sabato 30 gennaio 2010

Il giardino dei fiori

C’è un paese nel lontano Tibet che ha un nome tutto particolare, che tradotto in italiano significa “giardino dei fiori”. Molti sono i turisti che vanno a visitarlo, non per i suoi templi, non per i monumenti, ma per una cosa assai più semplice: per la bellezza dei suoi fiori.
Si racconta che un tempo le cose non stessero così, e che proprio i fiori fossero un problema. Gli abitanti si erano dati molto da fare per costruire il loro paese, avevano tracciato belle strade, le casette erano ben curate, il tempio era tenuto a meraviglia, … ma una cosa non funzionava… i fiori!!! Erano tristi, poveri di vita… i colori erano sbiaditi… e nonostante tutti i loro sforzi… non erano riusciti a migliorare le cose. Avevano anche chiesto dei consigli qua e là, ma non avevano mai trovato delle persone competenti in materia di fiori, o almeno che fossero in grado di risolvere il loro problema.
Fino a quando, un giorno, successe che al tempio era venuto in visita un monaco, vecchio e famoso per la sua sapienza e saggezza. Non sembrava vero!!! E in men che non si dica, tutto il paese si trovò radunato davanti al tempio per chiedere udienza al vecchio, per chiedergli dei fiori e perché non riuscivano a farli crescere belli e rigogliosi come avevano visto da altre parti.
Il vecchio li ascoltò con molta attenzione, poi chiuse gli occhi e si mise a pensare. Dopo un po’ di tempo, che era sembrato una eternità, aprì gli occhi e parlò:
Tutte le cose che ci circondano, sono opera di Dio, che ha trasfuso un esse vita, bellezza ed armonia. E questo noi dobbiamo sapere riconoscere, ed accogliere con rispetto e gratitudine.
Così è per i fiori. Ma per vivere ed esprimere tutta la loro bellezza questi hanno bisogno di alcune cose fondamentali che noi possiamo dare loro.
Uno è l’acqua, deve essere somministrata con cura, non troppa e nemmeno troppo poca: senza l’acqua la pianta prima soffre, poi si secca e muore.
Poi rivolgendosi ai presenti il vecchio chiede: E voi, date regolarmente l’acqua alle vostre piante? Non troppa e non troppo poca? Alcuni risposero di si, altri che la davano solo quando capitava, altri ancora che qualche volta se ne dimenticavano anche. Certo, all’inizio, quando avevano comperato le piante erano stati più attenti, ma poi, col tempo… si erano un po’ dimenticati di questo compito.
Uno – prosegue il vecchio - è il terreno fertile. Il nutrimento deve essere somministrato con cura, non troppo e nemmeno troppo poco. Le piante si nutrono delle sostanze contenute nel terreno… ma queste tendono ad esaurire… e le piante incominciano a soffrire, a diventare tristi, e piano piano ad andare verso la morte.
Poi rivolgendosi ai presenti il vecchio chiede: E voi date regolarmente nutrimento (concime) alle vostre piante? Non troppo e non troppo poco? Alcuni risposero di si, altri che lo davano solo quando capitava, altri ancora che qualche volta se ne dimenticavano anche. Certo, all’inizio, quando avevano comperato le piante erano stati più attenti, ma poi, col tempo… si erano un po’ dimenticati di questo compito.
Uno – prosegue il vecchio - è la luce. Anche la luce è fondamentale e deve essere somministrata con cura, né troppa e nemmeno troppo poca. Senza la luce le funzioni vitali si interrompono, e la pianta, prima soffre, poi, piano piano va incontro alla morte.
Poi rivolgendosi ai presenti il vecchio chiede: E voi date la giusta luce alle vostre piante? Non troppa e non troppo poca? Alcuni risposero di si, altri che la davano solo quando capitava, altri ancora che qualche volta se ne dimenticavano anche. Certo, all’inizio, quando avevano comperato le piante erano stati più attenti, ma poi, col tempo… si erano un po’ dimenticati di questo compito.

A questo punto il vecchio si alzò, e dopo avere fatto un profondo inchino si ritirò.

°°°

Sono passati alcuni anni, ed il vecchio ritornò ancora da quelle parti. Saputa la notizia, in poco tempo tutto il paese si era di nuovo radunato davanti al tempio chiedendo di parlargli.
Quando questi venne li stette ad ascoltare, poi come la prima volta, socchiuse gli occhi in meditazione.
Questa volta volevano prima di tutto ringraziarlo perché i suoi consigli erano stati veramente utili, ed i fiori avevano ripreso il loro splendore. Poi gli chiesero se avesse un altro consiglio da regalare loro.
Il vecchio aprì lentamente gli occhi e disse:
Una cosa importante è l’amore… a questo punto tutti del paese in coro: "deve essere somministrato con cura, non troppo e nemmeno troppo poco!..."
No risponde il vecchio… NO, solo troppo!!!
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domenica 24 gennaio 2010

Offrire le membra



Romani 6

12Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; 13non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio. 14Il peccato infatti non dominerà più su di voi poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia.

Mi colpiscono sempre queste parole, di non offrire le nostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato. Quando le si leggono, spesso scorrono via e sfuggono dalla nostra riflessione per lasciare il posto ad altri concetti. E quindi si perde la consapevolezza di quello che in realtà significano per noi.
Se invece scegliamo di soffermarci su di esse, ed ascoltiamo quanto ci suggeriscono, la prima considerazione che viene da fare è la più semplice, che “l’offrire le nostre membra” sottintende anche membra del nostro corpo, e che quindi ogni parte anche minima di questo può diventare strumento, veicolo, canale, ove permettiamo lo scorrere dell’ingiustizia.
In sostanza possiamo peccare con gli occhi, le orecchie, le mani, i piedi e così via. Inutile entrare nei dettagli. Poi sappiamo che lo spirito del male… come leone ruggente sempre in agguato… approfitta di queste situazioni di debolezza e si intromette amplificandone il più possibile i disastri. Dunque questa è la nostra realtà che la Parola ci svela.
Ma se così stanno le cose, cioè che anche le nostre membra scendono in campo per essere “strumenti”, allora perché non usarle come canali di giustizia? Lo dice ancora la Parola!
E qui le cose diventano straordinarie. Posso per esempio lodare il Signore con la voce, con le braccia, danzando come Davide… ma anche con le mani, le dita, le falangine e le falangette, con ogni singolo muscolo del viso, col naso, le orecchie, il respiro… e così via. Ogni millimetro di noi, dentro e fuori, può lodare il Signore: un cantico della creatura.
In questo modo restituisco a me stesso la vera funzione del corpo che Dio mi ha donato, e nello stesso tempo gli posso anche chiedere perdono per le volte che ho usato questo in modo improprio: Signore, ho usato la mia voce per… ora la uso per lodare il tuo nome… in tutte le tonalità… alta, bassa, stridula, grave ecc. Ho usato questo orecchio per ascoltare… ora lo uso per ascoltare la tua Parola… Ho usato questo dito del piede sinistro per…non so… ma ora voglio che lui si alzi e si abbassi ritmando la tua lode!!! E così via: il cantico della creatura.

sabato 23 gennaio 2010

Esperienza incredibile

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Oggi ho fatto una esperienza incredibile e nello stesso tempo curiosa. Mi ero alzato per andare a prendere il giornale. Dunque mi sono chiesto: oggi dove vado a prenderlo? Poi, come mi capita alle volte, ho passato in rassegna i vari giornalai in base alla simpatia che provavo nei loro confronti: questo no, questo no, e così via, …nessuno che superasse la soglia del mio gradimento. A questo punto ho avuto come un flash, e mi sono detto: ma perché cercare il gradimento? E se facessi una esperienza diversa e scegliessi di andare dalla persona più antipatica, dalla più musona e scortese, da quella che più mi incute fastidio al solo vederla? Oggi voglio essere masochista! E così ragionando ho subito messo a fuoco l’obbiettivo, non ho fatto fatica, e nello stesso tempo mi accorgevo che anziché sentirmi infastidito incominciavo a sorridere. E mi dicevo ancora che volevo fare la esperienza peggiore possibile e che speravo di incontrare quella persona nel suo stato più infelice. E più calcavo la dose, più la cosa mi divertiva. Quando arrivai all’edicola ho guardato quella persona ben bene, e ne vedevo la faccia, l'espressione indisponente, e più la osservavo nel suo atteggiamento esteriore, più la situazione mi sembrava comica e divertente. Al punto che ho dovuto contenermi altrimenti rischiavo di essere scortese. Sorridevo naturalmente per la situazione paradossale che stavo vivendo, per la fantasia che mi stavo creando, non per la persona in se stessa che rispetto e che non giudico. Ho comprato il giornale e me ne sono tornato contento… esperienza incredibile!!
Questa storia cosa mi ha insegnato? Mi ha dato ancora una volta conferma che siamo portati a reagire non tanto alla realtà delle cose, ma alla idea che di queste noi ci siamo fatte. E sulle idee Dio ha dato all’uomo il potere di intervenire per cambiarle.
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I cinque ciechi

I cinque ciechi 1

C’è una antica storia indiana molto famosa che è quella dei cinque ciechi. Ne circolano tante versioni, e ne racconterò una:

In un paese dell’India vivevano cinque ciechi che non avevano mai visto un elefante. Finalmente arrivò un circo, ed essi furono veramente felici quando seppero che era possibile “vederne” uno.
Dunque furono accompagnati uno alla volta all’elefante, ed essi allungarono le loro mani per toccarlo, in quel modo come i ciechi sanno fare.
Avanzò il primo, e ne toccò la pancia. Poi tornando indietro pensieroso si diceva: non avrei immaginato: l’elefante è un muro.
Avanzò il secondo, e ne toccò la proboscide. Poi tornando indietro pensieroso si diceva: non avrei mai immaginato: l’elefante è un tubo.
Avanzò il terzo e ne toccò una zampa. Poi tornando indietro pensieroso si diceva: non avrei mai immaginato: l’elefante è un tronco d’albero.
Avanzò il quarto e ne toccò l’orecchio. Poi tornando indietro pensieroso si diceva: non avrei mai immaginato: l’elefante è una pergamena.
Avanzò il quinto e ne toccò la coda. Poi tornando indietro pensieroso si diceva: non avrei mai immaginato: l’elefante è una corda.

La storia finisce così. Ma qualcuno racconta ancora che i cinque ciechi, di ritorno da questa esperienza, incominciarono a litigare tra loro in modo furioso, perché ognuno era convinto di sapere molto bene cos’era un elefante, mentre gli altri, inspiegabilmente, non avevano capito nulla.

Rileggendo questa storia, balza agli occhi con evidenza che ognuno di questi ciechi aveva una sua ragione, e che era giusto difendere la loro verità. L’errore che tuttavia facevano tutti i cinque era un altro: quello di ritenere di avere “visto” tutto l’elefante, e non soltanto quella piccola parte che avevano toccato.

E’ l’errore che anche a noi può capitare di fare quando pensiamo che la nostra esperienza sia quella vera in assoluto ed alla quale gli altri si debbono necessariamente uniformare se vogliono restare nella verità. Da questo presupposto il più delle volte hanno origine discussioni, incomprensioni, liti, prevaricazioni, causando sofferenze di ogni genere.


I cinque ciechi 2

La storia dei cinque ciechi è molto importante da meditare, perché svela uno degli errori più comuni nei quali possiamo incorrere, cioè quello di generalizzare la nostra esperienza particolare e di imporre agli altri come verità il nostro limitato pensiero.
Per approfondire questo concetto, possiamo ascoltare cosa ci dice San Paolo sullo stesso argomento in 1 Corinzi 12 , ove ci svela delle realtà ancora più profonde che riguardano anche la dimensione spirituale dell’uomo:

12Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. 14Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. 15Se il piede dicesse: "Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. 16E se l'orecchio dicesse: "Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. 17Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; né la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi". 22Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; 23e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, 25perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. 26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.


I cinque ciechi 3

La terza parte la lascerei ad ognuno di noi. Possiamo guardare a tante realtà che ci circondano, e considerare come cambierebbe la nostra vita in positivo se accogliessimo quanto ci insegna il Signore. Nelle relazioni in famiglia, nel lavoro, nel sociale, nella vita spirituale. Possiamo considerare come ci potremmo arricchire accogliendo la ricchezza degli altri, piuttosto che escluderla temendola come una minaccia alla nostra integrità. Possiamo riconsiderare la vecchia formuletta di quando eravamo bambini, semplice ma molto significativa, che uno più uno in queste cose non fa due ma tre. Diventerebbe vera e propria terapia verso tante relazioni “malate” l’imparare a guardare all’altro con gli occhi e col cuore aperti all’accoglienza, e dirgli: SI, GRAZIE PER IL TUO CONTRIBUTO.
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giovedì 21 gennaio 2010

Pellegrinaggio a Medjugorje

"Non sono andato a Medjugorje per vedere la Madonna...ma sono tornato credendo fermamente in Lei. Se mi avessero detto vieni a Medjugorje, preghiamo dalla mattina alla sera e magari riesci anche a vedere la Madonna, probabilmente non sarei andato.
Nella semplicità e senza particolari aspettative sono andato in pellegrinaggio al Santuario.

Pace e gioia nella preghiera: ecco le prime cose che hanno invaso il mio spirito.
Tutti i miei affanni spirituali si sono attenuati, quasi svaniti ed ecco spuntare la gioia nella preghiera...e il bello è che era in buona parte una preghiera per gli altri offerta al nostro Signore.
Non ero più il centro del mio mondo... Che bello!!!
E poi la scoperta della Madre: non sono mai riuscito a sentire molto la presenza di Maria, e questo si ripercuoteva anche nella mia preghiera... Ma che gioia invece sapere di potersi appoggiare a Maria per seguire meglio Gesù!!!
Tornare poi alla vita di tutti i giorni è stato difficile, ma dentro mi ripeto una frase: «E' vero è difficile tornare alla vita di tutti i giorni sempre uguale, ma mentre lei è sempre uguale noi siamo cambiati»."
Credo che questa testimonianza, fatta da una persona che ha partecipato al pellegrinaggio, esprima molto bene cos'è Medjugorje!
Un luogo di preghiera, ove, tramite le celebrazioni, le salite ai monti, la confessione... la Madre compie ogni giorno un grande miracolo: la CONVERSIONE del cuore dei suoi figli!!!
Questo è il motivo che spinge le persone ad andare e ritornare, perche ogni giorno abbiamo bisogno di riconvertire la rotta...verso il Centro...verso Gesù!
Per questo caro fratello e cara sorella voglio dirti: "la Madre aspetta proprio te!"
Elisa

venerdì 15 gennaio 2010

Caritas in Veritate

La sala conferenze della banca Agricola Mantovana è piena. Presenti il Sindaco Brioni, il Presidente della Provincia Fontanili e dirigenti della Banca Agricola Mantovana e MPS. Sottolineo la loro presenza perchè la presentazione dell’enciclica del Papa ha toccato temi sociali ed economici.
Nelle vesti di moderatore è lo stesso Vescovo che ringrazia i presenti, dà la parola prima alla Brioni e poi a Fontanili per aprire con benvenuti e ringraziamenti. Poi cede la parola ai relatori, Monsignore Toso, già Rettore della facoltà Pontificia, e il Prof. Zamagni, attualmente ordinario di economia all’Università di Bologna.

Monsignor Toso tratteggia l’enciclica da un punto di vista spirituale e sociale.
Fà notare che il tema centrale dell’enciclica è già presente nel sottotitolo: SVILUPPO UMANO INTEGRALE NELLA CARITÀ E NELLA VERITÀ.

L’argomento viene sviluppato lanciando diversi spunti .
Lo sviluppo integrale umano non può essere letto solo come sviluppo economico o sviluppo individuale, ma deve investire l’intera comunità. Il nucleo generatore del nuovo umanesimo, per un bene comune universale, è la Carità nella Verità.
La sete di senso che l’umanità di oggi soffre deve trovare risposta nella comunità cristiana.
La carità è il motore che aiuta la ragione: il primo slancio è nell’Amore, concetto già presente in Aristotele e Sant’Agostino. Poniamo l’esempio della scelta della professione. Scelgo il mio lavoro in base a ciò che amo, solo in un secondo momento affronterò con la ragione gli ostacoli e i passi per raggiungere l’obiettivo. Quindi viene prima l’Amore e poi la Ragione.
Contro i tre idoli moderni del denaro, della tecnica e del potere, per arrivare ad avere uno sviluppo integrale (cioè di tutti) ci vuole una conoscenza comune e condivisa, in cui tutti si possano riconoscere (non è necessario avere largo consenso).

C’è chi ritiene che il primo fattore per lo sviluppo sia la stessa e uguale possibilità di agire e riuscire per ciascun cittadino (Martin Assen).
Invece lo sviluppo prevede un solo fattore essenziale: L’annuncio di Cristo! Può sembrare integralismo, ma solo così si garantisce un ribaltamento di valori; mettersi al servizio degli altri e quindi della società: ecco il vero sviluppo integrale.
Annunciare Cristo, cioè Dio, significa considerare l’altro mio fratello. Solo così si creano le gerarchie corrette...senza Dio è arduo considerare l’altro fratello.
Mosignor Toso, avviandosi, alla conclusione denuncia inoltre la mancanza di formazione dei cristiani. Se non c’è una sistematica e seria catechesi per adulti non si hanno credenti retti, liberi da religiosità emotive, pronti a denunciare il male, costruttori attivi del nuovo umanesimo. La formazione cristiana, sottolinea, deve essere fatta su basi scientifiche e non a livello mediocre.

Riprendendo l’enciclica cita alcune delle tante dicotomie presenti nella nostra società Post-industriale:
Etica – Verità
Etica personale – etica politica
Famiglia – Giustizia sociale
Ecologia – etica ambientale

Toso conclude con l’art.32 dell’enciclica dove sottolinea che il lavoro per tutti è un Bene: La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti. A ben vedere, ciò è esigito anche dalla « ragione economica ». L'aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all'interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari Paesi, ossia l'aumento massiccio della povertà in senso relativo, non solamente tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del « capitale sociale », ossia di quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile.

La parola passa al Prof. Zamagni che, nonostante l’ora tarda (le 22:00), riesce a catturare l’attenzione della platea per un’ora ricca con esempi, citazioni, teorie economiche sbriciolate sia per renderle comprensibili a tutti, sia per essere demolite nella loro finta sostanza.
Inizia con i paradossi dell’epoca moderna. Tutti gli studiosi di economia e sociologia concordano su dati evidenti:
• aumento della ricchezza = aumento delle disuguaglianze
• aumento della produzione alimentare = aumento della fame nel mondo
• aumento del reddito medio = aumento dell’infelicità

L’infelicità è misurata statisticamente dalle malattie depressive, dai suicidi aumentati soprattutto tra le popolazioni benestanti. Mentre i poveri sperano, i ricchi disperano, aspetto che rende evidente il disagio di molte civiltà, non dovuto dalla mancanza di cose, ma da un eccesso di beni mal distribuiti.
Il male della nostra società post-industriale inizia da un triplice errato convincimento della separazione di fattori che vanno tra loro connessi:
1. economia – aspetto sociale
2. lavoro – ricchezza
3. mercato – democrazia

1. Economia – aspetto sociale. Se vuoi guadagnare devi essere efficiente, altrimenti sei fuori. Per questi casi la sensibilità moderna, col seme buono della solidarietà, ha pensato al Walfare State (1939). Ecco il primo convincimento: non c’è da preoccuparsi, ci pensa il “sociale”. In realtà non si può tenere separata l’economia dal sociale. E’ offensivo essere mantenuto, è il lavoro che dà dignità. Bisogna celebrare questo matrimonio indissolubile tra economia e sociale, riunire ciò che era stato separato. E’ necessario ricomporre efficienza e solidarietà.
2. Lavoro – ricchezza. Un concetto fondamentale da sempre è che alla base della ricchezza c’è il lavoro (Adam Smith). Oggi questa relazione è stata divisa. Alla base della ricchezza non c’è il lavoro, ma la speculazione. Non importa come guadagni, l’importante è guadagnare. Il concetto di lavoro nell’epoca greco-romana era relegata agli schiavi. Con la regola Benedettina si recupera la vera dignità del lavoro: ora et labora. Da qui nascono le basi della costituzione, nonché il concetto moderno di lavoro come elemento importante per la dignità dell’uomo.
3. Mercato – democrazia. Il mercato è uno dei rari campi autoreferenziali. Ha delle regole, ma le regole le ha scritte lo stesso mercato. Le regole del mercato internazionale non sono state fissate da un parlamento, da un ente o istituzione, le hanno scritte dei banchieri di Basilea nel 1974. Chi non è d’accordo, solitamente paesi in via di sviluppo o del terzo mondo, deve comunque rispettare le regole decise dai mercanti. Bisogna riunire il mercato con la democrazia. La crisi attuale è anche dovuta alla cancellazione di alcune leggi USA (L.Stigal 1980) riscritte dagli economisti.

Ci chiediamo, come si fa? L’enciclica non ha ricette, ma suggerisce tre criteri:
1. Fraternità
2. Giustizia Contributiva
2. Bene Comune

1. La Fraternità supera la solidarietà. Può esserci solidarietà, ma ciò non implica che ci sia fraternità (Cuba, Unione Sovietica). La fraternità include la solidarietà e la supera. Non serve avere di più, servono beni relazionali. Non serve il mero servizio, non vogliamo essere trattati da numeri, vogliamo essere riconosciuti persone. Ma per essere riconosciuti come persone non basta una macchina, serve l’altro, serve una persona. Ecco che nascono modelli di economia nuovi già esistenti e funzionanti, inseriti nelle regole del mercato attuale ma che applicano la fraternità. Faccio riferimento alle più di 1000 Aziende dell’Economia di Comunione, alle Cooperative Sociali... ecc..
2. Giustizia Contributiva. Solitamente la giustizia si suddivide in Commutativa e Distributiva. Giustizia commutativa significa dare il prezzo giusto alle cose, prezzo proporzionato al costo di produzione. Giustizia distributiva significa la redistribuzione in una società ben ordinata tramite tasse. Ma di Giustizia Contributiva non si parla mai; non può essere imposta dalla legge. La giustizia contributiva è sentirsi legato, “obbligato”, al destino degli altri, quindi contribuisco ai beni di uso comune. Mi sento appartenente alla comunità, creo coesione sociale, creo gratuità.
3. Bene Comune. Attenzione a non confondere il bene comune col bene totale, errore fatto da tutti. Esempio lampante per capire la differenza tra i due tipi di bene: Il bene totale è la somma dei beni di ciascuno 1000.000+30+0=1000.030. Il bene comune è il prodotto, basta che ci sia anche un solo addendo pari a 0 che si annulla tutto 1000.000x30x0=0. Non posso dissociare il bene di uno solo da quello degli altri, non posso sacrificare nessuno!

Zamagni nella conclusione si è infervorato su alcuni cambiamenti che ancora non avvengono a livello legislativo e sociale. Ha accennato alla compatibilizzazione tra i tempi di lavoro e i tempi per la famiglia, ha sottolineato che è tecnicamente possibile, purché lo si voglia.
Ha concluso il suo intervento citando Sant’Agostino che descrive la Speranza come mamma di due figli, Rabbia e Coraggio: ci vuole rabbia e coraggio per cambiare le cose.

Anche il Vescovo ci ha congedati suggerendoci un sana indignazione per un mondo che critichiamo a parole, ma che poi accettiamo così com’è.
Antonio

sabato 9 gennaio 2010

Gesù come compagno di viaggio

Con la prima edizioni del FestivArt (Festival di arti e linguaggi della Diocesi di Mantova) ci siamo proiettati in una nuova proposta di oratorio: un ambiente capace di strutturare delle relazioni educative che attrezzi gli adolescenti a vivere in questo mondo così ricco di cose ma povero di valori. Ne parlano da un po' alcune famiglie che vivono delle "fatiche educative" con i propri figli; così pure Vescovi italiani lo hanno denunciato negli ultimi documenti dichiarando che occorre affrontare e risolvere l'attuale "emergenza educativa". E noi ne parleremo nel Convegno Diocesano per operatori pastorali dell'Oratorio, Domenica 21 febbraio, appuntamento molto importante che ci teniamo diventi l'occasione per ragionare sull'oratorio dei prossimi anni.

Lanciamo qualche provocazione per riflettere sull'Educazione. Cito un caro amico Mons. Domenico Sigalini in uno dei suoi ultimi interventi: "Educare vuol dire trasmettere, comunicare e testimoniare, in modo credibile ed efficace, ragioni per vivere in maniera significativa. Educare significa consegnare ciascuno alla libertà delle sue scelte, alla sua vita, alla sua originalità, alla sua storia...per consegnare ciascuno a se stesso".

Ma perché è così difficile "consegnare a ciascuno se stesso"? Tante sono le ragioni, ne vediamo alcune:
1. Disorientamento del mondo adulto. Gli adulti sono disorientati, stentano a distinguere ciò che vale da ciò che non vale. È un senso di spaesamento, nel senso letterale del trovarsi in un "paese sconosciuto", diverso da quello cui si è abituati. Vivono incantati dal luccichio della società dei consumi e al tempo stesso svuotati dal suo carattere effimero, non riescono a dire ai giovani la bellezza della vita e a mostrare quale esistenza meriti di essere vissuta: «alla radice della crisi dell'educazione c'è infatti una crisi di fiducia nella vita». Più che un atto di accusa verso gli adulti è una denuncia dello svuotamento delle coscienze generato dal modo di vivere contemporaneo che fa vittime in primo luogo gli adulti, affaticati, smarriti, ripiegati su se stessi. Se vediamo che tra gli adolescenti o i giovani nessuno vuole più diventare adulto, incontriamo molti adulti che vogliono rimanere giovani o adolescenti.
2. Aumento della domanda educativa. Noi diciamo che c'è urgenza educativa perché i giovani sono di fronte a una eccedenza di opportunità: devono giocare di più la loro libertà, sono messi di fronte abitualmente a un numero di scelte maggiore. Siamo in un mondo più libero e per questo più bisognoso di attrezzarsi per decidere bene. Non siamo in contesti chiusi in cui il giovane, il figlio, l'allievo dipende solo o quasi dalle informazioni, dai modi di pensare, dalle visioni di mondo della famiglia. Ogni persona ha davanti a sé ancor prima di percepirne il valore, innumerevoli possibilità di comportamento, di valutazione, di stimoli, di proposte.
3. Delegittimazione della autorità. Uno dei nodi che la società di oggi presenta all'educazione è non solo la sua complessità, ma anche una sorta di delegittimazione della autorità. Non esiste nessun processo educativo che non abbia bisogno del contributo di una autorevolezza che valuta e orienta le scelte e la loro personalizzazione. In periodi di grandi cambiamenti sicuramente vanno in crisi le istituzioni e vanno quindi ripensate, ma è ingenuo credere che si possa educare se le istituzioni e gli uomini che le rappresentano non vengono riconosciuti come importanti.
4. Il mondo parallelo dei giovani. Il giovane colloca il meglio di sé in spazi paralleli a quelli che istituzionalmente l'adulto gli mette a disposizione per crescere. Le migliori energie il giovane le ha spostate nei luoghi informali: non la scuola, ma la strada; non la parrocchia, ma la compagnia; non la famiglia, ma gli amici; non il catechismo, ma le emozioni delle esperienze; non il giorno, ma la notte; non il reale, ma il virtuale. Agli spazi istituzionali porta il corpo, agli sms, a face book, a messenger invece le sue reazioni e le sue emozioni. Gli adulti lo aspettano al varco con le parole e lui la sua anima la affida alle cuffie, ai ritmi, alla musica. Gli adulti in genere si collocano negli spazi istituzionali e lui decide negli spazi informali.

Cosa fare? Rispondere non è facile, ma saper leggere la realtà con saggezza permette di orientare l'azione educativa. Suggeriamo di meditare il mistero del Natale che abbiamo appena vissuto: Gesù si è in-carnato nella nostra storia. Significa che Dio manifesta tutta la sua vicinanza agli uomini facendosi lui stesso uomo come un compagno nel viaggio della vita. La vicinanza, la compagnia, la condivisione è una iniziativa di Dio che si mette a camminare a fianco degli uomini. E' un modo di educare che ha dato i suoi frutti e che insegna ad affrontare la realtà del mondo senza paura: "Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33).
don Daniele

lunedì 4 gennaio 2010

Per il nuovo anno.

Biancheria intima di colore rosso e baci sotto il vischio per propiziare il dio del sesso, lenticchie (o zucca per chi vive nel nord d’Italia) per assicurarsi il favore del dio del denaro, piatti rotti e botti per esorcizzare i fantasmi del passato e gli spettri del futuro, oroscopi per “giocare d’anticipo” conoscendo il proprio destino…qual è il nostro “vitello d’oro” per il nuovo anno?
Quali sono i nostri riti pagani nel 2010?
A quale idolo che non vede, non parla e non sente (cfr. Sal 113) prostituiremo il nostro cuore?
A quale schiavitù ci legheremo, noi uomini del terzo millennio, così razionali, critici ed indipendenti quando si tratta di Dio e altrettanto inspiegabilmente ottusi, creduloni e paurosi da ricorrere ad astrologi e cartomanti?
“Io sono il Signore, non ce n’è altri. Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me. Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra, perché io sono Dio, non ce n’è altri” (Is 45,21-22).
Il nostro Dio, paziente e sempre fedele, così vero e concreto da incarnarsi e nascere in una famiglia, in un preciso luogo geografico, in un determinato periodo storico, ci ripete, oggi, di nuovo, l’invito alla conversione del cuore, alla vera libertà, alla consapevolezza della dignità di essere uomini!
Anche se nel mondo abbiamo bisogno di sgomitare per conquistare il nostro posticino, per accaparrarci affetto e stima, nel cuore di Dio il nostro nome e il nostro volto sono scritti da sempre…e nemmeno la nostra ingratitudine riuscirà a cancellarlo: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo…” (Ger 1,4)!
E, all’inizio di questo nuovo anno, il Signore ha per noi, figli amati e benedetti, parole che perdonano, sollevano gli animi abbattuti e rinnovano la speranza e la fiducia di una nuova vita nel Suo Nome e nel Suo Amore:
“Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace” (Nm 6,24-26: dalla liturgia della Parola dell’1 Gennaio).
Marianna Russo
del giornale Agire