venerdì 25 settembre 2009

Quando siamo forti 5

Tornando agli stratagemmi tramandati dalla cultura orientale tendenti a trasformare gli stati di debolezza in stati di forza, vorrei ricordarne uno a mio avviso molto interessante: “Togliere la legna da sotto il pentolone”. Il linguaggio è molto scarno ma sufficientemente espressivo per trasmettere la metafora. Sottintende come il semplice gesto di togliere la legna innesti una reazione a catena che fa spegnere il fuoco, che fa smettere di scaldare la pentola, che fa smettere di fare bollire quanto vi sta cuocendo dentro. Si tratta della strategia contro un avversario forte, oramai nota, di non affrontare il problema di petto, ma agendo sulle cause a monte.

Ricordo ancora che non si tratta di voler complicare le cose, ma di applicare una tecnica vincente che porta alla soluzione del problema.

Gli esempi che porterò, per i fini che ci proponiamo, seppure paradigmatici, sono necessariamente molto semplici e stilizzati. Inviterei a non sottovalutarli per la loro semplicità.

Per cominciare vorrei fare riferimento ai tanti conflitti famigliari ma non solo, dove si continua a discutere per le stesse cose senza venirne fuori, e dove si reiterano sempre gli stessi modelli di comportamento. Per questi si può oramai sapere in anticipo, quasi profeticamente, quali sono le interazioni scatenanti, come si evolvono e come inevitabilmente vanno a finire, trattandosi di rituali cristallizzati.

Ricordo una simpatica coppia di giovani che si volevano veramente bene ed erano felici di stare insieme. Unico tallone di Achille erano certi parenti: quando veniva sfiorato questo argomento incominciavano le incomprensioni per finire alle liti. E questa situazione mal gestita li stava logorando al punto che erano arrivati all’orlo della separazione. Non serviva a nulla il farli ragionare, perché non si muovevano dalle loro posizioni, pretendendo ambedue di avere ragioni da vendere. A questo punto un amico ispirato (tengo a dire che ogni ispirazione che veramente funzioni è donata da Dio), ebbe a dire loro:
“Ok. Capisco che ognuno di voi ha le sue ragioni, ma è così importante ritornare sempre su questi argomenti? E se per esempio vi proponeste di evitare ogni discorso su di loro? “.
I due trovarono sensata l’idea e decisero di fare due cose: la prima di evitare ogni discorso inutile che riguardasse questi parenti; la seconda, se uno dei due senza volere e dimenticandosi del proponimento avesse riproposto l’argomento, l’altro, con molta delicatezza sarebbe stato autorizzato a dire: semaforo arancione!
Sono stati molto bravi e la cosa ha funzionato. In questo modo, strategicamente, hanno ottenuto di neutralizzare la forza distruttiva di questi antipatici conflitti, e nello stesso tempo di recuperare vigore e stabilità alla loro relazione.

Una ragazza aveva problemi di linea. Il suo grande nemico erano le pasticcerie che con lei l’avevano sempre vinta. Bastava passare davanti ad un negozio di dolci che era una resa totale: dimenticava tutti i proponimenti di dieta e si concedeva abbondanti colazioni.
Aveva tentato in tanti modi a sfidare questa sua debolezza, ma la vetrina in bella mostra si era mostrata sempre più forte di lei. Dunque quale la soluzione? Semplice, il solito amico ispirato le ha suggerito di tracciare con molta attenzione i percorsi alternativi che avrebbe fatto uscendo di casa, evitando con cura tutte quelle che di comune accordo hanno chiamato “zone rosse di pericolo”. Ha funzionato. Diciamo che in questo modo la ragazza ha individuato una opzione che le permetteva di evitare la tentazione che regolarmente la travolgeva, restandone indenne. La sua debolezza quindi si è ristabilita mentre la forza della tentazione, relativamente a questo problema, è stata neutralizzata.

Questa storia mi riporta alla memoria un insegnamento di Padre Raniero Cantalamessa sul fuggire le tentazioni. Ha proposto l’immagine delle montagne che presentano alle volte insidie molto pericolose come per esempio gli strapiombi. Se uno vi si avvicina troppo è facile che sopravvenga la vertigine, ed in quello stato, perdendo l’equilibrio, non è più possibile mantenere il controllo della situazione e diventa quasi inevitabile il cadere di sotto. Per prevenire ciò, ecco la strategia: sarà opportuno, sono le parole di Padre Cantalamessa, il prevedere il pericolo, e riconosciutolo in tempo, fermarsi a debita distanza. Quando sopravviene la vertigine è troppo tardi. Dobbiamo semplicemente fermarci prima che sopravvenga la vertigine.
Spesso nella vita soccombiamo alle tentazioni e per questo ci sentiamo terribilmente deboli e tristi. Padre Cantalamessa ci ha insegnato un modo semplice per trasformare in questi casi la nostra debolezza in forza e così permetterci di essere vincitori. Con uno stratagemma naturalmente!!!
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martedì 22 settembre 2009

Quando siamo forti 4

Arrivati a questo punto, dobbiamo guardarci dal non cadere in un tranello, o meglio in un autoinganno, cioè quello di considerare queste tecniche scontate e banali.

Lo stratagemma testé citato di evitare gli scontri diretti potrebbe a prima vista essere letto come fuga, segno di debolezza o di vigliaccheria, e questo accade di frequente. Chi non ricorda le parole: “Questo non me lo lascio dire!” tanto per fare un esempio. Poi ci si mette sullo stesso piano dell’avversario usando le sue stesse armi. E se guardiamo dentro a questo atteggiamento scopriamo quasi sempre una motivazione che ha radici in un sentire comune imparentato all’orgoglio ed alla convinzione che il tirarsi indietro sia segno di debolezza.

Quello che voglio dire è che se noi diamo spazio ad automatismi o diamo risposte di istinto, si può anche essere coraggiosi, ma questo non ha nulla a che fare con una strategia orientata alla vittoria del più debole sul forte. La strategia è un’arte potente che consiste in una serie di azioni razionali e rigorose, e quindi in se stessa già un atto di forza. Per giungere alla strategia dunque, come detto, dobbiamo abbandonare i gesti di istinto, uscire dai vecchi schemi di ragionamento e salire di livello con il primo passo che abbiamo definito consapevolezza.

Ps) Quante volte i gesti che il Signore ci suggerisce (carità, amore, mitezza, benevolenza ecc.) sono letti dal mondo come segni di debolezza. Sono invece strategie vincenti per la conquista di un vivere migliore e del Regno di Dio.
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Quando siamo forti 3

Siamo partiti accennando alla cultura cinese quando guarda alla vita dal punto di vista binario di forza e debolezza, ed abbiamo colto che nella loro ottica questi stati non sono ritenuti definitivi ma intercambiabili. E la capacità di trasformarli è da loro definita arte. Ecco dunque per esempio “l’arte della guerra” di Sun Zu dove si insegna ad un esercito debole le strategie (staratagemmi) per sopraffare l’avversario più forte, trasformando quindi il debole in forte ed il forte in debole.

Ma perché lasciare questa sapienza al mondo orientale, e non applicare anche a noi queste intuizioni che ci possono permettere di superare tante difficoltà e rendere la nostra vita più ricca e felice? Certamente lo stiamo già facendo, ma forse è poco presente l’ingrediente consapevolezza di cui parlavamo, e che ci permetterebbe di rendere il nostro agire più sistematico e funzionale. Fatte salve le debite eccezioni naturalmente.

A questo punto sorge spontanea la domanda: passando dalla teoria alla pratica e considerati tutti i miei punti di debolezza con tutto ciò che questi comportano, come posso fare sì che questi si trasformino in punti di forza?
Notiamo che siamo passati dal COSA al COME

Essendo i modi infiniti come infinite sono le situazioni che la vita ci propone, possiamo iniziare a sbizzarrirci con qualche esempio.

Possiamo per esempio ritornare ai nostri amici orientali che sanno applicare questi principi anche nelle arti marziali (Yudo, Karate, Aikido ecc.) e proponiamo un esempio concreto e molto efficace:
facciamo conto che un nemico ci aggredisca con un pugno. Possiamo rispondere con un altro pugno e non si sa come andrà a finire: diventerà una zuffa e vincerà il più forte.
Possiamo invece scegliere di schivare questa aggressione, spostandoci di lato (qualche volta non è facile ma sono cose che si imparano), e scopriremo che tutta l’energia spesa dall’avversario passerà oltre e si scaricherà nel nulla, rendendolo poi debole. Sarà in nostro potere e noi saremo passati in una posizione di forza. Potremo ora colpirlo noi, di fianco o di spalle, e per lui sarà veramente difficile difendersi.

Non è lo stesso principio che possiamo applicare quando alle provocazioni, anziché reagire con aggressività e risentimento, come verrebbe facile, scegliamo di rispondere con dolcezza e benevolenza, evitando lo scontro? La violenza dell’aggressore passerà oltre ed andrà a colpire il nulla. Ed ecco la sua debolezza.

Passati poi i bollenti spiriti, noi potremo anche scegliere tempi e modi per dire la nostra, ma saremo noi a scegliere il campo e stavolta saremo in una posizione di forza.

Considerazione: Ma l’evitare la violenza e la contesa, non è poi la via che ci indica il Signore? Ben vengano dunque le strategie e gli stratagemmi se questi ci offrono modalità sul COME diventare forti nel cammino da Lui indicato. Ma attenzione, quando saremo passati alla posizione di forza non dovremo poi dimenticarci della carità e della responsabilità che ci è sempre richiesta verso i nostri fratelli.

PS) Se il discorso è troppo tecnico,...un esempio semplificato. La moglie dice del marito: "Alle volte lui è intrattabile… ma io so come prenderlo!" Questa è staregia.
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lunedì 21 settembre 2009

Visione d'insieme

Carissimi scrivo questa riflessione mentre mi trovo agli esercizi spirituali per i sacerdoti della diocesi all'eremo di Montecastello di Tignale.
Sono giorni di pioggia perciò si sta volentieri a meditare in cappella o ciascuno nella propria camera.
Mi vengono in mente le parole di Gesù: “Quando preghi entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà".
Dalla finestra della mia camera, al terzo piano, vedo le cime degli alberi che si muovono, scosse dal vento di questo gelido inverno. Siamo a 700 mt di altitudine, sotto di noi si estende, in tutta la sua bellezza, il lago di Garda e dall'altra parte si erge, maestoso e imponente il monte Baldo pieno di neve.
Poi un giorno, terminata la pioggia, arriva una bella giornata di sole e, dal terrazzo, si ha una splendida "visione d'insieme" che permette di contemplare, con un solo sguardo, il lago, i monti, i paesi, le strade e giù, in fondo, la nostra pianura padana.
In questi giorni di pace, di silenzio e di ascolto del Signore mi viene da pensare che anche i discepoli del Signore, ad un certo punto hanno visto chiaro e hanno capito. Tutta la vicenda di Gesù l'hanno compresa a partire dalla Risurrezione. E' proprio nel momento in cui i discepoli lo incontrano vivo che capiscono tutto quello che c’è stato prima; capiscono le sue parole, capiscono i suoi miracoli, capiscono la sua passione e la sua morte. Hanno cioè una visione d'insieme. E tutto trova il suo significato. Le promesse si sono compiute. Tutto è compiuto!
Anche per la nostra vita, in certi momenti, si può avere come una "visione d'insieme" di ciò che si sta vivendo, ed è una esperienza rasserenante. Necessaria. Vitale.
Le gioie, le tribolazioni, le speranze, le fatiche del vivere quotidiano ti appaiono come un dono, sono occasioni di bene e ti accorgi che proprio lì, in quei momenti, il Signore Risorto ti raggiunge e ti fa dono del Suo Amore. Questa è la Pasqua!
Dalla Pasqua di Gesù è scaturito per noi, come da una sorgente, il dono della vita eterna.
"Questa è la vita eterna: che conoscano Te, o Padre, e colui che Tu hai mandato".
Celebrare la Pasqua, cantare la Risurrezione di Cristo è accogliere il dono della vita eterna, l’amore di Dio che è per te. Proprio per te.
Hai allora una visione d'insieme e ti accorgi che I'esistenza, l’unica che hai, scomposta e frammentata in tante cose, ha bisogno di ritrovare unità. Famiglia, lavoro, scuola, impegno, ordine e disordine, tempo libero, amici, soldi, dubbi, disonestà, divertimento, superficialità, menzogna, responsabilità, sofferenza…queste cose ti disgregano. Ti bloccano. Ti ritrovi come impantanato. Credi di essere felice e ti ritrovi infelice. Credi di assaporare al massimo la vita e ti ritrovi spento. Morto.
Hai proprio bisogno di ricondurre all'unità tutto ciò che vivi. Hai bisogno di mettere ordine nella tua vita. Hai bisogno di alzare lo sguardo. Hai bisogno di risorgere! Ecco la Pasqua.
II dono del Risorto ti purifica e ti eleva alle altezze di Dio.
Così puoi guardare meglio la tua vita e, con una visione d'insieme, ne scopri la bellezza e la santità. Qui è la felicità. Ora solo assaporata. Un giorno ti verrà donata in pienezza.
Auguri, sinceri, di Buona Pasqua. A te e a tutti!

domenica 20 settembre 2009

Quando siamo forti 2

Se il problema ci interessa e lo vogliamo affrontare, un primo passo da fare sarà quello di recuperare la consapevolezza cui abbiamo accennato, individuando quali sono le situazioni specifiche che ci riguardano ove ci è dato di occupare posizioni di “forza” o di “debolezza” , e di chiederci come le gestiamo.

Ricordiamo che la consapevolezza è il primo passo verso qualsiasi cambiamento e/o guarigione.

Possiamo iniziare il percorso e tracciare un nostro primo identikit chiedendoci: In quali circostanze ci sentiamo forti? E come le viviamo? Il nostro interesse è rivolto solo a noi (ricordiamo quei pastori che pascono se stessi di Ezechiele 34,2), oppure c’è posto anche per gli altri? Quali sono i nostri ruoli, compreso quello che ricopriamo nel sociale, ed il nostro livello di benessere e di potere?
Lo stesso faremo esaminando le situazioni ove ci sentiamo deboli.

Passo successivo, molto importante, sarà poi quello di interrogarci sui principi e valori che ci guidano e sulle responsabilità che ci assumiamo per il nostro agire.
Sono le regole comandate dal Signore? O sono dettate dal mondo (sentire comune, moda) o dal classico: sento essere bene così (leggi relativismo etico)?.

Arrivati a questo punto, incomincerà a delinearsi un quadro abbastanza espressivo del nostro stare ed agire nel mondo in situazioni di forza e di debolezza.

PS1) Se abbiamo scelto di seguire le regole dettate dal Signore, allora ci scopriamo anche combattenti perché, come Lui stesso ha detto in Mt. 19,24, “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”.
PS 2) Quando si è ricchi è più facile mettere al primo posto i nostri interessi ed essere accondiscendenti verso se stessi, per il semplice fatto che ce lo possiamo permettere ed è tutto così facile ed a portata di mano.
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venerdì 18 settembre 2009

Quando siamo forti 1

Nelle alterne vicende della vita succede che a volte ci troviamo in posizioni dove ci sentiamo forti, ed altre dove ci sentiamo deboli. Ma non sempre abbiamo la consapevolezza di questo stato. Ci limitiamo a vivere la vita ed agire alla meglio in ogni situazione approfittando dei momenti migliori, cercando semplicemente di scansare le situazioni meno piacevoli. Ci sono altre culture come quella cinese per esempio, che di questi stati di forza o di debolezza ne hanno fatto una filosofia ed una scienza. Chi non ricorda i libri sull’arte della guerra e sui vari stratagemmi per rendere forte il debole e debole il forte? Quindi per loro non si tratta non solo di consapevolezza, ma anche di possibili percorsi per modificare queste situazioni. Capisco che per noi parlare di guerra possa sembrare esagerato, ma a ben pensare non è lo stesso vivere un perenne combattimento? Dobbiamo lottare contro gli altri quando dobbiamo difendere noi stessi, e molto anche contro noi stessi, contro quella parte che San Paolo chiama carne, quando questa si oppone allo spirito. Ben venga dunque una nuova consapevolezza che ci permetta di comprendere quando siamo forti e quando siamo deboli, quando si ha poi anche una prospettiva di poter modificare queste condizioni. Credo che parole di Genesi 4,7 ripropongano i medesimi concetti, invitandoci all’azione: “Verso di te è il tuo istinto, ma tu dominalo”
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mercoledì 16 settembre 2009

Il cuore più bello del mondo

C'era una volta un giovane in mezzo a una piazza gremita di persone: diceva di avere il cuore più bello del mondo, o quantomeno della vallata. Tutti quanti gliel'ammiravano: era davvero perfetto, senza alcun minimo difetto. Erano tutti concordi nell'ammettere che quello era proprio il cuore più bello che avessero mai visto in vita loro, e più lo dicevano, più il giovane s'insuperbiva e si vantava di quel suo cuore meraviglioso.

All'improvviso spuntò fuori dal nulla un vecchio, che emergendo dalla folla disse: "Beh, a dire il vero.. il tuo cuore è molto meno bello del mio."

Quando lo mostrò, aveva puntati addosso gli occhi di tutti: della folla, e del ragazzo. Certo, quel cuore batteva forte, ma era ricoperto di cicatrici. C'erano zone dove dalle quali erano stati asportati dei pezzi e rimpiazzati con altri, ma non combaciavano bene - così il cuore risultava tutto bitorzoluto. Per giunta, era pieno di grossi buchi dove mancavano interi pezzi.

Così tutti quanti osservavano il vecchio, colmi di perplessità, domandandosi come potesse affermare che il suo cuore fosse bello.

Il giovane guardò com'era ridotto quel vecchio e scoppiò a ridere: "Starai scherzando!", disse. "Confronta il tuo cuore col mio: il mio è perfetto, mentre il tuo è un rattoppo di ferite e lacrime."

"E' vero!", ammise il vecchio. "Il tuo ha un aspetto assolutamente perfetto, ma non farei mai a cambio col mio. Vedi, ciascuna ferita rappresenta una persona alla quale ho donato il mio amore: ho staccato un pezzo del mio cuore e gliel'ho dato, e spesso ne ho ricevuto in cambio un pezzo del loro cuore, a colmare il vuoto lasciato nel mio cuore. Ma, certo, ciò che dai non è mai esattamente uguale a ciò che ricevi - e così ho qualche bitorzolo, a cui sono affezionato, però: ciascuno mi ricorda l'amore che ho condiviso. Altre volte invece ho dato via pezzi del mio cuore a persone che non mi hanno corrisposto: questo ti spiega le voragini. Amare è rischioso, certo, ma per quanto dolorose siano queste voragini che rimangono aperte nel mio cuore, mi ricordano sempre l'amore che provo anche per queste persone.. e chissà? Forse un giorno ritorneranno, e magari colmeranno lo spazio che ho riservato per loro. Comprendi, adesso, che cosa sia significa avere il cuore più bello del mondo?"

Il giovane era rimasto senza parole, e lacrime copiose gli rigavano il volto. Prese un pezzo del proprio cuore, andò incontro al vecchio, e gliel'offrì con le mani che tremavano. Il vecchio lo accettò, lo mise nel suo cuore, poi prese un pezzo del suo vecchio cuore rattoppato e con esso colmò la ferita rimasta aperta nel cuore del giovane. Ci entrava, ma non combaciava perfettamente, faceva un piccolo bitorzolo.

Poi il vecchio aggiunse: "Se la nota musicale dicesse: non è la nota che fa la musica...non ci sarebbero le sinfonie. Se la parola dicesse: non è una parola che può fare una pagina...non ci sarebbero i libri. Se la pietra dicesse: non è una pietra che può alzare un muro...non ci sarebbero case. Se la goccia d'acqua dicesse: non è una goccia d'acqua che può fare un fiume non ci sarebbero gli oceani. Se l'uomo dicesse: non è un gesto d'amore che può rendere felici e cambiare il destino del mondo non ci sarebbero mai né giustizia, né pace, ne felicità sulla terra degli uomini".

Dopo aver ascoltato, il giovane guardò il suo cuore, che non era più "il cuore più bello del mondo", eppure lo trovava più meraviglioso che mai: perché l'amore del vecchio ora scorreva dentro di lui.

La saggezza in un cioccolato caldo

Un gruppo di laureati, affermati nelle loro carriere, discutevano sulle loro vite durante una riunione.
Decisero di fare visita al loro vecchio professore universitario, ora in pensione, che era sempre stato un punto di riferimento per loro. Durante la visita, si lamentarono dello stress che dominava il loro lavoro, vite e relazioni sociali.
Volendo offrire ai suoi ospiti un cioccolato caldo, il professore andò in cucina e ritornò con una grande brocca e un assortimento di tazze. Alcune di porcellana, altre di vetro, di cristallo, alcune semplici, altre costose, altre di squisita fattura. Il professore li invitò a servirsi da soli il cioccolato.
Quando tutti ebbero in mano la tazza con il cioccolato caldo, il professore espose le sue considerazioni.
"Noto che sono state prese tutte le tazze più belle e care, mentre sono state lasciate sul tavolino quelle di poco valore. La causa dei vostri problemi e dello stress è che per voi è normale volere sempre il meglio.
La tazza da cui state bevendo non aggiunge nulla alla qualità del cioccolato caldo. In alcuni casi la tazza è molto bella e alcune nascondono anche quello che bevete. Quello che ognuno di voi voleva in realtà era il cioccolato caldo. Voi non volevate la tazza . . . Ma voi consapevolmente avete scelto le tazze migliori.
E subito, avete cominciato a guardare le tazze degli altri.
Ora amici, vi prego di ascoltarmi . . .
La vita è il cioccolato caldo . . . Il vostro lavoro, il denaro, la posizione nella società sono le tazze. Le tazze sono solo contenitori per accogliere e contenere la vita...la tazza che avete non determina la vita, non cambia la qualità della vita che state vivendo.
Qualche volta, concentrandovi solo sulla tazza, voi non riuscite ad apprezzare il cioccolato caldo che Dio vi ha dato.
Ricordatevi sempre questo . . . Dio prepara il cioccolato caldo, Egli non sceglie la tazza. La gente più felice non ha il meglio di ogni cosa, ma apprezza il meglio di ogni cosa che ha!
Vivere semplicemelte . . .
Amare generosamente . . .
Preoccuparsi profondamente . . .
Parlare gentilmente . . .
Lascia il resto a Dio. E ricordatevi ...la più ricca persona non è quella che ha di più, ma quella che ha bisogno del minimo.
Godetevi il vostro caldo cioccolato!

martedì 15 settembre 2009

In quale direzione guardiamo?

Quanti di noi sanno viaggiare sulle due ruote: biciclette (anche motorini e motoroni) , e con la massima disinvoltura? Alle volte sappiamo fare anche delle prodezze come viaggiare stando in piedi, togliere le mani dal manubrio, ecc. E forse ci siamo dimenticati quanta fatica abbiamo fatto per imparare a stare in equilibrio senza cadere: guardavamo ai pedali e non ci accorgevamo del manubrio; guardavamo al manubrio e non ci accorgevamo della direzione in cui stavamo andando; guardavamo ai piedi ed al manubrio e ci accorgevamo che il nostro peso ci spostava da un’altra parte. Risultato? Che se qualcuno non ci sorreggeva si cadeva facendoci anche male. Poi, pian piano abbiamo imparato a coordinare tutti questi movimenti, ed abbiamo capito che per andare nel modo corretto bisognava guardare in avanti. Come se avessimo uno strumento di puntamento che ci fa stare in equilibrio e muovere nella direzione giusta.
Forse non ci abbiamo mai pensato, ma siamo fatti così, curioso ma vero: tendiamo a muoverci nella direzione verso la quale indirizziamo il nostro sguardo di interesse. Questo lo sanno bene gli esperti in arti marziali che osservano in quale direzione guarda l’avversario e quindi sanno da che parte parare il colpo. Ed una cosa simile riguarda anche i nostri comportamenti di vita che rispettano la stessa legge: noi ci muoviamo e ci dirigiamo nella direzione degli obbiettivi che abbiamo dato alla nostra mente, e questi, se ben formulati, a loro volta emettono una forza particolare che ci attira verso di loro. Tutti i discorsi sulla motivazione partono da qui. Ecco allora quel signore che ho incontrato in un seminario di formazione sulla comunicazione che ebbe a raccontarmi: da piccolo sapevo che da grande avrei fatto il dottore, mi sono iscritto alle medie, poi all’università e sapevo che avrei fatto il dottore. Ora sono specialista, aiuto tanta gente e mi sento realizzato. E un altro: da piccolo sentivo desiderio di fare da grande il prete, lo ho desiderato intensamente, e passo dopo passo mi sono sempre mosso in quella direzione. Ora lo sono e mi sento veramente realizzato. Allora, se è vero che il nostro essere è strutturato in questo modo, e che siamo attratti dagli obbiettivi che ci proponiamo, se veramente comprendiamo questo principio, scopriamo un grande potere (dono) che Dio ci ha dato: di saper costruire le nostre realtà. Possiamo raggiungere tutti gli obbiettivi che desideriamo, purché naturalmente ispirati al buon senso, obbiettivi che ci permetteranno di esprimerci al meglio, di realizzarci come persone ed essere più felici. Ma esistono anche altre realtà, di persone distratte che obbiettivi non ne pensano, e quindi più che vivere la vita, sopravvivono a quanto loro capita, senza volontà o potere di gestire le cose in positivo. Per queste persone è facile cadere nello scoramento e perdersi d’animo. Con tutto quello che ne segue. E questo il Signore non lo vuole! Ha donato all’uomo il mondo perché ne fosse dominatore (Genesi 1,26), e ci ha comandato di essere positivi (Filippesi 4,4). Quindi sembra che il segreto del nostro successo e del nostro benessere stia nella azione di puntamento, e nella direzione in cui la volgiamo. Cioè verso quelle cose (obbiettivi) che desideriamo veramente realizzare nella nostra vita. Questo vale anche per un cammino di crescita spirituale alla sequela di Gesù.

PS: Una macchina per quanto potente ha bisogno di carburante, altrimenti sta ferma. Questo vale anche per noi: più energia mettiamo nel nostro pensare ed agire, prima arriviamo alla meta! Buon viaggio.
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giovedì 3 settembre 2009

Album dei ricordi: quel sorriso

Sfogliando l’album dei ricordi, il pensare mi porta indietro nel tempo, e mi vedo nella sala d’attesa del reparto di chirurgia dell’ospedale dove stanno operando una persona a me cara. Rivivo le emozioni, la confusione di pensieri, i timori e le speranze di quei momenti che ancora oggi ricordo terribilmente lunghi. Finalmente in fondo al corridoio si apre la porta e vedo le infermiere che con lena escono dalla sala operatoria spingendo nella stanza di fronte un lettino ove si intravede la paziente avvolta da coperte di lana e tutti quei contenitori di vetro appesi in alto e con tanti tubicini che scendono. La tensione e l’ansia salgono al massimo, al bang supersonico, quando in fondo appare il professore ancora con la mascherina e con il camice segnato da tracce ematiche. Ebbene, in quel momento preciso, ricordo, il professore da lontano sollevò lo sguardo e quando mi vide mi fissò, e mi fece un sorriso. Non so come feci a decifrare quel sorriso sotto la maschera, ma per me è stato chiarissimo. Le lacrime sono spuntate dai miei occhi ed ho ringraziato il Signore perché ho capito che tutto era andato bene. Sono passati anni, ma quel sorriso mi è ancora presente, e mi commuove sempre quando lo penso.
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Spunti sulla comunicazione 2 - si può non comunicare?

Ecco una domanda importante: ma noi comunichiamo sempre? È possibile anche non comunicare?
Paul Watzlawich, uno dei più eminenti pensatori recentemente scomparso ha detto no. Non è possibile non comunicare. Se io entro nello scompartimento del treno e non desidero parlare, mi siedo e sfoglio il giornale, il mio comportamento non rimane neutro, ma i presenti percepiscono chiaramente che voglio starmene per conto mio. Dunque comunico sempre, anche quando me ne sto zitto estraneandomi dal contesto presente. Ma se non parlo, come faccio a comunicare? Lo fa il mio viso, il mio sguardo, il mio corpo. Quando gli studiosi si sono chiesti quali sono gli elementi fondamentali della comunicazione, sono stati tutti concordi ne definire almeno due aree fondamentali: quella verbale, ossia le parole pronunciate, e la parte non verbale che va dalle tonalità della voce ala gestualità del corpo. In sostanza, se si esclude il caso di una lezione, i contenuti verbali hanno un peso complessivo non superiore al 7% rispetto al 63/ del non verbale. Vi è mai capitato di uscire dalla S. Messa e di esprimere giudizi positivi sulla omelia del sacerdote. Quando poi ci chiedono cosa ha detto in modo specifico subentra il vuoto di memoria? Che cosa è successo? E’ una delle tante esperienze che ci danno conferma che non sono importanti solo le parole che diciamo, ma lo sono ancora di più il tono della voce, la espressione del viso, la gestualità. Di grande importanza sono anche i messaggi che emettiamo col nostro portamento, col nostro modo di vestire, col profumo che abbiamo addosso. Se siamo dei buoni cristiani dobbiamo tenere d’occhio queste cose, perché è quasi impossibile essere convincenti se ci presentiamo con atteggiamento sciatto, trascurati nell’esteriorità e col muso lungo. Ed il mondo è molto sensibile ed esigente su queste cose. Qualcuno penserà senz’altro a S. Francesco ma non credo l’esempio faccia al caso nostro. In lui c’erano elementi di santità e grandezza che ci portano in un’altra dimensione.
Dunque, se è impossibile non comunicare, significa che inviamo messaggi che gli altri, volenti o nolenti sempre ricevono. Ed altrettanto li riceviamo. Ma questi messaggi sono neutri o provocano delle conseguenze in chi li riceve? La risposta è che ogni messaggio provoca dei cambiamenti in chi lo riceve, anche se non ce ne rendiamo conto. Del resto basta guardare ai miliardi spese in propaganda e pubblicità. Che buttino via i soldi per niente? Sono cose che fanno pensare.
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Spunti sulla comunicazione 1

Col passare degli anni la mia attenzione si è andata rivolgendo oltre che alla Parola di Dio, anche allo studio della comunicazione. La Parola di Dio è comunicazione e se vogliamo capire la comunicazione non possiamo prescindere dalla Parola di Dio. Ogni altra pista, così ho capito, ci allontana dalla verità, non ci permette di capire le cose e non porta guarigione.
Penso che a nessuno sia sfuggito che viviamo in un’epoca ove le tecniche della comunicazione si sono sviluppate a dismisura e che veniamo letteralmente bombardati da messaggi di ogni genere. Messaggi, purtroppo, non sempre al servizio della verità e del nostro benessere.
Qualche interprete ha voluto riconosce questa fase storica con quanto scritto in Apocalisse 13,1:
“Vidi salire dal mare una bestia che aveva 10 corna e sette teste…” ove le corna rappresenterebbero gli strumenti (corni) usati dagli antichi per comunicare, quando soffiavano per lanciare suoni.
Con questo cosa voglio dire? Se è vero, come dicevo, che viviamo nell’epoca della comunicazione, noi cristiani siamo tenuti ad aggiornarci, sia per riconoscere e saperci difendere da messaggi che ci possono condizionare, ma anche per offrire al mondo un linguaggio comprensibile, moderno ed utile, per trasmettere contenuti di fede.
Ps) Secondo un certo orientamento di pensiero, quando nella comunicazione il soggetto ricevente il messaggio non rispondeva a dovere, veniva definito come resistente. Secondo un orientamento più moderno non si guarda al ricevente ma all’emittente il messaggio che deve avere scienza sufficiente e fare si che questo produca gli effetti desiderati. Nel primo caso, dunque, la responsabilità è del ricevente, molto comodo! mentre nel secondo è dell’emittente. Penso sia arrivato il momento che noi cristiani ci si assuma la responsabilità della nostra comunicazione (evangelizzazione) e dei risultati che otteniamo, per quanto possibile naturalmente.
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