempre e proseguiamo per essere santi padri e santi madri, santi sacerdoti, santi laici… Santi, o niente!