domenica 30 gennaio 2011

Dall'alba al tramonto

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.
Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.


E’ Gesù il povero di cuore, il mite, colui che ha portato la pace nel mondo. Egli ha passato la vita in mezzo alla povera gente e ha scelto i discepoli tra persone che non avevano particolari possibilità di successo. San Paolo dirà che il Signore Gesù ha vissuto la vita degli schiavi ed è morto con la morte degli schiavi, nudo, su una croce. In questo modo Cristo ha realizzato la salvezza e con la sua risurrezione ha inaugurato l’esistenza di un mondo trasfigurato nel quale i veri valori sono la giustizia, la pace, la mitezza. Le beatitudini evangeliche non sono un messaggio basato sul buon senso, ma sono la storia dell’ amore di Dio che si è fatto come noi, come gli ultimi tra di noi. Gesù ha conosciuto la povertà, l'ingiustizia, l'offesa... perché noi potessimo avere in eredità il Regno e diventassimo figli di Dio. Tutto questo porta alla gioia: «Rallegratevi ed esultate!».
«Rallegratevi»: il Signore ci esorta a coltivare la dimensione più interiore della gioia, come quel sentimento che inonda l'anima e permea la vita e le relazioni di tutti i giorni.
«Esultate»: il desiderio di Cristo è che questa gioia trabocchi, diventi manifesta anche esteriormente. Proprio perché la gioia è piena, non può non trasparire anche negli atteggiamenti esterni. Certo, non ci si può forzare alla gioia: san Paolo direbbe che essa è "frutto dello Spirito". È però senz'altro il segno che nel cristiano il vangelo non è tollerato, ma accolto.
tratto dal Messalino "Dall'alba al tramonto"

sabato 29 gennaio 2011

Condannati alla mediocrità

Oggi abbiamo perso l'abitudine al silenzio, perché abbiamo paura di confrontarci con la verità. Così non possiamo crescere: siamo condannati alla mediocrità. La cuffia infilata a chiudere gli orecchi, la testa dondolante al ritmo di una musica assordante ma per gli altri silenziosa, un ragazzo viaggia seduto davanti a me su un autobus serale poco frequentato. A prima vista questa sembra l'immagine della solitudine necessaria per ritrovare se stessi, evitando la dispersione nella massa. In realtà, questo è solo un isolamento che si colma di suoni martellanti e che lentamente ottunde il cervello e smorza sul nascere ogni pensiero vero.

Gesù nel suo Discorso della Montagna ci dice: «Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6,6).
Senza questo bagno di silenzio, la verità si appanna e si dissolve, la coscienza resta sorda e inerte, il cuore perde il suo battito d'amore. «Solo il silenzio è grande tutto il resto è debolezza» (Alfred de Vigny).
Se rifiuti di sostare almeno qualche minuto al giorno in quell'oasi e ti precipiti subito nel frastuono della città, in agguato sulla strada della tua vita c'è il mostro della mediocrità che è tutt'altro che "aurea", come credeva il poeta latino Orazio. Essa, infatti, è vestita di grigiore, si nutre di chiacchiere, si affida allo sfarfallio delle mode, teme la limpidità della verità e dell'impegno serio ed esigente.
Sulla mediocrità incombono le parole del Cristo dell'Apocalisse, simili a una spada di ghiaccio: «Tu non sei né freddo né caldo, ma sei tiepido, ed è per questo che sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16).

giovedì 27 gennaio 2011

E la cicogna porta in famiglia il 14esimo figlio


Sono stati 557 mila i nati nel 2010, 12.200 in meno rispetto al 2009. L’Italia registra per il quarto anno consecutivo un saldo negativo tra nascite e morti, come ha fatto sapere l’Istat.
Stride non poco con questo quadro la notizia di un fiocco azzurro del tutto speciale che campeggia da qualche giorno sulla porta di casa Scalco a San Giorgio in Bosco, Comune di semila abitanti in provincia di Padova.
Per la famiglia Scalco, infatti, Filippo è il 14esimo figlio. 46 anni il padre, Walter, 41 la madre, Cristina, la loro progenie equivale a una squadra di calcio più panchina: Diletta (un anno e mezzo), Marta (2), Francesco (5), Riccardo (6), Davide (7), Nicole (8), Tommaso (9), Benedetta (12), Giovanni (13), Giacomo (15), Rachele (17), Samuele (18), Stefano (19). Più l’ultimissimo arrivato.
«Ognuno ha i suoi incarichi. Ci vuole organizzazione, essenziale è l’ordine – spiegava anni fa Walter Scalco a Famiglia Cristiana – Siamo una famiglia normalissima, consapevole delle difficoltà. Ci aiuta la forza di Dio, poi la comunità e il parroco, con il quale abbiamo intrapreso il cammino neocatecumenale».

Viene da citare, a commento, un estratto della presentazione dell’Associazione nazionale famiglie numerose, presente sul sito dell'associazione stessa:
"Chi siamo? Abbiamo almeno quattro figli, tra naturali, adottivi o affidati. Siamo quelli che non hanno la Cinquecento, perché non ci staremmo tutti; quelli che moltiplicano seggiolini per auto, letti a castello, tricicli e biciclette, tasse scolastiche, libri, quaderni, regali di Natale e compleanno; quelli che non vengono invitati spesso a cena dagli amici, perché in casa degli amici tutti non ci staremmo; quelli che la congiuntivite e l'influenza ce la passiamo l'un l'altro e dura due mesi; quelli che non possono andare coi figli al cinema perché costa parecchio occupare due file intere della sala. Eppure, nonostante le difficoltà, siamo quelli che vivono impagabili momenti di allegria, di dolcezza, di letizia, di festa, di preghiera, di consolazione, di conforto, di dialogo, momenti che quotidianamente colorano la nostra famiglia. […] Vogliamo dire che ci siamo, e siamo felici di esserci".

mercoledì 26 gennaio 2011

Il medico che curò senza medicine

C’era una volta un medico che ebbe in eredità una fattoria ed un pezzo di terreno in cui vi era un fitto bosco.
Il medico era molto contento per la fattoria, ma un po’ meno per il fitto bosco perché non poteva coltivarlo. Tuttavia, dopo essere andato in pensione e dopo aver sistemato tutte le sue cose in città, andò ad abitare nella fattoria.
Durante l’estate andò tutto bene, quel luogo si presentava incantevole, un angolo di paradiso.
I problemi, però, giunsero durante l’inverno. Quel luogo divenne impervio e pericoloso per i lupi, ma soprattutto per il grande freddo.
Un giorno, facendo un giro per le fattorie della zona, si rese conto che la gente si era ammalata per il gran freddo.
Essendo un medico, cercò di curare tutti con delle medicine ma, a distanza di una settimana, le cose sembravano peggiorare. Sicchè, non sapendo più cosa fare, decise di tagliare un po’ di legna dal suo fitto bosco e di distribuirla per le fattorie perché potessero almeno riscaldarsi.
Il giorno successivo, nel suo consueto giro, il medico notò dei miglioramenti e capì che quella gente, più delle medicine, aveva bisogno di calore. Fu così che tornò nel bosco a tagliare altra legna per tutti.
Grazie a quel bosco che sembrava così inutile, ma che d’inverno era l’unico rimedio per sopravvivere, tutta la gente del luogo guarì.
Da quel giorno ognuno si preoccupò che il vicino di casa avesse sempre un po’ di legna per riscaldarsi.

Come il bosco per il dottore, anche noi abbiamo spesso dei doni che riteniamo inutili.
Ogni dono, invece, è prezioso: metterlo a disposizione riscalda il nostro cuore e dona calore agli altri. Pertanto, ognuno di noi dovrebbe sempre preoccuparsi di non far mancare mai a chi gli è accanto una buona scorta di calore.

martedì 25 gennaio 2011

Importanza della meditazione del Vangelo

La Parola di Dio è come la pietra focaia, fa le scintille solo se la batti forte” afferma San Gregorio Magno. Perchè il Fuoco racchiuso dentro la Parola di Dio si sprigioni bisogna insistere nel meditarla ogni giorno, con costanza, con amore e, direi, anche con fatica.
Spesso Chiara Amirante in comunità Nuovi Orizzonti ci ripete che quando sente qualcuno dire “Già la conosco… L’ho già sentita..” le viene mal di stomaco…
Ma che sai?! Chi credi di essere?! Come fai ad avere esaurito tutta l’ampiezza, la profondità, la novità del Vangelo!?
Il Cristianesimo non è la “Religione del Libro”, parola morta, ma la Religione della PAROLA (il Verbo, sempre VIVO!).
Dio è l’Autore della Sacra Scrittura: “le cose divinamente rivelate, che nei libri della Sacra Scrittura sono contenute e presentate, furono consegnate sotto l’ispirazione dello Spirito Santo” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 21] e solo alla luce dello Spirito Santo potrai averne accesso e solo provando a meditarla e mettere in pratica potrai sperimentarne la verità ed efficacia!

Non ci credi?

Prima di dire che non è vero… prova con fedeltà ogni giorno a meditare il Vangelo cercando di metterlo in pratica. Tutti i giorni devi dedicare un tempo intimo con la Parola, nella lotta per sprigionare il Fuoco che c’è dentro.
I Padri Della Chiesa suggeriscono di selezionare un tempo più o meno lungo e quotidiano. Puoi solo dieci minuti? Va bene, inizia così. Ma chiudi il cellulare, non farti prendere da distrazioni ed immergiti chiedendo allo Spirito Santo di darti la luce per capire cosa Dio voglia dirti in quel momento presente con quel brano.

Sempre i Padri della Chiesa affermano che due innamorati se mancano l’appuntamento tra loro finiranno per disinnamorarsi e non provare più nulla… Diamoci dunque il tempo per innamorarci e riascoltare, con i sensi dello Spirito, la Voce di Dio dentro di noi.

Serve un tempo preciso tutti i giorni con fedeltà. Serve inoltre la Stabilità, stabilitas…

corporis: un luogo privato in cui tutto il resto va tagliato. Quel momento di meditazione, come nella Messa, deve essere il perno della mia giornata, da difendere in modo assoluto, a costo sia di notte o presto la mattina. Ci vuole il primato e stare lì…
mentis: con la testa e tutte le intenzioni e la concentrazione possibile sapendo i demoni faranno di tutto per espropriarti dalla Parola perchè hanno paura e sanno che non sarai più lo stesso se con fedeltà avrai questi tempi. I pensieri e i bisogni del corpo ti distraggono? Combatti cercando vie di concentrazione…
cordis: stabilità degli affetti! Se il cuore si innamora allora l’Amore aprirà il testo!!!

Vi lascio qualche consiglio pratico:
- invocare lo Spirito perchè Lui lo interpreti e ci apra la mente col dono della Sapienza…
- leggere e rileggere finchè non sento che qualche particolare colpisce la mia attenzione…
- sottolineare ciò che ci ha colpito con una penna o matita…
- cercare il perché e restare su quei particolari sottolineati…
- capire cosa Dio ci vuole dire attraverso quelle frasi…
- prendere una frase del giorno da vivere con un esercizio pratico da ricordare durante la giornata…
- trasformare il tutto in momento di Preghiera, meglio se di lode e ringraziamento…
- infine, se avanza tempo approfondire con la lettura di commentari…

Se farai questo “si dilata il cuore con indicibile dolcezza” dice san Benedetto e non ti peserà più, anzi “si corre sulla strada indicata da Dio“!

lunedì 24 gennaio 2011

Costui non è quel tale che ci perseguitava?

« Noi non predichiamo noi stessi ; ma Cristo Gesù Signore ; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù » (2 Cor 4,5). Chi è dunque questo testimone che annunzia Cristo ? Proprio colui che prima lo perseguitava. Grande meraviglia ! Il persecutore di prima, eccolo che annunzia Cristo. Perché ? Sarà forse stato comprato ? Ma nessuno avrebbe potuto convincerlo in tal modo. Forse la vista di Cristo su questa terra l'avrebbe accecato ? Gesù era già salito in cielo. Saul era uscito da Gerusalemme per perseguitare la Chiesa di Cristo e, tre giorni dopo, a Damasco, il persecutore è divenuto predicatore. Sotto quale influenza ? Altri citano come testimone in favore dei loro amici, gente della loro parte. Io, invece, ti ho dato come testimone uno che prima era nemico.

Dubiti ancora ? Grande è la testimonianza di Pietro e Giovanni ma... erano proprio della casa. Quando il testimone, un uomo che dopo morrà per causa di Cristo, è colui che prima era nemico, chi potrebbe ancora dubitare del valore della sua testimonianza ? Io sono proprio in ammirazione davanti al piano dello Spirito... : Concede a Paolo che era persecutore, di scrivere le sue quattordici lettere... Siccome non si potrebbe contestare il suo insegnamento, ha concesso a colui che era prima il nemico e il persecutore di scrivere più di Pietro e Giovanni. In questo modo, la fede di noi tutti può essere consolidata. Riguardo a Paolo infatti, tutti si meravigliavano e dicevano : « Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro di noi, ed era venuto qua precisamente per condurci in catene ? » (At 9,21) Non meravigliatevi, dice Paolo. Lo so bene, « duro è per me ricalcitrare contro il pungolo » (At 26,14). « Non sono degno neppure di essere chiamato apostolo » (1 Cor 15,9) ; « mi è stata usata misericordia perché agivo senza saperlo » ... « La grazia del Signore nostro ha sovrabbondato » (1 Tm 1,13-14).

meditazione di San Cirillo di Gerusalemme (313-350),
vescovo di Gerusalemme, dottore della Chiesa

domenica 23 gennaio 2011

Alla porta del Paradiso


Un uomo bussò alla porta del paradiso. «Chi sei?», gli fu chiesto dall'interno. «Sono un ebreo», rispose. La porta rimase chiusa. Bussò ancora e disse: «Sono un cristiano». Ma la porta rimase ancora chiusa. L'uomo bussò per la terza volta e gli fu chiesto ancora: «Chi sei?». «Sono un musulmano». Ma la porta non si aprì. Bussò ancora. «Chi sei?», gli chiesero. «Sono un'anima pura», rispose. E la porta si spalancò.
Mistico e poeta musulmano, Mansur al-Hallaj (858-922) morì prima crocifisso e poi decapitato, lasciando dietro di sé una straordinaria testimonianza di fede e di amore. Dai suoi scritti abbiamo estratto questa parabola suggestiva.
La vera appartenenza religiosa non si misura - come ribadivano i profeti biblici - sull'adesione esteriore, sugli atti di culto, sull'ostentazione, ma sull'intima fedeltà, sulla purezza d'animo, sull'amore operoso. È questa scelta di vita che spalanca le porte del regno dei cieli.
Ma vorremmo ora allegare un'altra testimonianza musulmana (anche per mostrare un volto diverso dell'islam rispetto a quello fondamentalista). Il mistico Rumi (1207-1273), fondatore dei dervisci danzanti, diceva: «La verità era uno specchio che, cadendo, si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e, vedendovi riflessa la propria immagine, credette di possedere l'intera verità».
Il mistero glorioso della verità ci precede: dobbiamo deporre ogni arroganza ideologica e spirituale e ascoltare anche l'altro col suo bagaglio di verità da lui scoperta. Certo, questo non significa che tutte le idee e le credenze siano automaticamente frammenti di verità, essendo possibili i miraggi, le illusioni, gli accecamenti.
L'autenticità brillerà attraverso l'amore, la donazione a Dio e al fratello, la ricerca umile e appassionata.
di Gianfranco Ravasi

Maria e Giuseppe: una "normale" coppia di sposi

A proposito di Maria e Giuseppe siamo abituati a fare eccezione su tutto: è la "Sacra Famiglia", con personaggi da opera d'arte dello Spirito in scena. Siamo quindi portati a pensare che Dio abbia preparato tutto per bene in vista dell'ingresso nel mondo del Figlio Gesù e quindi abbia "creato" appositamente una coppia di personaggi straordinari nella fede e nell'amore che rinuncia a se stesso.
Tutto vero.
Eppure, rimane il sospetto che possa essere anche avvenuta, nello stesso tempo, una specie di attrazione, da parte di Dio per questa coppia. Infatti: se Giuseppe e Maria, nei loro progetti di vita insieme, dimostrarono di voler incarnare le virtù originarie di Adamo ed Eva prima della sempre possibile caduta, di Noè e sua moglie, di Sara e Abramo, di Sara e Tobia, della coppia del Cantico è ben possibile che Dio si sia trovato almeno confermato nel suo progetto su di loro.
Ovunque nel mondo e in ogni tempo una coppia di sposi riuscita è il luogo dove Dio può operare miracoli.
tratto dalla Bibbia degli Sposi

sabato 22 gennaio 2011

Le anime si conquistano con le ginocchia

S. Carlo Borromeo diceva che "le anime si conquistano con le ginocchia".
Conquistare anime vuol dire proprio rendere presente il Cristo.
La preghiera è l'unica "arma" di cui nessuno potrà mai essere privato, nemmeno nelle condizioni più dolorose o assurde della vita.
Nessuna pressione dell'ambiente esterno, nessuna persecuzione potrà togliere la possibilità della preghiera. E anche quando l'età, la malattia, le sofferenze, le difficoltà esterne, le stranezze e le incomprensioni degli uomini sottrarranno la persona all'attività esterna ed essa si troverà soltanto in grado di pregare, saranno quelli i giorni più importanti della sua vita. Proprio quando non riuscirà a fare niente altro, avrà imparato a fare il meglio e il di più: pregare e soffrire per lo sviluppo del regno di Dio, per la costruzione della meraviglia della "Gerusalemme celeste".
Elisa Ordo Virginum

giovedì 20 gennaio 2011

Il mistero della vocazione

Farò un'unica cosa : comincerò a cantare ciò che devo dire in eterno – « le misericordie del Signore ! » – (Sal 88, 1)
Aperto il Santo Vangelo, i miei occhi hanno trovato queste parole : « Gesù salito sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono a lui ». È proprio questo il mistero della mia vocazione, anzi di tutta la mia vita e innanzitutto il mistero dei privilegi di Gesù per la mia anima. Egli non chiama a sé quelli che ne sono degni, ma quelli che egli vuole, oppure, come dice san Paolo : « Dio usa misericordia con chi vuole, e ha pietà di chi vuole. Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia » (Rm 9, 15-16).

A lungo mi sono chiesta come mai il buon Dio avesse preferenze, come mai tutte le anime non ricevessero lo stesso grado di grazie. Mi stupiva vederlo prodigare favori straordinari ai santi che pur l'avevano offeso, come san Paolo o sant'Agostino, i quali, per così dire, erano costretti a ricevere le sue grazie, oppure leggendo la vita dei santi che Nostro Signore ha voluto accarezzare dalla culla alla tomba, senza lasciare sulla loro strada alcun ostacolo che impedisse loro di alzarsi verso di lui... Gesù si è degnato di istruirmi in questo mistero. Ha messo davanti ai miei occhi il libro della natura e ho capito che tutti questi fiori che egli ha creati sono belli... Ha voluto creare i grandi santi che possono essere paragonati ai gigli e alle rose ; ma ne ha creati anche dei più piccoli e questi devono contentarsi di essere margheritine o violette destinate a rallegrare gli sguardi del buon Dio quando egli li abbassa ai suoi piedi. La perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell'essere ciò che egli vuole che siamo.

Santa Teresa del Bambin Gesù,
carmelitana, dottore della Chiesa

Cambiare le cose


Spesso ci troviamo di fronte a persone che lamentano malessere o insoddisfazione per alcune situazioni che possono presentarsi nella loro vita in ambito fisico, psicologico o spirituale, ma che non fanno o sembrano fare nulla per cambiare le cose.

Di fatto paiono essere più orientate a “subire la vita” anziché ad essere “costruttori di realtà nuove” che permettano loro di superare lo stallo in cui si trovano e muoversi verso uno stare meglio.

Spesso queste persone prendono anche delle decisioni, ma con soluzioni senza spessore perché, usando la metafora, si limitano ad attenuare i sintomi senza curare le cause della malattia. Terminato l’effetto analgesico o lenitivo ritornano le stesse condizioni di prima.

Ricordo uno studente che stava passando un periodo di crisi che lo portò a non impegnarsi più nello studio come sarebbe stato necessario. Quando prevedeva l’interrogazione risolveva il problema facendo una “assenza strategica”. La crisi durò troppo e lui perse l’anno.

Ricordo una ragazza che si era decisa per un serio cammino spirituale ispirandosi ai valori religiosi. Aveva intrapreso una vita austera che le costava anche qualche sacrificio ma non riusciva tuttavia a rinunciare alle uscite in discoteca con gli amici. Mettiamoci pure la musica, qualche bevanda, i sentimenti… ecc., ed ecco che spesso saltavano all’aria i buoni propositi fatti e lei si ritrovava poi avvilita e con sensi di colpa.

Spesso queste persone sono ripetitive e si ostinano con decisioni e comportamenti che già in passato hanno mostrato di non essere utili per risolvere il problema

Si racconta di un uomo che andava sempre nel campo con il suo asinello. Una volta arrivato e scaricata la merce, lo lasciava libero di tornare da solo alla stalla. Un giorno scoppiò un temporale ed un fulmine divelse un albero che andò a cadere proprio sul sentiero del ritorno. L’asino non riusciva a passare e con il muso dava colpi sempre più forti per spostare la pianta. Fu terribile l’ultimo tentativo: ci aveva messa tutta la sua energia ma ne rimase tramortito.
La storia prosegue perché assieme all’asinello c’era anche una piccola scimmietta che faceva lo stesso percorso. Quando questa vide la strada interrotta si guardò attorno e scoprì che poco distante ed un poco nascosto c’era un altro sentiero. Lo prese e fu subito dall’altra parte.

Ricordo una donna che non sopportava quando il marito rientrava tardi. Ogni volta che ciò succedeva gli piantava il muso per tutta la sera. Era questa la sua tentata soluzione al problema e la ripeteva sempre. Sta di fatto che il marito, successivamente interpellato, raccontò che il muso di sua moglie lo infastidiva al punto che spesso preferiva rincasare tardi proprio per non vedere quelle scene.

Un saggio ebbe a dire che è dello stolto il ripetere le stesse cose aspettandosi risultati diversi.

Quando si vuole raggiungere un obbiettivo bisogna prima conoscerlo. Buon esempio è lo scalatore che vuole raggiungere una cima: per prima cosa prende il binocolo e guarda con attenzione dove vuole arrivare. Poi a ritroso sceglie il percorso da fare, passo per passo, individuandone le eventuali difficoltà ed ostacoli. Poi studia ogni fabbisogno per realizzare l’impresa a partire dalle attrezzature, al vettovagliamento ecc.

La fase successiva sarà quella di prendere la decisione di intraprendere la scalata.
La decisione a fare è essenziale in tutte le nostre azioni e deve essere forte e senza ambiguità. L’ambiguità è come una altalena che porta avanti ed indietro ma alla fine si rimane sempre allo stesso posto.

A questo punto non rimane che mettere in atto i passi necessari. Bisogna in sostanza senza indugio passare all’azione.

Da ricordare che ogni viaggio incomincia col primo passo, e che la meta si raggiunge con un passo alla volta. Ci potrà anche essere qualche scivolone ma poi ci si rialza.

In conclusione per essere “costruttori di realtà” ed uscire dagli stalli che ci paralizzano, dobbiamo sempre trasformare i nostri problemi in obbiettivi da raggiungere. Questi vanno scelti con cura, talvolta senza troppa fretta, e poi è necessario passare all’azione con determinazione, cercando di evitare quelle soluzioni che abbiamo descritto essere “senza spessore” e quelle che abbiamo già sperimentato “non portare i risultati desiderati”.

mercoledì 19 gennaio 2011

La città di Grattanubi

Grattanubi era la città più moderna del mondo.
Così moderna che non aveva più niente da inventare. Per le strade si vedevano solo robot. Non c'erano medici, né maestri, né vigili, né elettricisti...tutti i lavori erano fatti dai robot.
Se uno si ammalava, veniva curato da un robot. Se doveva comperare qualcosa, mandava un robot. I fanciulli avevano un robot per studiare e un altro per giocare.
Gli abitanti non si conoscevano tra loro, perché non uscivano mai di casa. Tutto ciò di cui avevano bisogno lo avevano in casa; o quasi tutto.

C'era una cosa sola che non avevano, e di cui tutti avevano bisogno: la gioia.
L'infermità tipica di quella città era la tristezza. I robotmedici non sapevano come curarla. Erano tutti così triati che non sapevano neanche ridere.
Così era la città di Grattanubi

Un giorno arrivò in città un giovane. Veniva da un piccolo paese chiamato Grattasuolo. Lo avevano mandato in quella città perché imparasse le sue invenzioni e così potesse modernizzare il suo paese. Ma il giovane non trovava nessuno da interrogare. Passò tutto il giorno per le strade, ma incontrava soltanto robot. Non vide nessuna persona. Era ormai stufo di tanti robot e di tante invenzioni. Dov'erano le persone di quella città?

Cominciò a capire che quella città era così moderna che le macchine se ne erano impossessate e le persone erano dominate dalle loro invenzioni.
Camminando per una strada, sentì qualcuno che piangeva.
Finalmente una persona! Andò di corsa verso essa.
Si affacciò a una finestra e vide un bambino che piangeva.
Il giovane cominciò a parlargli, poi entrò dalla finestra e lo fece giocare. Il fanciullo cominciò a sorridere, poi a ridere, e infine a scoppiare in risate che si sentivano in tutto il vicinato.

Quelle risate ebbero un effetto magico.
Tutte le persone che stavano chiuse nelle loro case si affacciarono alle finestre.
Erano anni che i bambini non ridevano. Cominciarono a uscire sulla strada per vedere colui che rideva. In poco tempo la strada si riempì di gente venuta da tutte le parti. E ben presto furono tutti contagiati dalle risate.
In breve, ridevano tutti insieme. Nessuno riusciva a smettere di ridere.
Tutta la città continuò a ridere per tutta la settimana. La malattia della tristezza scomparve completamente.
La città ringraziò il giovane perché aveva portato la gioia.
Molto contento e soddisfatto, il giovane tornò al suo caro paese, perché aveva scoperto che a Grattasuolo avevano sempre conservato la migliore invenzione di tutte: la gioia condivisa.

"La gioia è la più bella creatura uscita dalle mani di Dio, dopo l'amore" (San Giovanni Bosco)

lunedì 17 gennaio 2011

Come vivere la Celebrazione Eucaristica


Viviamo ogni Celebrazione Eucaristica con tutto il cuore, preparandoci bene, con molto impegno, con la consapevolezza che in ogni Messa c’è una grazia particolare che può raggiungerci solo se il nostro cuore è nella giusta predisposizione per accoglierla. Custodiamo la mente dalle tante distrazioni per immergerci totalmente in questo ineffabile mistero dell’amore.

Lasciamo che sia lo Spirito Santo a guidare la nostra preghiera, invochiamolo e permettiamogli di agire facendoci condurre nella contemplazione della profondità del mistero del suo amore. Lasciamo che sia Gesù in noi a pregare, uniamoci al suo sacrificio e riconsegnamo al Padre tutto di noi ripetendo e vivendo la preghiera dell’in manus tuas, che nella messa trova il suo pieno compimento. Questa offerta totale di noi preparata durante tutta la giornata, l’offerta delle gioie e dei dolori, delle fatiche e delle grazie, delle sconfitte e delle vittorie vissute, nella consacrazione della nostra volontà alla volontà del Padre all’inizio della Messa e specialmente nell’offertorio, ci permetteranno d’immergerci nel cuore della Trinità, prendendo il posto del Figlio in qualità di figli, Lui per natura propria, noi per adozione.

Prepariamo il nostro cuore con un serio esame di coscienza unendoci alla preghiera di tutta la Chiesa nel chiedere perdono per ogni sfumatura del non amore, di in corrispondenza a Dio. Ogni piccolo peccato chiude il cuore alla grazia e la vera contrizione lo riapre all’Amore.

Se c’è il gloria uniamoci con tutta la nostra anima alla preghiera di lode del Cielo cantando il gloria con tutto il cuore, sarà il culmine della preghiera di lode iniziata dal mattino e proseguita in tutta la nostra giornata.

Mettiamoci poi in ascolto della Parola e accogliamola nella profondità della nostra anima affinchè possa rinnovarci, trasformarci,santificarci. Lasciamo che ogni Parola che ci viene donata operi in noi. Accogliamola, meditiamola e incarniamola il più perfettamente possibile.

Partecipiamo con tutti noi stessi all’offertorio rinnovando la consacrazione del nostro cuore, della nostra mente, dei nostri desideri. Riconsegniamo al Padre ogni istante della nostra giornata perché sia Lui a santificarla e a santificarci. Presentiamo a Lui ogni lacrima del nostro cuore e dei nostri fratelli, presentiamo a Lui ogni piccola o grande in corrispondenza nostra e di ogni uomo. Poniamo sul sacro altare tutta la Chiesa e tutta l’umanità così che lo Spirito Santo possa santificare insieme al pane e al vino ogni nostra offerta.

Accogliamo la particolare grazia di Comunione con i nostri fratelli, con il mondo intero e con la Trinità. Immergiamoci nel mistero della comunione con grande amore e accogliamo con tutti noi stessi l’abbondanza di grazia che il Signore desidera riversare nei nostri cuori. Se continuiamo a vivere distrattamente la Messa, la sua grazia non viene accolta e non può operare in noi.

Custodiamo la grazia della Comunione perché tutta la nostra giornata possa essere vissuta nella preghiera incessante del cuore, nella più profonda comunione con Dio, con la Chiesa e con il mondo intero. La messa vissuta in profondità ci immerge nella dimensione della preghiera incessante.


venerdì 14 gennaio 2011

Considerazioni sulla convivenza

La famiglia è come un tempio ove l’ingrediente principale è l’amore. Più si ama più questa si rinvigorisce e diventa vitale. Quando invece l’amore diminuisce, come una pianta che non riceve acqua, lentamente inaridisce e muore.
Nella nostra società civile, essa si costituisce attraverso il matrimonio che può essere civile o religioso ed anche con la semplice convivenza: sono tre modalità con caratteristiche diverse.

La convivenza è una relazione di coppia ove i partner pur vivendo insieme e condividendo affettività, interessi ecc. scelgono comunque di conservare parte della loro identità di persone libere.

In questo modello di relazione, fatte le debite eccezioni, è spesso presente il sottinteso del “fino a quando dura” e di conseguenza non ci si sbilancia troppo nel senso che e non si abbandonano del tutto le proprie sicurezze nell’appoggiarsi all’altro.

E’ metaforicamente come uno “stare insieme senza disfare mai del tutto le valige”. Tanto è vero che qualcuno preferisce considerarlo come “periodo di prova”, dando per sottinteso il diritto reciproco di poter fare in qualsiasi momento e senza complicazioni un passo indietro qualora non si realizzassero le proprie aspettative.

Non sorprende se in queste unioni possa persistere una connotazione di ansia dovuta appunto all’insicurezza che il partner non sia conquistato del tutto con conseguente necessità di mantenersi sempre “all’altezza” delle sue aspettative.

Sono situazioni che alimentano quasi sempre, specialmente nella parte più debole, sensi di inadeguatezza se non di colpa.

E come procedono le cose quando uno dei partner si ritiene insoddisfatto e decide di fare il così detto “passo indietro”? E’ da tenere presente che anche nel caso di scelta consensuale c’è quasi sempre “uno che parte per prima ed uno che si volta indietro”.

Per quanto è dato sapere sull’argomento, nella prassi emerge quasi sempre un repertorio piuttosto povero di giustificazioni del tipo “mi dispiace ma le cose non sono come pensavo”. Oppure: “E’ colpa tua”. Si sono registrati anche casi limite del tipo: “Mi dispiace ma non provo più quello che provavo prima”.
E’ da tenere presente che in questa forma di relazione non giuridicamente regolamentata la giustificazione non è elemento essenziale per raggiungere lo scopo di recedere dal patto.

Quando si giunge poi allo scioglimento della convivenza, ci si separa nella osservanza dei patti e ognuno se ne va liberamente per la sua strada senza complicazioni di legge. Solo qualche fastidio in più quando ci sono figli.

Secondo le statistiche la convivenza è un fenomeno “moderno” in fase di espansione e guardato con simpatia specialmente dalle nuove generazioni.

Ne viene apprezzata la facilità della sua costituzione perché basta prendere la decisione di vivere assieme (con – vivenza) nelle forme più varie, la mancanza di obblighi burocratici e civili e la facilità, come detto, di sciogliere il patto.

E’ espressione di un sentire comune ispirato anche ai nuovi modelli di vita provenienti in particolar modo da paesi anglosassoni e proposti con crescente frequenza anche da mass media ed opinion leaders. (E’ noto che i mass media concorrono nel formare le coscienze).

Così descritta la convivenza è percepita da molti come una esperienza positiva e desiderabile, una relazione soft, ove gli impegni forti sono rinviati, e la progettualità è preferibilmente a breve termine. In caso di insuccesso è derubricata come una semplice “storia” che è finita, mentre la vita continua.

A questo punto sorge doverosa la domanda sul dopo: e poi, dopo il ritorno alla libertà, che ne è dei due ex? Si è trattato per loro di una semplice “storia” che è finita o ci sono altri aspetti che meritano di essere approfonditi?

Viviamo in un’epoca in cui si preferisce esaltare gli aspetti luminosi dell’esistenza, mentre il resto, anche solo i grigi vengono garbatamente celati. Che si voglia o no in tutte le cose c’è tuttavia sempre un rovescio della medaglia, o quello che alcuni descrivono come l’altra faccia della luna: ci sono in sostanza le conseguenze in ogni nostro agire.

Per saperne di più in questa direzione occorre sollevare il velo anche sui grigi ed oltre, e rifarci a chi ha vissuto questa esperienza.

Dobbiamo recuperare informazioni quasi sempre celate dalla privacy che gli interessati quasi mai amano raccontare apertamente, ma che poi rovesciano con abbondanza di particolari su curatori d’anime, consulenti familiari, legali, ecc.

Quando dunque queste relazioni si rompono, e qui le esperienze con il matrimonio sono molto simili, c’è sempre chi ha investito di più e quindi… ci rimette di più, e si sente deluso, tradito, usato.
Con un colpo di spugna svaniscono sacrifici, sogni e speranze.
Quando poi l’inversione di rotta è subita e non accettata come spesso accade, questa può trascinare con se sentimenti ostili quali risentimento, rabbia, odio, anche vendetta.

Quello che per definizione doveva essere la culla dell’amore è trasformato in occasione di disprezzo e conflitto.

Dobbiamo sempre tenere presente che l’essere umano è “persona” e non un giocattolo che possiamo far muovere a nostro piacimento. Ha una sua natura con regole inviolabili e significati profondi che si estendono dal corpo alla psiche allo spirito: ogni scelta che facciamo comporta sempre delle conseguenze: c’è un prezzo che può essere una perdita o un guadagno.

Una relazione che finisce, e ciò si registra come dicevamo sia in convivenze sia nei matrimoni, lascia sempre nel nostro cuore una ferita che non si rimargina come vorremmo e che sopravvive come un lutto, che porta con se sensi di colpa e dolore, anche se in varia misura.

Ci si rimprovera di avere fatto una scelta sbagliata, oppure di avere sciupato un’esperienza che forse poteva andare avanti. Si piange il tempo e l’integrità perduta. Di avere tradito noi stessi per avere agito massimi sistemi con troppa superficialità.
Le cose si complicano a dismisura se ci sono figli...

giovedì 13 gennaio 2011

La fedeltà

Fratelli, dovremmo avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. Poiché anche noi, come quelli, abbiamo ricevuto il Vangelo: ma a loro la parola udita non giovò affatto, perché non sono rimasti uniti a quelli che avevano ascoltato con fede. Infatti noi, che abbiamo creduto, entriamo in quel riposo, come egli ha detto:
«Così ho giurato nella mia ira:
non entreranno nel mio riposo!».
Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. Si dice infatti in un passo della Scrittura a proposito del settimo giorno: «E nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere». E ancora in questo passo: «Non entreranno nel mio riposo!».
Affrettiamoci dunque a entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza. (Eb 4,1-5.11)

La promessa di Dio resta valida per sempre: egli è fedele nei secoli. Ma il problema non sta nella sua fedeltà, quanto piuttosto nella nostra obbedienza a lui. Questo, del resto, fu il motivo che portò il popolo di Israele a non godere del premio legato alla promessa che Dio aveva fatto loro.
Dio realizza le sue promesse in tempi che, spesso, non coincidono con i nostri.
La possibilità di gioire del riposo di Dio è legata a quanto ti impegni giorno per giorno a restargli fedele. Le occasioni non ti mancano, puoi fare di ogni evento un'opportunità per dimostrargli la tua fedeltà e il tuo amore, perchè il premio è già preparato per te: questa è l’unica ansia lecita che un cristiano può avere dentro di se.

tratto dal Messalino dell' Editrice Shalom

E San Giuseppe che farebbe?


Ascoltando e osservando le difficoltà che molti genitori hanno nell’educare i propri figli, mi domandavo: “Come si comporterebbero Maria e Giuseppe se fossero qui oggi tra noi?”
In particolar modo chiederei consiglio a San Giuseppe: “Tu che sei stato padre, anche se in un modo particolare e di un bambino speciale, che consiglio senti di darci?”
Ipotizzo la sua risposta.
“Io amavo Maria la mia futura sposa, e quando seppi che stava aspettando un bambino sofrii molto perché non riuscivo a concepire né nella mente e né nel cuore come la mia bella e pura Maria avesse potuto fare cose simili: tradire se stessa e il nostro casto amore!
Infatti, non fu così! Dio provvidenziale autore di tutto ciò, si premunì di mandarmi subito un suo angelo a fare chiarezza nel mio cuore.
Conosciuto il suo progetto di amore, presi con me Maria e poi il bambino che lei partorì.
Da quel momento non li ho più abbandonati. Da quel momento anche il Signore non mi ha più abbandonato. Mi ha sempre mandato un suo angelo a suggerirmi cosa era bene per Gesù, che ho sempre trattato come figlio della mia carne.
Ricordo, in particolare, che appena i Re Magi furono partiti, un angelo del Signore mi apparve di nuovo dicendomi: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode vuole cercare il bambino e ucciderlo ”. Mi alzai nella notte e feci quanto mi disse l’angelo (Mt 2,13). Ciò è stato per me di grande aiuto, per me che ogni giorno mi domandavo come il Signore volesse che io mi prendessi cura di Gesù. Capii la verità di quella parola della Bibbia che dice: “Il Signore è vicino a chi lo cerca”, ed io l’ho proprio sperimentato. Cari amici padri che amate i vostri figli, commosso vi guardo dal cielo! Mi rivedo, padre tra di voi, vedo il mio amore per mio figlio Gesù, la mia ansia, la mia preoccupazione, ma anche la mia disponibilità a fare tutto quanto il Signore mi ispirava per custodirlo per difenderlo dalla cattiveria di Erode, che nella sua gelosia ed invidia voleva ucciderlo.
Oggi vedo in voi, però, anche la fatica di essere padri presenti e vicini, guide sicure per i vostri figli; vedo in voi la tentazione di rimanere seduti nelle vostre paure, nelle vostre debolezze, nei vostri vizi, nelle vostre insicurezze. Non vi vedo reagire con tempestività quando i vostri figli, vengono ingannevolmente avvicinati dai tanti moderni Erode che subdolamente uccidono la loro voglia di vivere, soffocano la loro facoltà di ragionare alla ricerca della verità, sottraggono loro la libertà di scelta e la loro aspirazione all’amore puro.
Vedo in voi l’indifferenza e la pigrizia, camuffata da esigenze sociali di modernità, da irragionevoli giovanilismi, dall’ingenua e illusoria scelta di togliere loro ogni fatica e difficoltà di vita. Talvolta il frutto di queste scelte arriva a diventare assurdo divieto di partecipare a quelle esperienze formative che corrispondono ai loro interessi più profondi, oltreché essere di grande beneficio per la loro persona.
Cari amici padri, cari genitori, vi sono vicino! Cari amici, vi esorto a non venir meno alla vostra indispensabile missione. Per il bene dei vostri figli, per la vostra e la loro gioia, per il progresso dell’umanità siate disponibili ad aprire i loro cuori alla Verità e al Bene, siate sempre pronti a rendere conto della Speranza che è in loro e siate pronti e coraggiosi nello smascherare gli errori e gli inganni del mondo. Cari amici, ascoltate quando il Signore vi chiama a proteggere e custodire dal maligno i vostri figli e “alzatevi!”
San Giuseppe, vostro amico”

martedì 11 gennaio 2011

La Sapienza


Letture:
  • Siracide 24,1-4.8-12;
  • Efesini 1,3-6.15-18;
  • Giovanni 1,1-18;

La prima lettura, tratta dal libro del Siracide, ci presenta un bellissimo discorso fatto dalla sapienza di Dio, che viene presentata come una persona. Ma cosa è la sapienza? E soprattutto cosa significa essere sapienti? La sapienza non è l’erudizione o la cultura, ma la capacità di trovare il giusto modo di vivere, che mette la persona in armonia con la realtà e la fa essere una persona riuscita e felice. La parola “sapienza”, che deriva dal latino, ha la stessa radice della parola “sapore”. La sapienza quindi ha a che fare non con le cose da conoscere, ma con la capacità di assaporare e gustare la vita. Uno scrittore e filosofo americano dell’800, Henry David Thoreau, scrive: “Andai nei boschi per vivere con saggezza (con sapienza), vivere con profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”. (film L’attimo fuggente)
Se vivere sapientemente è gustare la vita, è vivere in armonia con la realtà, trovare il giusto modo di vivere, voi capite che non ci troviamo di fronte ad una delle tante questioni, ma alla questione fondamentale della nostra vita. Cosa significa vivere sapientemente per un giovane che ha ancora tutta la vita davanti? Cosa significa vivere sapientemente per un anziano che tribola quotidianamente nella malattia e nella sofferenza?
Vediamo se e come queste letture ci possono venire in aiuto.
Nella prima lettura la sapienza ci viene presentata come qualcosa che esce dalla bocca di Dio e riempie tutta la terra: “Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e come una nube ho ricoperto la terra….Ho percorso da sola il giro del cielo, ho passeggiato nelle profondità degli abissi…” (Sir 24,3.5). La sapienza è presentata come un ordine, una armonia che Dio ha posto nella realtà, in tutte le cose. Cioè se guardiamo la realtà in profondità, dovremmo scorgere l’azione, la presenza e la sapienza di Dio. Nel sorriso di un bambino come nella sofferenza di un malato, nella gioia di una nascita come nel buio della morte, Dio ha lasciato la sua impronta dentro la realtà e ci chiama a scoprirla, a cercarla. Questo ci dice già alcune cose importanti su come vivere sapientemente: la verità delle cose, le risposte alle domande più profonde non ce le fabbrichiamo noi, ma le dobbiamo cercare… e le possiamo trovare! Come un filo rosso che attraversa tutta la realtà: in ciò che ci accade, nelle persone che incontriamo, nelle situazioni più inattese, Dio ha inscritto il senso della nostra esistenza, il suo progetto sulla nostra vita. Non è una cosa facile da scoprire: occorre uno sguardo buono, richiede un cammino lungo e faticoso. Per questo occorre anche tanta umiltà: proprio quando pensiamo di aver compreso tutto, ci accorgiamo che abbiamo ancora tanta strada da fare. E’ proprio vero: il sapiente è colui che sa di non sapere!
Ma queste letture ci danno un altro suggerimento. Ci danno l’idea che questa sapienza di Dio non solo è dentro le cose ed è da ricercare con tutte le nostre forze; essa stessa ci viene incontro. La sapienza che esce dalla bocca di Dio viene verso di noi. Sempre la prima lettura ci dice che la sapienza ha piantato la tenda e ha posto le sue radici in mezzo ad un popolo glorioso, il popolo di Israele (Sir 24,8.12). Questa sapienza prima è stata donata in modo particolare nelle Scritture, un dono di Dio al suo popolo; e, quando venne la pienezza dei tempi, questa sapienza, questa Parola, questo Verbo si è fatto carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Gesù è la sapienza di Dio che va incontro e si svela all’uomo, all’uomo che cerca una strada e una luce.
Gesù è la strada per ogni uomo, per ogni giovane che si mette in cammino: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Gesù, crocifisso e risorto, è la sapienza che dona un senso alla nostra sofferenza e la fiducia che l’amore ha vinto la morte.
Allora, a chiunque cerchi la sapienza, noi rispondiamo: la fede in Cristo è la vera sapienza. Già, perché credere non significa solamente obbedire a dei precetti morali, anche se buoni e giusti; credere non significa neppure solo cercare le risposte a delle domande, anche le più profonde; credere è anzitutto lasciare che il Signore si impadronisca della tua vita, come un marinaio che prende il timone di una nave e la conduce al largo, là dove non avresti immaginato. Credere è un’avventura che vale la pena di vivere. Perché? Per assaporare la vita.
don Alessando Franzoni

lunedì 10 gennaio 2011

Perdono

Gesù ci ha insegnato a pregare il Padre che rimetta i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. L’essere perdonato da Dio è quindi legato al nostro perdonare gli altri.

Tante volte ho pensato al perdono come un atto di benevolenza per chi lo riceve, che consiste nel restituirgli la libertà dal nostro risentimento o vendetta: un modo perché questi possa mettersi l’animo in pace e sentirsi sollevato, per quanto possibile anche dal rimorso.

Non avevo mai considerato che il perdonare fosse importante anche per chi lo concede, se escludiamo il sentimento un po’ narcisistico di essere stati bravi davanti a Dio perché si è fatta la Sua volontà.

Ad allargare la mia visuale in questa direzione sono state alcune considerazioni che esporrò brevemente.

● Quando coviamo risentimento verso una persona è come se restassimo legati a lei con un filo d’acciaio ed ogni volta che ce la ricordiamo è come se la attirassimo di nuovo a noi recuperando tutto il ricordo della ferita subita e la conseguente rabbia.
In sostanza riapriamo la ferita e soffriamo oggi come allora.

- Qui nasce una considerazione: se ogni volta che penso a lui/lei sto male, mi conviene tenere duro e non perdonare?

● Continuando col ragionamento, quando colui che ci ha ferito si sente trattato da nemico, è naturale che pure lui attivi o amplifichi atteggiamenti di risentimento verso di me. Si creerà in questo modo un circolo vizioso di causa/effetto/causa con una crescente atmosfera di rifiuto reciproco e di tensione.
E’ scientificamente provato che il risentimento, la rabbia, l’odio sono causa di stress, e che lo stress oltre certi limiti incide negativamente sul nostro sistema immunitario e può portarci anche alla malattia.

- Qui nasce una seconda considerazione: se lo stress dovuto al mio risentimento può anche ammalarmi, mi conviene tenere duro e non perdonare?

● Per ultima la considerazione più importante: Con il mio comportamento interrompo la relazione con Dio che mi chiede di amare il prossimo e di perdonare perché anch’io venga da Lui perdonato. Viene meno il flusso di Grazia che è nutrimento per la mia anima e che mi dà la forza di agire ed operare assieme Lui e con Lui rendendo in questo modo gloria a Dio Padre. E questo è il tracollo totale della mia vita spirituale.

Dunque, se stanno così le cose, si tratta per me di un vero grande bisogno il perdonare, per liberarmi dalla schiavitù del risentimento e vivere la vita in pienezza e salute nella comunione con Dio.

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domenica 9 gennaio 2011

Sulla Tua Parola

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva:
«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.
Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini».
E subito, lasciate le reti, lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti.
Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono. (Mc 1, 14-20)

Commento al Vangelo
Incontrare Gesù è molto più facile di quanto tu non creda, e questo per un semplice motivo: in realtà è lui stesso che ti viene incontro nella tua quotidianità, nel tuo lavoro di tutti i giorni, in mezzo a quelle occupazioni che sembrano non riservarti proprio niente di nuovo. Il Signore viene a cercarti per le strade della normalità e dell'ordinarietà, è proprio lì che semina un germe di eternità. E’ stata questa l'esperienza dei primi chiamati: essi hanno riconosciuto, nelle parole di questo sconosciuto, la forza di una promessa che li avrebbe portati a far un'esperienza di Dio assolutamente nuova e straordinaria. Gesù chiama anche te a conversione, per poter accogliere il Regno di Dio proprio nella quotidianità e per poter vivere lì la luce del Vangelo.
tratto dal Messalino dell' Editrice Shalom

Uomo dove sei?

Dalla lettura e meditazione della Bibbia [...] si impara il cristianesimo, si conosce cioè un Dio che si è umanizzato, che è venuto tra di noi facendosi uno di noi.
Si, perchè Gesù di Nazaret è la narrazione del Dio invisibile (cfr. Gv 1,18; Col 1,15), è il suo volto: un Dio fatto uomo, un uomo in cui ha pienamente abitato e abita il Dio vivente.
"Dio, dove sei?", noi gridiamo.
"Uomo, dove sei?", grida Dio.
In questo dialogo fatto di grida e di domande sta la nostra vera identità: siamo uomini chiamati a diventare Dio.
tratto da "Dio, dove sei?" di Enzo Bianchi.

venerdì 7 gennaio 2011

Confini

Ognuno di noi fa le sue esperienze della vita, e che ne sia consapevole o no, si costruisce una serie di convinzioni su quello che si è capaci di fare o meno, ed una serie di credenze e valori in cui credere e che diventeranno punti importanti di riferimento e guide al nostro agire.

Facciamo un esempio: un bambino vede la fiamma della candela, ne è affascinato ed allunga la mano per afferrarla, ma ne resta scottato.
La prossima volta che vede la fiamma vorrebbe di nuovo allungare la mano, ma l’esperienza che è nella sua memoria gli dice: scotta! A questo punto desiste.

Questo perché, come dicevamo, le nostre esperienze diventano punti di riferimento e guide al nostro agire, e nello stesso tempo segnano dei confini al di la dei quali facciamo fatica o abbiamo paura di andare. Andare oltre significherebbe passare dal noto e dalle nostre certezze all’ignoto.

Credo che su questi confini sia importante porre la nostra attenzione, perché sono una grande risorsa quando ci ricordano quanto abbiamo sperimentato in passato, ma possono anche diventare dei limiti o prigioni quando non ci permettono di andare oltre, bloccando ogni possibilità di crescita ed evoluzione personale.

In quest’ultimo caso ci può aiutare l’immagine di un bambino che cresce in una casa col soffitto basso, per cui, più diventa grande più deve incurvarsi per non sbattere la testa. Oppure l’immagine di quelle piante, i bonsai, che restano sempre piccole.

Nell’esperienza di tutti i giorni sono molti i conflitti interpersonali che sembrano spesso insuperabili perché nessuno è in grado di proporre soluzioni che vadano al di la di quelle che abbiamo standardizzate.
Ci sono troppe coppie in crisi che arrivano anche alla rottura perché ognuno dei due si ostina a tentare le stesse soluzioni per risolvere i problemi, ma non sanno “andare oltre” e trovarne di nuove che funzionino.

Ricordo quella coppia che era andata da un consulente matrimoniale perché stava vivendo una profonda crisi. Lei si lamentava perché il marito non le prestava attenzione, mentre lui si lamentava perché la trovava fredda e distaccata. Quando venne chiesto a lei da cosa ricavasse che lui non le prestava attenzione, questa rispose candidamente dicendo che si sentiva trascurata e delusa perché il marito non le regalava un anello che tanto desiderava. Quando poi venne chiesto a lui perché non glielo avesse comperato, questi cadde dalle nuvole perché aveva fatto di tutto per renderla felice, riempendola anche di regali, ma non aveva mai pensato che fosse importante un anello.

La tentata soluzione al problema messa in atto dalla moglie era quella di mostrarsi risentita, mentre quella del marito era quella di farle i regali che sarebbero piaciuti a lui, ma nessuno dei due raggiungeva il risultato desiderato mentre la coppia andava in crisi senza trovare vie d’uscita: avevano fatto il loro possibile, ma continuavano a muoversi al di sotto dei loro confini.

La prima rottura di schema che ha permesso loro di “andare oltre” è stato il decidere di rivolgersi ad una figura professionale esterna. Il consulente chiese alla donna: “Ma lei ha detto a suo marito che desiderava un anello?” “No – rispose – perché lui, se mi amava veramente avrebbe dovuto capire da solo!!!" La storia finisce che lui subito le comperò l’anello e si riconciliarono felicemente.

La soluzione che ha funzionato ed alla quale non avevano pensato, consisteva nel dialogo, nell’ascolto reciproco, e nel non dare le cose per scontate. L’uovo di colombo diremo, sta comunque di fatto che molte coppie sopportano tante incomprensioni proprio perché non hanno presenti queste semplici regole.

L’esperienza fatta dai nostri sposi è stata utile non solo per risolvere il problema attuale, ma anche per scoprire uno strumento di fondamentale importanza nella vita di coppia che si sarebbe mostrato poi utile per tutte le situazioni a venire. E per loro la linea di confine si è alzata.


Se guardiamo ora all’esempio di Gesù nostro Signore, anche Lui in quanto uomo si era costruito dei confini, ma questi erano talmente alti da abbracciare totalmente la volontà del Padre.

Quando Dio ci ha donato i Suoi comandamenti, ci ha offerto regole che ci portano ben più in alto dei nostri limiti, in una dimensione di grandezza che sfugge ad ogni nostra valutazione.
E per ottenere questo dobbiamo solo “credere” e fare nostre le Sue “Parole di vita eterna”.

Il nostro costruire i confini è dono di Dio, perché ci invitano alla prudenza ed alla saggezza, proteggendoci da atteggiamenti sconsiderati. Ma Dio ci vuole portare più in alto.

Donandoci la legge dell’amore ci porta oltre i limiti imposti dal nostro egoismo.

Con l’invito alla carità, come definita nella lettera ai Corinti, ci offre soluzioni che vanno molto oltre le nostre umane regole ancora ispirate alla legge del taglione.

Se vogliamo evolvere e crescere in spirito e sapienza, dobbiamo avere la capacità di guardare alla vita con meraviglia come faceva la Madonna, ed essere recettivi ad imparare sempre cose nuove dalle esperienze che facciamo. Poi guardare oltre, e lasciarci prendere per mano dal Signore che ci porta in alto.

Sia fatta la Tua Volontà o Signore perché è la sola che è Via, Verità, Vita, che ci insegna, ci guarisce e ci dà la vera pace e libertà. E’ la sola della quale ci possiamo veramente fidare che ci porta al di sopra dei nostri angusti confini.
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mercoledì 5 gennaio 2011

Lo zaino

“Quando si parla di preparare il bagaglio per un alpinista, significa portarsi sulle spalle tutto ciò che serve, perciò non si può mettere nello zaino tutto quello che si vorrebbe, ma si deve preparare un bagaglio leggero. Man mano che si sale di quota e l’arrampicata diventa sempre più difficile è necessario usare strategia e focalizzarsi maggiormente, e quindi abbandonare molte delle cose che non sono essenziali, che appesantiscono e possono distrarre, tutti quei fardelli a cui pensavate di non poter rinunciare. Occorre spogliarsi di ciò che è inutile in modo da acquistare maggiore agilità e conseguire quello che si desidera realmente. E quando ci si trova su una parete del massiccio Vinson in Antartide, a 50 gradi sottozero, può essere necessario abbandonare del tutto il carico”.

Sono queste le parole di Erik Weichenmayer, il primo uomo non vedente a salire le sette vette più alte del mondo che conosce forse meglio di chiunque altro, quali siano i requisiti necessari per avere successo in condizioni estreme.

Se dunque per salire una vetta che tutto sommato è uno sport è necessaria tanta attenzione, non è forse necessario applicarsi con serietà anche ad un’altra scalata molto più importante che è quella della nostra vita?
Weichenmayer ci suggerisce di tenere d’occhio il nostro zaino, che non sia troppo pesante e che non contenga fardelli non essenziali che non fanno che appesantire e distrarre.

Forse anche per noi, con l’iniziare il nuovo anno, può essere il momento giusto per guardare dentro al nostro zaino e per buttare quello che non serve.
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lunedì 3 gennaio 2011

Il Padre

Dice: vedete, mio padre è come un uomo tranquillo che aveva due figli, uno tranquillo e uno matto che ha voluto subito la parte di eredità e se l'è spesa in vini, donne e divertimenti di ogni tipo. Poi ha avuto fame, il matto, non aveva più un soldo in tasca ed è tornato a casa rosso di vergogna. Si è nascosto in un angolo e si è messo a mangiare con le bestie.
Il padre, quando l'ha scoperto, l'ha abbracciato, l'ha portato alla luce del sole e ha deciso di fare una grande festa, per tutti.
L'altro figlio ha cominciato a recriminare: questo sistema non gli piaceva, tutte quelle spese in una volta e per chi poi? Per un ingrato, un fannullone; a cosa serve essere avveduto, economo e fedele, a cosa serve allora?
Il padre beveva, cantava, rideva. Quei rimproveri non li ha neanche sentiti. Era un tipo d'uomo particolare: sentiva solo la gioia; per il resto era sordo.
da "L'uomo che cammina" di Christian Bobin

domenica 2 gennaio 2011

Autostima

La nostra autostima è prevalentemente condizionata dalle nostre relazioni con gli altri dai quali ci aspettiamo stima e considerazione. Ma chi sono questi altri, e quali sono le loro credenziali? Il mondo di oggi - siamo in un periodo di crisi planetaria dei cuori e delle coscienze - è popolato in gran parte da persone decisamente inconsistenti sul piano etico ed esse stesse in crisi. Sono loro che plasmano la mia autostima? O forse sarà meglio per noi adulti fare riferimento a qualcun altro decisamente più affidabile? Mi riferisco a quel Bambino nato nella notte di Natale.
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